TITOLO ORIGINALE: Black Adam
USCITA ITALIA: 20 ottobre 2022
USCITA USA: 21 ottobre 2022
REGIA: Jaume Collet-Serra
SCENEGGIATURA: Rory Haines, Sohrab Noshirvani, Adam Sztykiel
GENERE: azione, fantascienza, fantastico, avventura
Con Black Adam, undicesimo inserto dello sfilacciato ed incerto DCEU, Dwayne Johnson e il suo sodale Jaume Collet-Serra erano teoricamente chiamati a ridefinire le gerarchie iconiche e risollevare le sorti di un intero universo cinematografico. Eppure, il risveglio di un idolo dai poteri divini dalla sua millenaria prigione non è né una rottura netta con ciò che è venuto prima, né una ridefinizione del canone, né tantomeno un vero film su un antieroe, o un racconto dalle idee di design originali. Ciò nonostante, Black Adam riesce a nascondere un soggetto insipido e proverbiale, vecchio all’incirca come il suo protagonista, dietro il mantello, i muscoli e i fulmini di uno spettacolo senz’altro testosteronico e coatto, tuttavia capace di divertire ed intrattenere con naïveté ed assoluta franchezza.
I poster, gadget, minifigures, fumetti di Batman, Superman, Wonder Woman, Aquaman, Flash, Cyborg, contenuti e custoditi, come cimeli, all’interno della cameretta di un arguto e coraggioso adolescente della fittizia città di Khandaq vengono distrutti, elettrificati, polverizzati, sbaragliati, demoliti da un idolo dai poteri divini, vecchio di millenni e risvegliato dalla sua tomba-prigione, di nome Teth-Adam, in Black Adam, l’undicesimo inserto di un DC Extended Universe sempre più scollato e caotico nei riferimenti e nelle sue interconnessioni e dagli orizzonti sempre più incerti e mutevoli.
Quel campione, che incede impassibile, statuario, stolido come il miglior Schwarzenegger, evocabile urlando Shazam! e sul cui petto campeggia un gigantesco fulmine (quale nesso intrattenga con il coevo personaggio di Zachary Levi, pur essendone in pratica la controparte, il film non ve lo dirà!); è interpretato da Dwayne “The Rock” Johnson - già approdato nell’universo Warner doppiando Krypto nella spassosa avventura d’animazione DC League of Super-Pets - e quel gesto distruttivo, ripetuto in ben due occasioni durante il racconto, è la tanto innocua, quanto spiritosa, autocritica ed autoironica dichiarazione d’intenti del progetto da lui prodotto ed incoraggiato per ben quindici anni (e si vede!).
Niente più che un motteggio, di modo, di circostanza, giusto per darsi un tono - soprattutto dal momento in cui rinuncia più che felicemente alle proprie posizioni per esigenze proprie -, sottolineato ulteriormente da linee di dialogo come "siamo noi a seppellire gli dei", nonché coerente con l'istituzione stardom di The Rock, che, con questo Black Adam, è chiamato a ridefinire le gerarchie iconiche e risollevare le sorti di un universo espanso che, in mancanza di visioni autoriali ben salde e precise (si pensi a The Suicide Squad), e al di là degli assoli (solo canonicamente) autarchici di Todd Phillips (ergo Joker) e Matt Reeves (dunque The Batman), non riesce a trovare una propria strada e, così facendo, a prendersi una rivincita in extremis nei confronti dei Marvel Studios, tra l'altro proprio ora che stanno attraversando forse la loro fase più difficile.
Quindi no, Black Adam non è (e d’altronde non avremmo immaginato esito diverso) una rottura netta, una ridefinizione così tanto sicura di sé. Al contrario, il regista, Jaume Collet-Serra (che aveva già collaborato con Johnson nel sottostimato Jungle Cruise), e la sua squadra sembrano essere andati a scuola da Zack Snyder, sia per l’uso incontrollato ed ipertrofico che fanno degli slow-motion, sia per una fotografia leziosissima e patinata, seppur non ai livelli estremi di un 300 o di un Army of the Dead, così come per l’uso muscolare, eppure proverbiale, di classici rock come Paint It Black, che accompagna il ralenti più smodato dell'intera pellicola.
E no, Black Adam non è il film su un antieroe. Per quello esiste già, e per fortuna, la squadra suicida di James Gunn. Anzi, come prevedibile che fosse, alla fine il personaggio di Johnson diventa un eroe nel senso più stretto del termine: affabile, accomodante, divertente, family-friendly, protagonista dell'ennesimo buddy movie; solo costretto, ogni tanto, a qualche posa, frase, atteggiamento da “villain” od uccisione nei limiti di un PG-13.
È senz’altro più corretto affermare che quello di Collet-Serra è piuttosto uno dei progetti DC/Warner a mostrarsi maggiormente derivativo e debitore, specie in termini di idee estetiche e di design, nei confronti dell’odissea Marvel. E di questo, su tutti, sono passibili i membri dell’inedita Justice Society of America, che è forse l’ingranaggio meglio oliato e più sorprendente del pacchetto; la vera colonna vertebrale del racconto e l’eccellente antidoto contro l’onnipresenza e l’inscalfibile ed assoluto centrismo (sotto tutti i punti di vista) di The Rock e del suo (anti)eroe.
Si pensa invero al Doctor Strange di Benedict Cumberbatch, alla dimensione specchio, alle illusioni che proietta per confondere il nemico, alla sua premonizione in Avengers: Infinity War, guardando all’opera il Doctor Fate di un malinconico, affascinante e raffinatissimo Pierce Brosnan. Come non rivedere inoltre un misto di Ant-Man, Deadpool e Spider-Man nel sacrificato Atom Smasher di un altrettanto ridotto e ridicolo Noah Centineo? E chi non ha pensato o penserà a Falcon assistendo ai voli vorticosi dell’Hawkman di un Aldis Hodge un po’ troppo irrigidito, oppure alla tecnologia wakandiana durante i numerosi viaggi a bordo della sua navicella?
È forse questo il primo, vero sintomo - come avvenne, seppur con intensità decisamente minore, nel fumetto - di una sovrappopolazione iconica, di una sovrabbondanza estetica e di un conseguente raffreddamento del sense of wonder all'interno e nei confronti del cinema supereroistico? Un’omologazione di cui scorgiamo qui i primi, evidenti e deleteri baluginii?
Eppure, tutto questo importa poco a Black Adam, che riesce a divertire, intrattenere e far funzionare il copione - decisamente al risparmio, sottosviluppato, contraddittorio con sé stesso e dissonante col resto del proprio universo di appartenenza (su questioni etico-morali e filosofiche) - di Adam Sztykiel, Rory Haines e Sohrab Noshirvani.
Il che è quasi un miracolo o, come dice la Cyclone di una soffocata Quintessa Swindell, “un’impossibilità fisica”, considerato inoltre il caos di elementi e di (pochi) stimoli di cui esso si compone (ad un certo punto, vi è pure una citazione ed una ripresa, a dir poco sconcertanti, del triello de Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone), la rapidità con cui sacrifica un interessante gancio politico, instillando ed instradando invece il racconto verso un populismo ed un giustizialismo che sfuggono pericolosamente al controllo, trasformandosi quasi in un inno, in un'apologia; ed infine vista soprattutto l’evidente ripetitività e fissità nella costruzione dell’action.
Ancora una volta, la risposta a questa impossibilità è da trovare nella sinergia produttiva tra Collet-Serra e Dwayne Johnson [simile per certi versi, seppur con le debite proporzioni e contestualizzazioni, a quella tra McQuarrie e Cruise], che, in questo caso, si dimostra abile nel non far percepire, pesare, o meglio, nel nascondere un soggetto insipido e proverbiale, vecchio all’incirca come il suo protagonista, dietro il mantello, i muscoli e i fulmini di un film senz’altro testosteronico, coatto, naif, tuttavia capace di fare buon cinema d’intrattenimento. E questo è ben più di quello in cui l’universo DC possa sperare al momento. Perché, al contrario di quanto creda il nostro caro Kent Nelson, forse non c’è più tempo per cambiare il futuro.
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