TITOLO ORIGINALE: Joker
USCITA ITALIA: 2 ottobre 2019
USCITA USA: 4 ottobre 2019
REGIA: Todd Phillips
SCENEGGIATURA: Todd Phillips, Scott Silver
GENERE: drammatico, poliziesco, thriller, noir
PREMI: 2 PREMI OSCAR per MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA e MIGLIORE COLONNA SONORA
Un Joaquin Phoenix camaleontico ed irriconoscibile nell’ultimo film di Todd Phillips, premiato con il Leone d’oro a Venezia. Un film crudo, angosciante, opprimente, spietato, sulla caduta e la rinascita di un fragile e sventurato escluso, come re del crimine
Mi ricordo ancora le prime reazioni quando uscirono le prime immagini e i primi sneak-peek di questo film. “Heath Ledger non si batte”, “Non ne capisco il senso, c’è già Leto come Joker”, “La DC non ne azzecca mai una, quindi farà sicuramente schifo”, “Il look è orrendo”, “Joaquin Phoenix non è adatto ad interpretare il Joker”, e via dicendo. Lo ammetto, anche io non credevo molto al progetto e il mio hype per questa pellicola non era poi così alto. Poi è successo. Joker di Todd Phillips, presentato al 76esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, vince il Leone d’oro. E lì, l’attenzione di tutti si è destata e si è iniziato a sospettare che il film, forse, nascondesse qualcosa di più, dietro alla facciata da semplice cinecomics DC. Iniziamo col dire che il film non è e non vuole essere un cinecomics. Infatti, per esempio, nella locandina, non appare il classico simbolo della DC Comics. Già questo potrebbe essere un indizio per capire la natura e la volontà artistica della pellicola. Il film è, rigorosamente, un film d’autore, niente di più e niente di meno. Ed è mastodontico! Si prende la materia originale, si conservano alcuni pezzi e se ne buttano via altrettanti, rimaneggiando ed adattando, per rendere il tutto meno fumettoso possibile. Todd Phillips, insieme a Bradley Cooper, producono un film sensazionale, dark, opprimente, angosciante, emozionante, doloroso che si incastonerà definitivamente nell’immaginario e nella memoria di tutti. Un’opera, semplicemente, da brividi. Un instant cult.
Todd Phillips, regista di un grande film – che si perde forse troppo nella seconda parte -, Trafficanti e di un altro prodotto a dir poco memorabile, Una notte da leoni, compie il grande passo della sua carriera cinematografica. Egli dirige in maniera cristallina e al limite della perfezione, una pellicola dalla forte identità e grande prestigio. Per tutta la durata dell’opera, la direzione registica di Phillips è sempre alla ricerca della perfezione dell’inquadratura, per rendere la scena più comunicativa ed espressiva possibile. Viene valorizzata, in modo incredibile, la recitazione, la bravura e l’espressività del suo interprete principale, Joaquin Phoenix, su cui si regge la quasi totalità della pellicola. Phillips prende lo spettatore per mano e lo porta con sé nel viaggio infernale, svolto da Arthur Fleck/Joker, e nella psicologia dello stesso. La regia di Phillips è attenta, curata, emozionale, brutale, morbosa e riesce a trasmettere alla perfezione le idee, i sentimenti e l’interiorità di Arthur Fleck, in una maniera molto delicata, molto fragile ed estremamente forte. Il regista di Una notte di leoni (che bel salto di qualità) costruisce con fascino e curiosità, attraverso le varie inquadrature, il personaggio di Arthur Fleck. Egli si concentra specialmente su primi piani, inquadrature dal basso, inquadrature evocative e raffinate, volte ad indagare il protagonista e rare in molti dei cinecomics odierni. Phillips rende la figura di Joker ancora più iconica di quanto già è. In ciò è aiutato, ovviamente, dalla magnifica ed istrionica interpretazione di Phoenix.
Ci troviamo nell’immaginaria cittadina americana di Gotham. Una metropoli degradata, abbandonata a sé stessa, al crimine e alla miseria che serpreggiano incontrastati. Una città in cui c’è un profondo divario tra ricchi e poveri, tra fortunati e sfortunati. Arthur Fleck fa parte di quest’ultimi. Come lavoro, egli fa, appunto, il pagliaccio per feste, ospedali e attività commerciali. Il clown vive in un condominio disagiato, con la madre, ex-dipendente delle potenti Wayne Industries e profonda conoscente del loro dirigente, Thomas Wayne. I due vivono una vita fatta di stenti e di miseria. A tutto ciò si unisce il fatto che Arthur non ci sta proprio con la testa. Egli soffre di un disturbo che, casualmente, gli provoca inaspettati e persistenti attacchi di risa. Il suo grande sogno è diventare un cabarettista e fare della comicità la sua professione. Una serie di avvenimenti, disgrazie, tragedie, peripezie lo porteranno lontano dalla retta via, lo faranno uscire dal tracciato ed intraprendere una letterale discesa all’inferno e nella pazzia più totale, diventando così il Joker. Il soggetto del film di Phillips riprende, per sommi capi, l’origine della controparte fumettistica di casa DC Comics. Il chiaro intento della sceneggiatura di Phillips stesso e Scott Silver è, tuttavia, quello di discostarsi il più possibile dal media fumettistico e dare una personale interpretazione della storia e dell’universo del Joker. Ovvio, ci sono piccoli rimandi ed easter eggs, riconoscibilissimi dagli appassionati dei fumetti, ma, per il resto, finita lì. Mentre si guarda il film, infatti, si ha costantemente la sensazione che ciò che sta avvenendo su schermo è un qualcosa di originale e mai visto per quanto riguarda il personaggio (arrivato alla sua settima incarnazione cinematografica). Phillips e Silver portano su schermo una vicenda estremamente introspettiva, psicologica, tenebrosa, intima, personale, interiore, tenebrosa, critica, penosa e travagliata. Il film potrebbe essere benissimo categorizzato come un thriller psicologico, più che un cinecomics o un film drammatico classico. La sceneggiatura e, in generale, la pellicola di Phillips è, inoltre, una pellicola di forte denuncia, nei confronti di una società meschina, avara, falsa, miope, che abbandona e si dimentica completamente dei meno fortunati, dei disgraziati, dei miserabili. Basterà soltanto una piccola scintilla o meglio un paio di colpi di pistola perché le tensioni tra borghesi e abietti esplodano in una serie di eventi inarrestabile.
Il viaggio turbinoso e vertiginoso di un rinnegato, di un escluso un po’ squilibrato nella sregolatezza e pazzia più totali viene reso ancora più concreto e reale con dialoghi e riflessioni magnifici, chiari, potenti, a volte brutali, diretti e plausibili. Ciò che rende questo Joker diverso dalla massa di cinecomics e lo distingue da questi, è che non si deve mai ricorrere alla sospensione dell’incredulità. Tutto è possibile, tangibile, autentico e fattibile. L’evoluzione, la presa di coscienza da parte del personaggio di Arthur Fleck e la genesi del Joker viene delineata e descritta, abilmente e chiaramente, da parte della sceneggiatura. Questo delineare così curato e preciso rende possibile una formidabile immedesimazione, ma, allo stesso tempo, un inquietante timore, con la tragicommedia vissuta dal nostro Joker. Ciò che commette Arthur nei suoi scatti di pazzia, ci trova contrariati e molto impauriti. Nonostante ciò, non possiamo fare a meno di compatire questa figura tragica, sfortunata e drammatica. Siamo affascinati dalla psicologia che si nasconde dietro la maschera di Fleck, nella sua psicologia, ci immedesimiamo in lui e, simultaneamente, proviamo timore nei suoi confronti. Questo rapporto che si instaura tra il personaggio filmico e il pubblico viene retto perfettamente, con un ritmo sferzante, tagliente, vertiginoso e tramite twist, colpi di scena e ribaltamenti di fatto imprevedibili e sorprendenti. Durante la visione, si è sempre più interessati a scoprire quale sarà il prossimo passo falso nella vita di Arthur e quando, finalmente, cederà e calerà la maschera, rivelando la sua vera natura.
Ciò che corona questa quasi totale perfezione registica e narrativa è la meravigliosa interpretazione di Joaquin Phoenix. Nel film, l’attore di San Juan regala una delle prove attoriali migliori della sua intera carriera, al pari di quelle di Vizio di forma, Il gladiatore e Her. Come già detto, Phoenix regge sulle sue spalle l’intera pellicola, diventandone, come era ovvio che fosse, il fulcro, il perno da cui tutti dipendono, anche il grandissimo Robert De Niro. L’attore, nominato tre volte per un Oscar, quest’anno potrebbe raggiungere il tanto desiderato premio, proprio grazie a questa magnetica interpretazione di Arthur Fleck/Joker. Nella pellicola, Phoenix segue un po’ la filosofia di Christian Bale. Infatti, per l’occasione, l’interprete ha perso ben 24 chili e si è immedesimato completamente nel personaggio, studiando le risate di pazienti affetti da un disturbo emotivo di origine neurologica noto come Pseudobulbar affect e leggendo numerosi libri, riguardanti attentatori politici e figure simili. Insomma, un attore con la A maiuscola. Sia come Fleck che come pagliaccio, Phoenix incute un timore ed un’inquietudine tremendi, diventando quasi irriconoscibile, camaleontico. Egli regala un’interpretazione sia fisica che espressiva e fortemente emotiva. Phoenix coglie tutte le possibili sfaccettature e lati del personaggio caratterizzato magnificamente già dalla sceneggiatura. Egli aggiunge potenza ad una figura già di per sé iconica e forte, visivamente e concettualmente. Qui lo dico e qui lo nego, con questa prova d’attore, quello di Phoenix diventa il mio Joker preferito, superando il gangster omicida, interpretato da Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Phoenix aggiunge, con la sua interpretazione, quella tragicità, quella tragicommedia, quel tocco di fragilità, quella profondità caratteriale, rendendo il personaggio di Arthur Fleck veramente unico. Imprevedibile, fatale, sventurato, sognatore prima, spietato poi; la moltitudine di lati presenti nel protagonista del film di Phillips, e la sua complessità favoriscono la riuscita positiva, la comprensione, l’empatia, il timore che il pubblico proverà, mentre affronterà, seduto nella poltroncina, l’odissea dello squilibrato e povero Arthur, nella sua discesi agli inferi e conseguente rinascita come il pagliaccio del crimine. L’icona che tutti noi conosciamo.
Nelle retrovie, oscurato dalla bravura di Phoenix – in cerca di Oscar – troviamo il sempre raggiante e maestoso Robert De Niro, simbolo di una connessione evidente tra questo film e Taxi Driver (una scena è proprio una semi citazione al capolavoro di M.S.) e Re per una notte di Scorsese. Il Joker si rifà palesemente al carattere e alla caratterizzazione di Travis, il taxista della pellicola di Scorsese. Entrambi sensibili, fragili e condizionabili, Arthur e Travis prendono coscienza dell’ipocrisia e della realtà dei fatti, di come ruota il mondo e, come prodotti della società degradata, si ribellano, agiscono, feriscono. La presenza di De Niro, nel film, è un chiaro omaggio a uno dei personaggi più importanti della sua carriera. Qui, al contrario, l’attore interpreta proprio la cecità e l’ipocrisia della società, oscurata, allontanata dalla realtà e intontita attraverso i programmi televisivi, come i talk show. De Niro interpreta proprio un comico, conduttore di un suo talk show in cui non importa altro che l’apparenza. Non si possono fare allusioni sociali, politiche, battute scorrette, umorismo nero, sarcasmo. Tutto deve essere finalizzato all’intrattenimento facile, immediato, castrato. Diciamo che, qui, De Niro è proprio un Re della notte, un re della TV, un re dello show business, un personalità di spicco che entrerà, suo malgrado, in contatto con il nostro Arthur Fleck. In secondo piano, ovviamente sacrificate, troviamo altre due ottime attrici: Zazie Beetz e Frances Conroy, entrambe ugualmente ispirate.
A completare un quadro tecnico cristallino si aggiungono una fotografia curata, in linea con l’atmosfera e le ambientazioni del film, un montaggio che aiuta notevolmente il ritmo del film e la regia nelle scene più movimentate e una colonna sonora significativa. La regia e la sceneggiatura di Phillips avrebbero inciso forse leggermente meno, se l’estetica del film non fosse altrettanto curata. In particolare, sto parlando della fotografia. Questa si interfaccia completamente con l’apparato emotivo e legato ai sensi del film. I colori, i toni, le sfumature assistono nel rendere costante il senso di oppressione, di angoscia, di disagio, di violenza fisica e psicologica del film. La fotografia del film, polverosa, granosa, spessa (almeno nella versione in 70mm che ho visionato), dark, valorizza il degrado e il sudiciume degli ambienti e di Gotham. In più, essa accompagna magnificamente e visceralmente l’avventura di Arthur nel suo io, nella sua psicologia, così come nelle strade della metropoli inventata. Alcune sequenze spezzano e accelerano esponenzialmente il ritmo e il crescendo introspettiva della maggior parte del film. Sto parlando, soprattutto, degli ultimi 20 minuti finali del film. Veramente esplosivi, incandescenti, turbinosi, rapidi, intensi, improvvisi, sorprendenti, tesi. Gli ultimi minuti della pellicola sono la perfetta conclusione di una gigantesca avventura al cardiopalma, con un finale altrettanto singolare, poetico e significativo.
“Sorridi, anche se il cuore ti duole/sorridi, anche se si sta spezzando/quando ci sono/nuvole nel cielo/ci passerai sopra/se sorridi attraverso la tua paura e al dolore/[…]/ma anche se una lacrima sta per scendere/è quello il momento in cui devi/continuare a provare/sorridi, a che serve piangere?”. Così recita la canzone Smile di Charlie Chaplin, manifesto musicale, che racchiude il mantra e il tema principale dell’opera del film di Todd Phillips. All’interno della pellicola, sentiamo la versione di Nat King Cole, ma il fatto che la canzone sia, originariamente, di Chaplin racchiude un significato sublime e profondo. Il film cita le vecchie pellicole comiche mute e riprende costantemente il tema della comicità, della commedia, o meglio della tragicommedia. Il concetto di commedia è, da sempre, connesso a quello di risata, caratteristica fondante del personaggio del Joker e Chaplin è l’esempio perfetto del personaggio comico che fa ridere, proprio perché tutto gli va storto, tutto gli è contro, così come il nostro protagonista. Possiamo quindi dire, come afferma lo stesso Arthur nel film, che la sua vita non è altro che una tragicommedia, seppur molto più drammatica ed angosciante di quella di Chaplin. Infatti, costantemente, lo spettatore si interroga sul limite sopportabile da Fleck e su quando costui non riuscirà più a sopportare questi soprusi, questa mediocrità e scatenerà la sua vera indole. La sua esistenza è, in definitiva, tragicomica, proprio perché tutto gli si scaglia contro, sembra che nulla gli vada bene. Gli effetti di questa condizione sono ben visibili durante la visione del film. E non finisce qui! Questo è soltanto un lato dello sfaccettato Joker, un film sorprendente, originale, maestoso, crudo, viscerale, autoriale ed autentico. In sintesi, un vero pugno allo stomaco. Uno dei migliori film dell’anno, se non degli ultimi anni. Un capolavoro.
Put on a happy face
Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) nel film