TITOLO ORIGINALE: The Fall Guy
USCITA ITALIA: 1° maggio 2024
USCITA USA: 3 maggio 2024
REGIA: David Leitch
SCENEGGIATURA: Drew Pearce
CON: Ryan Gosling, Emily Blunt, Winston Duke, Aaron Taylor-Johnson, Hannah Waddingham
GENERE: azione, drammatico, thriller, commedia
DURATA: 126 min
Da The Gray Man a The Fall Guy, il passo per Ryan Gosling è più breve di quanto si potrebbe immaginare: basta riconoscere il miglior funzionamento della sua marca divistica se e quando presa poco seriamente. Autoironico come già in The Nice Guys e il più recente Barbie, e in coppia con Emily Blunt, l'attore interpreta uno stuntman in cerca d'amore nella nuova action comedy di David Leitch, opera ambiziosa e tra le più comiche del suo cinema. Ma lo stesso, veramente, sinceramente, imperfetta.
Non è (più, o forse non è mai stato) solo Ken: per Ryan Gosling, il passo da The Gray Man a The Fall Guy è molto più corto e facile di quel che si potrebbe pensare. Ad informarlo, più che l’idea, è la certezza che - al di fuori dello stereotipo del rubacuori adonico o tormentoso e tormentato - il suo corpo, la sua marca, la sua immagine divistica funzionino meglio se presi poco sul serio. Quando distrutti, punti, sfregiati, umiliati ludicamente, mandati a sbattere contro il muro dell’insicurezza o gettati in pasto alle fiamme. Una solida realtà che, per chi conosce la filmografia del nostro biondissimo ed erculeo (in giovane età), già balzava agli occhi nelle esilaranti baruffe con Russell Crowe in quella poca celebrata gemma buddy che è The Nice Guys di Shane Black.
Prendete allora l’ebbro e nevrotico investigatore March, svestitelo dell’allure noir dello stuntman nottambulo di Drive o della statura superomistica e bondiana del succitato The Gray Man, riempitelo di steroidi e della fantomatica Ken-energia, e otterrete infine il delizioso Colt Seavers, eroe, pupo, segno, ennesimo instant-meme, ma anche e soprattutto gradito cadeau dell’ultima performance registica di David Leitch. Quest'ultimo, dopo aver assistito il parto dell’icona action contemporanea per eccellenza (stiamo parlando ovviamente di John Wick, ndr) e diretto alcuni fra i più riconoscibili esponenti del filone (Atomica Bionda e Bullet Train), prende qualche spunto vago e formale (oltre agli attori originali) della serie TV (s)cult anni ‘80 Professione pericolo per realizzare quello che, ad oggi, è il suo film più puramente comico e, al contempo, più ambizioso.
Da un lato, The Fall Guy ha allora il cuore di una rom-com acqua e sapone come si facevano tre decadi fa (tra equivoci e imprevisti che ostacolano il naturale e pressoché scontato amore condiviso dalla coppia protagonista), solo ribaltata e aggiornata alle correnti abitudini. Dall'altro, mette in mostra i muscoli, per l’appunto, di una solita commedia d’azione à la David Leitch. Dunque: curata (da buon stuntman qual era e sempre sarà) nella regia e nella resa coreografica delle sequenze più frenetiche e spettacolari, in tutto e per tutto aderente alla natura fracassona da blockbuster estivo, senza per forza rinunciare ad una deformazione postmoderna, ipercitazionista e - rullo di tamburi - questa volta pure metacinematografica! Quasi una sorta di figlio putativo di Tropic Thunder, Arma letale e Fletch.
La storia e la sceneggiatura di Drew Pearce seguono infatti le orme o, meglio, i capitomboli e gli schianti di uno stuntman al servizio delle grandi produzioni hollywoodiane. Caduto in disgrazia e depressione dopo un brutto incidente, egli torna in pista - nascosto in piena vista, ben celato dalla macchina da presa - al fine di riconquistare il cuore della sua vecchia fiamma Jody Moreno, sagace macchinista, ora passata alla regia con MetalStorm, una space-opera dai contorni sentimentali fra Dune, Mad Max, Starship Troopers, Mezzogiorno di fuoco, un film di Zack Snyder e uno di James Gunn. A tal scopo, non dovrà soltanto fare quel che sa meglio, non dovrà solo fingere di essere qualcun altro e rischiare la pelle al posto suo, ma anche salvare il progetto dal suo stesso attore protagonista, l'action star Tom Ryder, suo storico "originale", il quale, nel frattempo, è sparito senza lasciare alcuna traccia…
Dapprima agile terreno di gioco capace di ospitare, allineare e dar un barlume di senso ai più disparati riferimenti (da Dumbo a Fast & Furious, da Notting Hill a Miami Vice, da L’ultimo dei Mohicani a Jason Bourne, da Buster Keaton a Dwayne Johnson o Jason Momoa), questo racconto diventa una ghiotta occasione per David Leitch, che sceglie di assecondare molteplici urgenze e lavorare su diversi livelli teorici o pseudo-tali.
La sua è quindi, in primis, un'ode alla concretezza, ad un realismo che non incateni, ma anzi permetta di volare ancora più in alto. O, più semplicemente, al cinema analogico del Novecento e ai suoi “eroi ignorati”: gli stuntman, co-piloti della macchina dello spettacolo - portati sotto i riflettori, smascherati insieme ai loro trucchi di prestigio e astuti stratagemmi, poi trasfigurati in armi -, coloro che allacciano la cintura di sicurezza per permettere allo spettatore di slacciare la propria e così vivere la “simulazione incarnata” di un’emozione, come direbbe qualcuno. Potremmo perciò intendere The Fall Guy sia nei termini di un'allegoria pseudo-autobiografica e autoriflessiva della doppia esperienza leitchiana (immaginata appunto nel rapporto passionale e conflittuale tra una controfigura e una regista), sia sotto il profilo di puntuale commentario sulla deriva digitale, virtuale, artificiale, sull'artificiosa falsità della finzione o, detto altresì, sull’utilizzo sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale, di algoritmi e tecnologie di rendering - già villain affermati dell’ultimo Mission: Impossible, nonché al centro delle rivendicazioni e proteste del recente sciopero di mezza Hollywood.
Il tutto, senza perdere di mira l’intrattenimento o abbandonare la missione di (The) Greatest Show on Earth, favorito oltre che da spassose e piacevoli sequenze d’azione (solo mai davvero esplosive o memorabili), da scambi e dialoghi degni di una screwball, e da un cast dotato di una forte sintonia, che conta, in aggiunta a Gosling (anche produttore), una Emily Blunt molto pratica - reazione (nucleare) ritardata del Barbenheimer -, un Winston Duke che, a quanto pare, non ha ancora smesso del tutto i panni da wakandiano, un Aaron Taylor-Johnson ormai sodale e sempre più eccentrico, e una Hannah Waddingham (da Ted Lasso) grande mattatrice.
Ciò nondimeno, presi come sono dalla robustezza e potenza di una sfavillante confezione pop in grado di soddisfare e divertire allo stesso modo addetti ai lavori e spettatori (cinefili e non), Leitch e Pearce si dimenticano di riempirla, questa confezione. Superata una prima ora in cui la pellicola gira a vuoto, su sé stessa, i due si ricordano di aver un intreccio da innescare, e si inventano una corsa dal movimento ondivago, priva di un vero e proprio equilibrio; una narrazione che prende le mosse unicamente dall’ambiguità di significato del titolo: letteralmente l’uomo che cade, ma anche il capro espiatorio.
Insomma, se il suo cuore è al posto giusto (quello di guida) e i suoi muscoli atletici e vigorosi, l’anima del film è invece fragilissima, soggetta inoltre a numerosi contraccolpi, sbandate e ammaccature nello strenuo tentativo di tenere fede e dare costrutto ad un’idea e uno spirito ben precisi. Questi, a loro volta, trovano il modo per piombare, qua e là, nella caratterizzazione dei personaggi, tuttavia non fra le pieghe di una storia in cui, malgrado tutto, la cosa più assurda e singolare è che il nostro Gosling interpreti il doppio di Aaron Taylor-Johnson e non l’esatto contrario. Proprio in questa sua visibile gracilità e smodata ambizione, The Fall Guy ricorda e, a momenti, è il Babylon dell’action odierno (nella speranza che almeno questo possa incontrare i favori del grande pubblico). In sintesi, un’acrobazia imperfetta, in sintesi. Ma vera e sincera, risponderebbe David Leitch.
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