TITOLO ORIGINALE: Sulla stessa onda
USCITA ITALIA: 25 marzo 2021
USCITA USA: 25 marzo 2021
REGIA: Massimiliano Camaiti
SCENEGGIATURA: Claudia Bottino, Massimiliano Camaiti
GENERE: drammatico, sentimentale, sportivo
PIATTAFORMA: Netflix
Sara e Lorenzo, entrambi figli di matrimoni fallimentari ed infranti e grandi appassionati di vela, si innamorano in quella che sembra essere una classica storia d'amore estiva e adolescenziale. Tuttavia, quando la ragazza inizia a mostrare i primi segni di un male incurabile, i due devono prendere una decisione che potrebbe cambiare decisivamente la propria vita e il proprio futuro.
Quarto film (dei sette previsti) della partnership Mediaset-Netflix, Sulla stessa onda di Massimiliano Camaiti è esattamente ciò che sembra. Vale a dire un teen drama o, più precisamente, weepie teen che vorrebbe essere la risposta tutta italiana non solo al connazionale Sul più bello, ma anche a pellicole hollywoodiane come Colpa delle stelle e A un metro da te, ma che, al contrario, si mostra come un prodotto privo di cuore e battito narrativo, fin troppo "targettizzato" e convenzionale. Se, dal punto di vista tecnico e di messa in scena, la pellicola Camaiti è ascrivibile all'house style di gran parte delle produzioni Netflix, a livello di sceneggiatura, la stessa mostra il fianco a superficialità marcate ed enfatizzazioni eccessive e ad una costruzione "impalettata" e costretta. Da criticare non per quello che è, ma per quello che avrebbe potuto essere.
Qualche mese fa, chi scrive prese in prestito le parole di una nota canzone di Renato Carosone (Tu vuò fà l'americano) e le utilizzò per chiarire meglio uno dei difetti maggiori de Il talento del calabrone, drama-thriller tutto italiano per la regia di Giacomo Cimini (qui la recensione in questione). Infatti, il cantato e la critica cantata di Carosone potevano essere perfettamente declinate e applicate all’assunto secondo cui il film di Cimini si accontentava di fare (male) il verso ad un cinema fin troppo lontano dagli standard produttivi intrinseci e attuali dell’industria del Bel paese. E che nella produzione dello stesso non vi era stata, a differenza di Lo chiamavano Jeeg Robot, alcuna rielaborazione autoriale o, comunque, vividamente italiana rispetto ad un filone tipicamente e propriamente hollywoodiano.
Il talento del calabrone è però solo il titolo di una delle molte pellicole made in Italy facenti parte di un’inclinazione produttiva sempre più evidente all’intero dell’industria nostrana, che - proprio a partire dal superhero movie formato Trastevere - sta pian piano tentando di importare e reinterpretare forme, modelli e (soprattutto) filoni di un modo di fare e pensare il cinema - quello statunitense - del tutto divergente se confrontato con la realtà italiana.
Negli ultimi anni, così come nel ventennio ‘60-’70 con Leone, Bava, Lizzani e Lenzi, la produzione de noantri ha dunque (ri)abbracciato i generi, seppur non sempre con risultati ottimali. Rimpatriata che ha fatto (ri)assaporare i toni e (ri)entrare in contatto le cineprese nazionali con le dimensioni del gangster/junkie movie con Smetto quando voglio, del fantasy con Il racconto dei racconti, del film sportivo di corse con Veloce come il vento, del thriller con Sicilian Ghost Story, le due trasposizioni di Carrisi e il già citato film di Cimini, del musical con Ammore e Malavita, dello storico con Il primo re, dell’horror con The Nest e Suspiria.
E, negli ultimi tempi, anche del coming of age/teen drama - con tanto di diramazioni e sottocategorie annesse e connesse - con pellicole come la qui recensita e analizzata Sulla stessa onda.
Quarto film (dei sette previsti) della partnership Mediaset-Netflix [i tre già rilasciati sono Ultras, Sotto il sole di Riccione e L’ultimo paradiso], il racconto di Massimiliano Camaiti (anche regista) e Claudia Bottino è quello di un classico amore estivo che nasce e si sviluppa sulla scia di un corso di vela nell’isola sicula di Favignana. Lei, Sara (Elvira Camarrone), è un’ex-campionessa nazionale che ha dovuto abbandonare i propri sogni competitivi, in seguito alla comparsa dei primi segni di una distrofia muscolare, malattia degenerativa per cui (purtroppo) non si conosce cura. Lui, Lorenzo (Christian Roberto), pratica la vela a livello agonistico e forse ritrova in Sara il coraggio e l’intraprendenza di cui ha sempre latitato.
I due, figli di matrimoni fallimentari ed infranti (uno per un divorzio, l’altro per un male incurabile), si innamorano a colpo d’occhio ma, come sempre accade, dovranno ben presto fare i conti con la realtà dei fatti, con quello che la malattia di Sara pregiudica e pregiudicherà a livello di rapporto sentimentale e di vita e, conseguentemente, con i fantasmi del proprio passato e le speranze per il proprio futuro.
Ambientato in una Sicilia ritratta in modo inusuale e mai cartolinistico dalla macchina da presa di Camaiti e splendidamente fotografata da Michele Paradisi, Sulla stessa onda è riconducibile - almeno sotto il profilo tecnico-estetico - all’house style convenzionale, solido e controllato di gran parte delle produzioni Netflix. Vale a dire ad un’attuazione che si limita al minimo indispensabile per trasporre su schermo una tipica storia d’amore adolescenziale, inserito nella corrente relativamente recente del teen weepie à la Colpa delle stelle o A un metro da te.
Il che se, da un lato, garantisce e dà forma ad una messa in scena composta, poco invadente e assennata in tutte le sue parti, dalle scelte sempre funzionali e comode (seppur non sempre condivisibili) e dagli intenti ben precisi; dall’altro penalizza esponenzialmente il risultato finale di un prodotto ben inquadrato, ma che, proprio per questa sua rigidità editoriale e limitatezza spettatoriale, soffre l’ovvio confronto con alcuni suoi fratelli maggiori. Tra cui (sempre rimanendo all’interno del panorama italiano) il recente Sul più bello dell’esordiente Alice Filippi, presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma e candidato ad un David di Donatello.
Due film, quello di Camaiti e quello della Filippi, non molto dissimili nelle premesse e nella formula: l’elemento adolescenziale e coming of age si unisce alla tematica della malattia, mettendo in gioco un rapporto di coppia (ed eventuali rapporti d’amicizia connessigli) che deve scontrarsi, abbracciare la vita e non soccombere di fronte a problemi, drammi ed interrogativi più grandi di loro; ma completamente antitetici nell’attuazione e nelle atmosfere.
Infatti - forte di un’estetica zuccherosa ed eccentrica a metà tra Il fantastico mondo di Amélie e Midnight in Paris, di una protagonista di carattere, di un’ambientazione anomala e di una personalità energica alla regia -, Sul più bello opta per la via della commedia, dell’ironia, del sarcasmo e della presa in giro della realtà della malattia, della parabola del principe azzurro e, con essi, di tutto il filone e l’iconografia entro cui si riconosce. Senza però rinunciare ad una linea sentimentale “acchiappa-teenager” narrativamente conforme.
Al contrario, Sulla stessa onda si presenta come una pellicola ben più inscritta e riferita al genere a cui si rifà, che abbraccia volentieri la più ordinaria e prevedibile via del melodramma e si stanzia su temperature più melense e su sentimenti e rapporti dalle dinamiche proverbiali e ammodo.
E fin qui, malgrado (e ci riferiamo al film di Camaiti) il rischio di cadere nello scontato e nel trito e ritrito fosse all’orizzonte, non ci sarebbe stato alcun problema in quelli che sono, a tutti gli effetti, due approcci distinti e diversificati alla stessa materia. L’unica cosa che conta è come suddetto contatto si concretizzi e sviluppi in un racconto di senso compiuto con intenti tematici, sensazionali ed intrattenitivi marcati e specifici. Sotto questo aspetto - come suggerito sopra -, Sulla stessa onda non riesce a reggere il confronto con l’opera prima della Filippi. E non solo perché più convenzionale e docile, ma anche e soprattutto perché superficiale, sbrigativo e dunque fallimentare in molti suoi risvolti e spunti.
Questo senso di genericità ed inconsistenza è palpabile fin dalla stessa caratterizzazione dei due protagonisti, il cui povero sviluppo, insipida introspezione e spropositata canonicità ne condizionano pesantemente anche il funzionamento, il fascino (presso gli spettatori) e la credibilità in quanto coppia; e del parterre (ristretto) di comprimari e personaggi secondari. Che, ciononostante, riserva qualche sorpresa gradita, soprattutto in materia di spalle comiche [ottimo il lavoro compiuto sui personaggi interpretati da Manuela Ventura e Sofia Migliara] e nella sensibilità dimostrata in un sovvertimento quasi impercettibile dei ruoli genitoriali.
Sorpresa al negativo è invece quella concernente qualche linea di dialogo peculiare ed artificiosa, per non dire improbabile, che mette a dura prova il coinvolgimento dello spettatore nel mondo diegetico. A ciò sommiamo una mancanza di misura e di un bilanciamento tra la componente melò e quella drammatica - verso cui sembra propendere con piacere l’ago della bilancia - che compromette rovinosamente quell’aspetto di spontaneità, ingenuità, sfrontatezza e scherzo propri e ricercati dai (bei) racconti di formazione. E che avrebbero reso quello di Sulla stessa onda un qualcosa di fresco, piacevole e (soprattutto) bilanciato.
Quella che si mostra agli occhi del pubblico è dunque una trattazione priva di alcun battito narrativo che, quando non è impegnata ad autocommiserarsi e a vittimizzare e sensazionalizzare pretestuosamente il dramma della malattia, si carica di una vena tragica enfatizzata e (da lei) insostenibile che, salvo qualche eccezione (comicamente infelice), reprime eventuali momenti di leggerezza e distensione dal respiro adolescenziale, affievolendo così quel senso ultimo di speranza, sollievo e positività - caratteristico del filone weepie teen - tanto agognato da messa in scena e racconto.
In molti suoi momenti, Sulla stessa onda sembra rivestito da un velo grave, luttuoso e fatalista che rende la visione quanto di meno scorrevole e gradevole si possa immaginare - complice anche una progressione che attraversa tutti i luoghi comuni e la galleria di situazioni tipiche del genere -, costringendo l’intreccio ad intraprendere ed imboccare svincoli narrativo-tematici ben precisi, a scanso di altrettante iniziative introdotte ma trascurate (ben più promettenti e stimolanti), che si convertono pertanto in occasioni perse.
Perché non approfondire il rapporto, potenzialmente introspettivo e riflessivo, tra Sara e la sua terapeuta? Perché ci si accontenta di colpire lo spettatore con la morte (estremamente fuorviante e disonesta) di una bambina di dieci anni e non si da invece più spazio alle dinamiche tra i ragazzi del programma di riabilitazione? Perché la sequenza al museo con i due giapponesi colpisce di più e dimostra più delicatezza di molti dei frammenti propriamente sentimentali? Perché non si capisce quanto tempo passi tra una porzione di racconto e l’altra?
Queste sono solo alcune delle domande con cui Sulla stessa onda saluta e abbandona il proprio pubblico. Domande che, sfortunatamente, non trovano alcuna possibile risposta o scioglimento se non in una scrittura incostante, fatua e sbrigativa e in una costruzione dell'intreccio abbastanza raffazzonata; e che non vengono nemmeno sopperite da interpretazioni che, eccezion fatta per un’incantevole Elvira Camarrone, un delicato e fragile Corrado Invernizzi e le sopracitate Ventura e Migliara, raramente danno prova di un possibile valore e di una sperata incisività. E che, ancor più di rado, vengono fatte emergere debitamente dalla macchina da presa.
Abbottonato e paralizzato (vero Christian Roberto?), mai veramente esplicito e trasgressivo, spesso pretestuoso ed eccessivamente melenso, strutturalmente poco rifinito e tanto meno calibrato, Sulla stessa onda di Massimiliano Camaiti è un film insoddisfacente e fin troppo “targettizzato” - a livello di genere e di pubblico di riferimento - per poter competere con la concorrenza casalinga (men che meno con quella d’oltreoceano); che dà più l’idea dell’elaborato ad hoc di una catena di montaggio, che del parto accorato e accurato, sensibile e corale di una produzione ispirata. Ed è veramente un peccato che il risultato finale risponda a tali termini, in quanto, sotto le pieghe disastrose e mediocri di un melodramma atto a piacere ed emozionare i più giovani nei modi più leziosi, scontati e sleali, ad attendere lo spettatore, vi è una serie di momenti, stimoli e quadri di raro candore e morbidezza.
La sequenza finale, il background familiare da cui prendere spunto per essere migliori e fare quello in cui loro, i genitori, non hanno avuto successo, l’acqua come filo conduttore delle vite e dei destini di entrambi (per Lorenzo, l’unico squarcio su un futuro migliore ed un ricordo di natura quasi amniotica del calore e della protezione materna, per Sara, un luogo di rivalsa e riabilitazione), la già menzionata sovversione dei ruoli genitoriali, alcuni rimandi al cinema di Rohmer, una rappresentazione anomala e nuova della Sicilia: tutti dettagli e piccolezze che, pur non facendo certo gridare al miracolo, aprono una fessura su quello che Sulla stessa onda avrebbe potuto essere.
Possibilità e potenziale traditi e disillusi, tuttavia, da una confusione di toni e atmosfere, da un senso di costrizione e limitazione per quanto riguarda rappresentazione ed espressività, da risvolti stanchi e dozzinali e da scelte narrative discutibili; che affondano quella che, per l’appunto, sarebbe potuta essere la (nuova) risposta tutta italiana al canone hollywoodiano in ambito teen drama o, più nello specifico, weepie teen. Purtroppo per Camaiti (e per Netflix-Mediaset), quella risposta esiste già e condivide con Sulla stessa onda soltanto tematica e preposizione.
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