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SUL PIÙ BELLO, MAI GIUDICARE UN LIBRO DALLA COPERTINA

SCHEDA

TITOLO ORIGINALE: Sul più bello
USCITA ITALIA: 21 ottobre 2020
REGIA: Alice Filippi
SCENEGGIATURA: Roberto Proia, Michela Straniero
GENERE: commedia, sentimentale, drammatico

VOTO: 7+

RECENSIONE:

Il racconto della storia d’amore tra Marta, ragazza insolita e stravagante, affetta da fibrosi cistica, e Arturo, ragazzo belloccio della Torino bene. Trasposizione dell’omonimo romanzo della diciottenne Eleonora Gaggero, Sul più bello è un film che fa del compromesso la sua base fondante, importando, all’interno del contesto cinematografico italiano, il filone del weepie adolescenziale. Tuttavia, divergendo rispetto alle proprie origini, l’opera prima di Alice Filippi ha il pregio di condire un racconto abbastanza conforme e talvolta scontato con una comicità ironica e scanzonata, sorprendendo ed emozionando, senza stressare eccessivamente su di un’empatia forzata e pretestuosa.

Mai giudicare un libro dalla copertina. Proverbio saggio, forse usato un po’ troppo a sproposito. Così tanto a sproposito, da aver ormai perso gran parte della sua incisività e valore, tramutandosi in una frase di circostanza, all’apparenza, abbastanza saccente. Eppure, a volte, esso può rivelarsi realmente ed estremamente veritiero. E' questo il caso di Sul più bello, opera prima di Alice Filippi, basata sull’omonimo romanzo della diciottenne Eleonora Gaggero e presentata in anteprima durante l’edizione 2020 del festival Alice nella città.

La pellicola segue le orme di Marta, ragazza torinese insolita e stravagante, alla disperata ricerca dell’anima gemella. Orfana dall’età di tre anni, questa convive con i suoi due migliori amici Federica e Jacopo - entrambi gay - e, mentre “frequenta” la facoltà di psicologia, si guadagna da vivere, leggendo al microfono gli annunci delle offerte in un supermercato della città. Infatti, consapevole di non essere la più attraente delle ragazze, il microfono e gli altoparlanti rappresentano gli unici mezzi con cui riesce ad esternare la propria interiorità e la propria sagacia. Tuttavia, una volta fatta la conoscenza di Arturo, ragazzo belloccio e di buona famiglia, la vita di Marta viene completamente stravolta. Dopo giorni di stalking online e per strada, per una coincidenza improbabile, il ragazzo concede una cena alla ragazza e, superate le prime incomprensioni, tra i due nasce del tenero. Ciò nonostante, Marta sceglie di tenere Arturo all’oscuro di un piccolo particolare riguardante la propria vita, poiché timorosa della reazione di quest’ultimo. La ragazza infatti è affetta da una rara malattia genetica, chiamata mucoviscidosi (nient’altro che un sinonimo di fibrosi cistica), che non le permetterà di invecchiare e la costringe ad estenuanti abitudini terapeutiche.

Sul più bello

Tutto ciò - o anche soltanto il nome della malattia trattata - vi ricorda qualcosa? Se la vostra risposta è A un metro da te (2019), avete fatto centro. E qui mi ricollego al discorso sulle apparenze, fatto in apertura d’articolo. Giudicandolo semplicemente dalla locandina e dal trailer mostrati, il lungometraggio di Alice Filippi mi sembrava abbastanza debitore, nei toni e negli intenti argomentativi ed emotivi, al succitato film di Justin Baldoni, con Haley Lu Richardson e Cole Sprouse protagonisti. Tuttavia, una volta messi a confronto i due prodotti, devo ammettere che le differenze si notano eccome. Difatti, se la pellicola statunitense (essendo ispirata ad una storia vera) poneva, come focus principale e fondante il proprio intreccio, il racconto dettagliato e clinicamente informativo della malattia e di tutto ciò che comporta; Sul più bello concentra tutte le proprie forze sulla costruzione di una storia d’amore che si discosta dalla tradizione italiana, proprio per l’aggiunta del fattore patologico - che qui ricopre il ruolo di mero ostacolo al compimento di suddetto amore.

Li avete mai visti tutti quei film in cui l’eroina ha una malattia terminale, ma, nonostante la chemio e i respiratori, è una gnocca spaziale? Ecco, non è il mio film.

Marta (Ludovica Francesconi)

Questa discrepanza di focalizzazioni si traduce automaticamente in una differenza sostanziale di genere tra le due opere. Certo, potremmo inglobarle entrambe nel grande calderone del melodramma (o nella ristretta cerchia dei weepie adolescenziali). Ciò nonostante, se A un metro da te è inquadrabile come (melo)dramma fatto e finito - dal momento che l’obiettivo della narrazione è un’immedesimazione patemica dello spettatore nei confronti degli alti e bassi vissuti dai personaggi -, il lungometraggio della Filippi, pur condividendo alcuni tratti distintivi di suddette correnti, è perfettamente inscrivibile nel genere della commedia.

Sul più bello

Tale distinzione è rappresentata e messa in chiaro dalla stessa Marta che, fin da subito, corregge ed indirizza le aspettative del pubblico, chiedendogli se abbia mai visto <<tutti quei film in cui l’eroina ha una malattia terminale, ma, nonostante la chemio e i respiratori, è una gnocca spaziale? Ecco, non è il mio film>>. La giovane rompe pertanto la quarta parete, favorendo un rapporto diretto, quasi diaristico, con gli spettatori ed introducendo un discorso metacinematografico potenzialmente stimolante che, purtroppo, viene abbandonato dopo pochi minuti. Infatti, Sul più bello predica bene e razzola male, nascondendo, dietro questa dichiarazione di intenti, uno sviluppo tutt’altro che atipico e fondato sul dittico conciliazione-(parziale) innovazione. Da un punto di vista narrativo, nonché tecnico, l'opera è paragonabile ad una caramella esteriormente colorata ed effervescente, ma che, al suo interno, nasconde e presenta un cuore abbastanza asciutto e monocorde: l’impatto visivo e superficiale è sorprendente ed invitante, tuttavia, proseguendo nella visione, il film finisce per incagliarsi in refrain e cliché tipici del genere d’appartenenza.

Questa banalità narrativa è però conciliata periodicamente da una comicità in linea con il tono generale della produzione e che non si fa problemi ad ironizzare sulla malattia e sui disagi evidenti che ne conseguono. Non fraintendetemi, non sto parlando di black humor, ma di un sarcasmo scanzonato e mai fuori luogo che si converte immediatamente nel sintomo di un’impalcatura filmica che, a differenza di quelle dei “colleghi”, raramente spinge su un’enfatizzazione eccessiva e pretestuosa (volta a suscitare, in chi guarda, una lacrimuccia finta e forzata) del dramma - certamente considerevole e fondamentale. Sul più bello non lascia dunque con il cuore spezzato, bensì con il sorriso sulla bocca, imbastendo un finale che recupera la dimensione infantile e giocosa, combinandola con una maturazione e presa di coscienza dettate dallo scorrere degli eventi e dalla realtà dei fatti.

Sul più bello

Una storia di giovani adulti obbligati a crescere troppo in fretta e a prendere la vita nelle proprie mani, di genitori mai conosciuti, traslati o, al contrario, fin troppo presenti e ingombranti, di rapporti alterati e naturalissimi e di mondi - sociali e culturali - in contrasto e opposizione. Una storia completamente affidata ad una caratterizzazione empatica e perlopiù realistica dei personaggi, a dialoghi plausibili e pungenti e alla bravura di un cast composto da giovani leve e attori già ben indirizzati. Questa freschezza e dinamicità del comparto narrativo è sottolineata e compensata da una regia acerba, ma consapevole nella scelta dei punti macchina e delle inquadrature, una fotografia dolce e pittoresca concentrata sulla valorizzazione di emotività ed ambientazioni, un’estetica eccentrica che ricorda film come Il fantastico mondo di Amelie (2001) e Midnight in Paris (2011) ed un ritmo forsennato ed estremamente godibile. Volendo contemporaneamente accontentare un pubblico ormai avvezzo e abituato a drammi strappalacrime, come Colpa delle stelle (2014), Io prima di te (2016) e il summenzionato A un metro da te (2019); ed importare, all’interno del panorama cinematografico italiano, un filone nuovo e prettamente statunitense - tinteggiandolo con note di commedia -, Sul più bello si configura come un lodevole e divertente compromesso filmico. Una trattazione più approfondita e puramente informativa sulla realtà dei malati di fibrosi cistica viene sacrificata in favore di una diegesi interamente focalizzata su una storia d’amore narrativamente conforme e scontata, ma esteticamente insolita e, per questo, imperdibile. Provare per credere.

PRO:

  • Regia acerba ma consapevole
  • Fotografia dolce e pittoresca
  • Estetica eccentrica
  • Colonna sonora ritmata
  • Ritmo forsennato e godibile
  • Sceneggiatura che vuole accontentare, innovando
  • Caratterizzazione e dialoghi plausibili
  • Finale speciale
  • Interpretazioni convincenti

CONTRO:

  • Discorso metacinematografico stimolante, ma prematuramente abbandonato
  • Si incaglia in refrain e cliché tipici del genere
  • Trattazione mancante della realtà dei malati di fibrosi cistica
  • Il personaggio della madre di Arturo abbastanza incostante
  • Derivativo, in alcuni passaggi, da capisaldi del filone
Pubblicato da Nicolò Baraccani il 23 Ottobre 2020
Categorie
  • Cinema
Tag
  • 2020
  • COMMEDIA
  • DRAMMATICO
  • SENTIMENTALE
  • TRATTI DA LIBRI
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