TITOLO ORIGINALE: 65
USCITA ITALIA: 27 aprile 2023
USCITA USA: 17 marzo 2023
REGIA: Scott Beck, Bryan Woods
SCENEGGIATURA: Scott Beck, Bryan Woods
GENERE: thriller, fantascienza
DURATA: 93 min
Un sempre dedito e versatile Adam Driver in versione pilota spaziale è il protagonista di 65 - Fuga dalla Terra, l'esordio registico (patrocinato da Sam Raimi) degli autori di A Quiet Place, Scott Beck e Bryan Woods. Malgrado tutte le buone intenzioni, la pellicola deve fare i conti con una sceneggiatura anacronistica, paradigmatica, flemmatica, proverbiale e prevedibile che la rende sprovvista, inerme, corta di fiato nel confronto ingeneroso e un po’ umiliante con l’immaginario e il campionario sci-fi, ma anche thriller/horror, a cui fa ostinatamente riferimento. E non ci sono one man show, originalità di soggetto, né effetti visivi che tengano.
Forse il peccato originale di 65 - Fuga dalla Terra, tanto per non allontanarsi dall’elemento prodromico del soggetto ideato da Scott Beck e Bryan Woods - anche registi - sta proprio nel rapporto e nel parallelismo che quest’ultimo instaura (sin dal sottotitolo carpenteriano dell’edizione italiana) con l’immaginario e con l’iconografia di tutto ciò sia stato, negli ultimi settanta, per non dire ottant'anni, spazio, astronauti, pianeti sconosciuti, viaggi interstellari, ma anche sopravvivenza e post-apocalittico, specie nell’essenziale deformazione mccarthiana de La strada.
Anche se non si può parlare propriamente di post-apocalittico (semmai di pre: veniamo infatti catapultati sul nostro pianeta Terra di 65 milioni di anni fa - da qui il titolo - pochi istanti prima che i nostri cugini dinosauri vengano spazzati via dal famigerato asteroide), tutto questo si ritrova, con più o meno intensità e vividezza, nel buffo e, per molti versi, inspiegabile esperimento dei già citati Beck e Woods. I quali, già autori del fenomeno horror A Quiet Place, tentano qui di adattare, accordare e trasportare, appunto in un contesto preistorico-fantascientifico, tutto ciò che di buono avevano fatto e che ha poi aperto la strada - in concerto con la mano di Krasinski - al grande successo registrato da quel film, ora franchise.
Torna allora il lavoro sul silenzio, fondamentale, se non proprio connaturale del meccanismo thriller che informava la pellicola e il suo mondo (davvero e pienamente) catastrofico. Ma anche la riproposizione di quel gioco tutto cinematografico col fuoricampo e con l’idea di una o più creature sempre presenti, in attesa, in agguato là dove lo spietato occhio della macchina da presa non posa lo sguardo. Oppure, più semplicemente, la relativa originalità e forza attrattiva della premessa: l’idea di una civiltà - che potrebbe essere la nostra tra qualche centinaia d’anni o più, poiché presenta gli stessi nostri parametri, le stesse reazioni emotive, la medesima struttura familiare, un’identica filosofia, senso morale e di responsabilità; ma che, al contempo, non lo è - che, nella figura di un pilota di nome Mills, precipita e finisce su un pianeta Terra giurassico, se non cretacico, in un momento in cui la nostra casa, come oggi, stava andando in conto alla distruzione più totale.
Allo stesso modo, 65 - Fuga dalla Terra è anche un’operazione difficile da inquadrare, quando non addirittura inspiegabile per la sua natura editoriale e realizzativa e la sua assonanza con un recente filone della produzione hollywoodiana.
Indefinibile e abbastanza fortuita è infatti la scelta di Adam Driver come solo ed unico eroe protagonista, dal momento che un film del genere corrisponde di norma all’esordio di un nuovo volto attoriale, o, ancor più spesso - specie nel panorama action - ad un ruolo di pre-pensionamento di una vecchia stella ormai tramontata (si pensi a Liam Neeson o a Russell Crowe); e pertanto non trova alcuna collocazione plausibile nel decorso attuale della sua carriera, fulgidissima, tuttora in piena scalata, contraddistinta da collaborazioni con voci notevoli e autori importantissimi (da Eastwood a Spielberg, passando per i Coen, Baumbach, Soderbergh, Gilliam, fino ad arrivare a Spike Lee, Carax, Ridley Scott e Michael Mann).
La natura e le ragioni produttive dietro 65 - Fuga dalla Terra diventano persino più oscure ed imprendibili se si comprende inoltre quest’ultima nella più ampia prospettiva di un cinema di serie A, o comunque sostenuto da major di un certo livello (come Sony, in questo caso), che sembra quasi recuperare modelli e formule di uno di profondità e d’exploitation, e quindi di serie B, se non proprio Z, per potenziarne ed accrescerne le ambizioni e le possibilità con budget gonfiati e, il più delle volte, ingiustificati. Una strada, questa, che, come abbiamo visto di recente, può portare a successi inaspettati come quello (senz’altro virale e social) di Cocainorso, oppure a clamorosi flop, proprio com'è il caso di questo esordio del duo creativo Beck e Woods.
D'altronde, non si può attendere di meno e di meglio da un film che, al di là di tutto questo, e malgrado tutte le buone intenzioni, deve comunque rispondere e fare i conti con una sceneggiatura che definire anacronistica, paradigmatica, flemmatica, proverbiale e prevedibile nel senso peggiore del termine sarebbe un favore che non ci sentiamo di garantirgli, vista la totale incapacità affabulatoria che dimostra. Meglio: è forse proprio questo copione - che sembra esser stato congelato nei tardi anni ‘80 o nei primi anni ‘90, e riproposto senza grandi accorgimenti per il mercato d’oggi - a disarmare l’operazione e renderla, per l’appunto, sprovvista, inerme, corta di fiato nel confronto ingeneroso e un po’ umiliante con l’immaginario e il campionario sci-fi (scottiano e spielberghiano), ma anche thriller/horror (si pensi anche solo all’altro epigono mccartiano The Last of Us), a cui fa ostinatamente riferimento.
E purtroppo non basta la certificazione parentale ed artistica di Sam Raimi (qui presente in veste di produttore) per fare di 65 - Fuga dalla Terra un film raimiano. Nel senso di un film che intende mezzo, gesto e spettacolo cinematografici quale laboratorio eclettico, strabordante, eterogeneo, di inventiva, ispirazioni, soluzioni e sintassi compositive molto autarchiche, che dà forma ad una sorta di ordine miracolosamente cacofonico. Perché non si lavora abbastanza sulla personalità e sulla specificità stilistica, creativa, visiva, estetica della messa in scena, viceversa, elementare, rudimentale, suscettibile a tutte quelle imperizie e rozzezze tipiche dei primi approcci alla regia, ben riassunte nel montaggio ingessato del primo ed unico, vero dialogo tra Mills e la figlia Nevine. Allo stesso tempo, non si presta adeguata attenzione al worldbuilding, diversamente da quanto avveniva nel già citato A Quiet Place, dove il thrilling e la sintesi visiva coincidevano e non limitavano, anzi completavano il racconto della post-Terra e dei meccanismi di sopravvivenza di un’umanità alla deriva. A tutto questo, si preferiscono invece gli oggetti, i props, i set pieces, i dispositivi tecnologici, che conservano giusto un prurito di quella genialità e creatività di cui purtroppo il progetto è sommariamente spoglio.
Né tantomeno si rivela sufficiente il one-man-show di un Driver sempre impeccabile, precisissimo, dedito oltre misura e, in fondo, sprecato. Questi dimostra e conferma invero la sua preziosa versatilità, comportandosi bene e dimostrandosi ingranaggio efficiente dei segmenti più action e muscolari, corpo adatto ai momenti da commedia familiare, ridanciana, goffa e adorabile, o ancora volto puntuto e penetrante al servizio del dramma più umido ed interpretativamente oneroso. Non basta infine la fattura degli effetti visivi e digitali, i quali non hanno davvero nulla da invidiare a produzioni ben più infiocchettate e ricche come possono essere - tanto per rimanere in tema di lucertoloni - i tre capitoli di Jurassic World.
Quella di 65 - Fuga dalla Terra è insomma un’idea buona e magari realmente idonea per (le basse pretese narrative di) un videogioco online. Sul grande schermo è, al contrario, solo la riprova di un cinema (medio-alto) che, al di là del discorso dei franchise e degli universi, è arrivato a ripescare e chiedere aiuto a quello che fino a pochi anni fa disprezzava, escludeva in un sottobosco o in una nicchia, o non considerava affatto, per avere ancora qualcosa da dire. O, più banalmente, da vendere.
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