TITOLO ORIGINALE: A Quiet Place II
USCITA ITALIA: 24 giugno 2021
USCITA USA: 28 maggio 2021
REGIA: John Krasinski
SCENEGGIATURA: John Krasinski
GENERE: orrore, fantascienza, thriller, drammatico
Continuano le avventure della famiglia Abbott in un pianeta Terra post-apocalittico, invaso da letali creature del tutto cieche, ma dall'udito iper-sensibile.
Forte non più di un soggetto originale ed affascinante, bensì di un’”eredità” da rispettare, di un budget di 61 milioni di dollari (contro i soli 22 della pellicola originaria) e di un nuovo universo da sviluppare ed ampliare, A Quiet Place II riprende esattamente là dove si era concluso il primo capitolo, dando quasi l’impressione di esser stato girato back-to-back con quest'ultimo. Purtroppo, eccezion fatta per una regia ed una messa in scena sicure e magniloquenti, un montaggio che rappresenta l'unico elemento tensivo del mucchio ed alcune ottime interpretazioni, la continuazione delle avventure degli Abbott porta con sé uno sventurato cambio di rotta. Si perde quindi il fascino della scoperta e della descrizione di un mondo del tutto nuovo e si punta sull'azione e sullo spettacolo, giocando all’ombra, all’ampliamento e al riciclo sia di quello che funzionava, sia, sorprendentemente, di ciò che non funzionava nel film originale ed accontentandosi del minimo indispensabile. Finale che lascia la porta aperta ad un eventuale (e temibile) terzo capitolo.
Con un colpo di fucile (ed una ricarica). Così, tre anni fa, si chiudeva A Quiet Place [accompagnato in italiano dall’irrilevantissima traduzione, Un posto tranquillo], horror low budget scritto, diretto, prodotto ed interpretato da un John Krasinski al suo terzo lungometraggio dietro la macchina da presa, che, con il tempo e grazie al supporto della critica compaesana (che ne ha adorato lo “sperimentalismo”), è riuscito a ritagliarsi una propria fetta di pubblico e a diventare un piccolo cult.
Forte di un concept fresco ed inedito per il panorama horrorifico [così riassumibile: Sulla Terra sono comparse delle creature aliene micidiali dall’udito finissimo. Per sopravvivere, gli umani devono seguire una sola, ma tutt’altro che semplice regola: rimanere in silenzio], la pellicola è tutt’oggi un’ottima macchina cinematografica in cui la tensione è data non tanto dall’elemento mostruoso in sé per sé (che, a dire il vero, compare veramente poco), quanto piuttosto dalle intuizioni del set design, dai modi sempre diversi e, pertanto, avvincenti - che diventano strumenti narrativi mai scontati - con cui gli Abbott, la famiglia protagonista, si difende dall’attacco di queste creature, e, soprattutto, dalla chimica, su e fuori dallo schermo, tra lo stesso Krasinski ed Emily Blunt [marito e moglie anche nella realtà, oltre che nella finzione].
Ciò nonostante, non dobbiamo però dimenticarci che, superate una messa in scena ed una regia incredibilmente pulite e chiare, quando non sorprendenti, e se analizzato con un occhio più puntiglioso ed esigente, A Quiet Place deve fare i conti con una sceneggiatura non certo impeccabile, vittima di numerose forzature, di una gestione del tutto arbitraria del concept di base e, talora, di gravi attentati alla sospensione dell’incredulità. Difetti, questi ultimi, che fanno dell'opera di Krasinski certo un grande B-movie ed un’esperienza cinematografica da sperimentare sulla propria pelle - giacché scardina (almeno parzialmente) una delle istituzioni del cinema post-anni ‘30: il sonoro diegetico -, ma tutt'altro che un film d'autore, men che meno di serie A.
Consci dunque dei pregi e dei difetti del primo capitolo, è fin da subito evidente come A Quiet Place II - che esce appunto a tre anni di distanza dal suo predecessore, divenendo il miglior risultato [con un’apertura di 48 milioni di dollari] al botteghino statunitense in un anno e mezzo di pandemia, confermando John Krasinski dietro (regia, sceneggiatura - questa volta in solitaria - e produzione) e (sorpresa) davanti alla macchina da presa e prendendo il via proprio da quel finale apertissimo - giochi un po’ all’ombra, all’ampliamento e al riciclo sia di quello che funzionava, sia, sorprendentemente, di ciò che non funzionava nel film originale, più o meno accontentandosene e buttando il tutto sull’azione e sullo spettacolo, senza però rinunciare a momenti di pura e rigorosa tensione.
In effetti, con questo secondo capitolo, il mondo di A Quiet Place si fa leggermente (tuttavia, non come avremmo sperato) più vasto. La famiglia Abbott, ancora scossa dalla morte del padre e marito Lee (Krasinski) e da poco arricchitasi di un nuovo, piccolo membro, varca infatti la soglia della loro tenuta (e di una delle due, sole ambientazioni del primo film) per cercare altri sopravvissuti e condividere con loro il metodo che la giovane Regan (Millicent Simmonds) ha scoperto per indebolire ed uccidere i mostri (finora ritenuti invincibili). E’ durante questo loro peregrinare che i quattro vengono salvati e reincontrano, dopo tanto tempo, Emmett (Cillian Murphy), amico di famiglia, divenuto un lupo solitario a seguito della morte dei suoi familiari. Ciò nonostante, è solo dopo aver trovato riparo nel rifugio di quest’ultimo che gli Abbott scoprono l’esistenza di una torre radio ancora funzionante a qualche giorno di viaggio…
E’ allora quasi un controsenso che, in un film dal titolo così emblematico ed esplicativo delle sue meccaniche, nonché seguito di un’opera che, al tempo, venne definita addirittura “sperimentale” ed “art house” per l’uso intelligente e funzionale che faceva del silenzio, si faccia così tanto rumore. A Quiet Place II abbandona infatti i percorsi fatti con la sabbia, il linguaggio dei segni (che non è più così centrale come prima), (quasi del tutto) le sequenze completamente sorde e la totale e perturbante insicurezza che si aveva anche solo nel sospirare, in favore di una ritrovata, ma troppo repentina (e sensazionalmente svantaggiosa) fiducia nelle proprie abilità da parte di Evelyn (Emily Blunt) e figli e di una conseguente e malaugurata virata action. Quel colpo di fucile alla fine del primo film era forse un indizio della piega così prepotentemente "rumorosa" e spettacolare che avrebbe preso la serie dal secondo capitolo in poi?
Certo è che si sente fortemente la mancanza delle atmosfere, del fruttuoso minimalismo e semplicità del primo capitolo e dunque del fascino di quel mondo presentatoci nel lontano 2018.
D’altro canto però, in questa parte seconda è fin da subito evidente il netto miglioramento e la crescita tecnica di un Krasinski registicamente sicuro ed impavido e capace pertanto di pensare e realizzare un’espansione ed una metamorfosi (conscia e memore delle proprie origini) della saga che egli, più di tutti, ha contribuito a creare.
Questa sua maggior padronanza, consapevolezza e conoscenza del mezzo cinematografico è rintracciabile in sequenze come il prologo (che funge da prequel e da prima, superficiale genesi del proprio universo narrativo), nel quale il cineasta si spinge addirittura in una serie di long take magniloquenti e rigorosi, o quelle dell’attacco simultaneo e della risoluzione conclusiva, entrambe accomunate - oltre che da una sintassi visiva semplice, ma efficace e da una messa in scena nitida che corrobora bene l’affabulazione rispetto a quanto rappresentato - da un uso tensivo e ritmicamente scrupoloso del montaggio alternato.
Solo ed unico elemento di tensione dell’impianto filmico - atto a colmare le mancanze di una narrazione dagli esiti prevedibili, più incentrata sull’epica e sulla collettivizzazione del contesto (pur continuando a gestire, all’atto pratico, un ristretto numero di personaggi) e che, per spaventare, ricorre spesso a tecniche a dir poco superate, come il jumpscare -, il montaggio alternato è il naturale corollario di un racconto che affianca, all’home invasion del primo capitolo, i toni, le atmosfere e le strutture del road movie post-apocalittico e che, dalla prima metà in poi (e a differenza della compattissima parte uno), frammenta l’intreccio in due archi narrativi principali che scorrono paralleli, per poi riallacciarsi e tornare ad interagire tra loro sul finale (anch’esso apertissimo).
Da un lato abbiamo quindi la coppia Emmett-Regan che si mette in viaggio verso la stazione radio, per trasmettere il suono emesso dall’apparecchio acustico della ragazza (che disturba ed intontisce le creature) e così ridare speranza al genere umano o, perlomeno, a coloro che verranno a conoscenza di questa sensazionale scoperta. Dall’altro abbiamo invece Evelyn con il figlio Marcus (Noah Jupe) e il neonato che dovranno difendersi dall’attacco di un branco di mostri al rifugio di Emmett, fare i conti con delle risorse che si stanno esaurendo e, al contempo, scoprire un inquietante segreto (possibile materiale per il prossimo capitolo e per un futuro twist?).
Purtroppo, tale suddivisione risente di due problemi principali, frutto, il primo, di una caratterizzazione dei personaggi non sempre accorta, fautore, il secondo, di uno sbilanciamento narrativo tutt’altro che velato. Difatti, lo sdoppiamento delle storyline è innanzitutto il risultato di una richiesta che Evelyn fa, in modo esplicito, ad Emmett, quasi pregandolo di riportarle indietro la figlia Regan (partita da sola per rintracciare la torre radio). Una supplica, quest’ultima, del tutto inverosimile ed oltremodo insensata, specie vista la connaturata autonomia ed emancipazione del personaggio e il modo in cui ci veniva tratteggiata nel primo film. E no, la giustificazione “voleva stare con il neonato” non è valida, perché la stessa non ci pensa su due volte, prima di affidarlo alle cure del fratello maggiore per scappare in città a recuperare due bombole di ossigeno.
Viceversa, per quanto riguarda lo squilibrio tra i due percorsi narrativi, se nel viaggio di Emmett e la giovane Abbott abbiamo ciò che, in questo momento, più si avvicina ad una trasposizione cinematografica di The Last of Us, arricchito a sua volta da richiami iconografici e di rappresentazione a Lost; la storyline di difesa del rifugio di Evelyn & co. è quella che, tra le due, soffre maggiormente la ripetitività (un po’ diffusa per tutto il lungometraggio) di tutte quelle meccaniche ed intuizioni presentate e già doverosamente sviluppate nel capitolo precedente.
Fortunatamente, questa monotonia di mezzi ed escamotage viene palliata o comunque resa meno evidente, ancora una volta, da un montaggio convincente e da una regia che - parimenti alla prima parte - sa valorizzare bene i propri attori e le proprie interpretazioni. Tra queste, è sicuramente d'obbligo citare quella, accorata e credibilissima, di Millicent Simmonds, quella, ispiratissima e camaleontica, di Cillian Murphy (doppiaggio permettendo) e quella, fragile e sensibile, di Noah Jupe. Grande peccato invece per Emily Blunt che qui cede lo scettro ai suoi colleghi, risultando meno convincente e più annoiata del solito. E sappiamo tutti di cosa la Blunt sia capace in termini interpretativi.
Forte non più di un soggetto inedito ed affascinante, bensì di un’”eredità” da rispettare, di un budget di 61 milioni di dollari (contro i soli 22 della pellicola originaria) e di un nuovo universo da sviluppare ed ampliare, A Quiet Place II riprende esattamente là dove si era concluso il primo capitolo, dando quasi l’impressione (non fosse per qualche minima discrepanza nella messa in scena) di esser stato girato back-to-back con quest'ultimo. Complici, in questo, una colonna sonora (di Marco Beltrami) praticamente identica, una sceneggiatura “bucherellata” e spesso trascurata (così come quella dell'opera originale), un design dei mostri invariato, privo di tutte quelle trasformazioni che ci si aspetterebbe da un “numero due” ed una fotografia nella media che, pur con il cambio di direzione, continua ad essere un miscuglio di tutte le recenti tendenze del genere.
Purtroppo o per fortuna (dipende da ciò a cui si fa riferimento), in alcuni suoi punti A Quiet Place II si distacca, più o meno drasticamente, dal proprio predecessore e, se per istanze come la regia e il montaggio, suddetto cambiamento diventa un’evoluzione e apporta nuova linfa vitale al titolo, in altri casi il cambiamento finisce per spogliare la pellicola di tutti quegli elementi che, in primis, le hanno permesso di esistere, ovvero dei pregi e delle ingegnosità che hanno reso il primo capitolo un thriller-horror fresco, appassionante, tesissimo e, soprattutto, meritevole dello status di cult. Con un terzo capitolo - che in realtà è uno spin-off - in dirittura di produzione, sorge pertanto spontaneo chiedersi se, gira che ti rigira, anche la saga di A Quiet Place seguirà il destino di quasi tutte le sue colleghe. In caso contrario, diventerà l’eccezione che conferma la regola? Essendo realisti, la prima opzione è sicuramente la più plausibile. To be continued...
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.