TITOLO ORIGINALE: Harry Potter and the Half Blood Prince
USCITA ITALIA: 15 luglio 2009
USCITA USA: 15 luglio 2009
REGIA: David Yates
SCENEGGIATURA: Steve Kloves
GENERE: fantastico, avventura
Hogwarts e, in generale, il mondo magico non sono più un posto sicuro e Silente chiede aiuto ad Harry per prepararsi al meglio al conflitto che è alle porte. I due danno così inizio ad una ricerca nelle pieghe del tempo e della memoria che li porterà alla scoperta di un’opprimente verità e ad un evento che li stravolgerà per sempre. David Yates viene confermato dietro la macchina da presa della saga di Harry Potter, dando origine al punto più basso mai toccato dal Wizarding World (almeno fino al recente Animali Fantastici 2). Un film barocco e mediocre che lascia basiti ed indifferenti, con la sua regia e messa in scena didascalica ed insipida, la sua sceneggiatura superficiale, misera e sminuente nei riguardi della matrice letteraria e le sue interpretazioni mal rese e mal sfruttate. A ristabilire il tutto non ce la fanno neppure una colonna sonora evocativa, un comparto scenografico epocale ed un’ultima mezz’ora convincente anche se logicamente zoppicante. Un assoluto ed imbarazzante disastro.
Bentornati, cari lettori! Come forse saprete ormai, da giovedì 12 novembre, Mediaset ha deciso di riproporre, per la seconda volta in un solo anno - e non più su Italia 1, bensì su Canale 5 -, la tanto attesa quanto popolare maratona di tutti e 8 i film di Harry Potter. Per l’occasione, Cinemando ha pensato dunque di designare il giovedì (salvo imprevisti) come “Harry Potter Day”, pubblicando, ad ogni appuntamento, la recensione del capitolo in programmazione quella settimana.
Non c'è luce senza oscurità.
Horace Lumacorno (Jim Broadbent)
Voldemort è tornato… e questa volta nessuno ha nulla da obiettare. E’ servito infatti un attacco al Ministero, la morte di Sirius Black e uno scontro tra Silente e il fu Tom Riddle per convincere completamente il mondo della magia della rinascita e resurrezione del Signore Oscuro e della minaccia che egli rappresenta. Come abbiamo constatato nella recensione della scorsa iterazione, in seguito alla morte di Cedric Diggory - avvenuta, lo ricordiamo, nel quarto capitolo per mano di Codaliscia -, il Ministro della Magia Cornelius Caramell ha dato il via ad un processo alle intenzioni, al fine di screditare tutti coloro che sostenevano l’ipotesi del ritorno di Voldemort (tra cui, ovviamente, Silente e Harry) e di sedare la nascita e la diffusione di ogni possibile teoria e supposizione in merito. Ecco dunque che ad Hogwarts ha fatto la sua apparizione Dolores Umbridge, sottosegretaria del Ministero inviata da Caramel all’insegna del motto “ordine e sicurezza” per vegliare sugli aspiranti maghi ed essere una specie di suo prolungamento all’interno delle mura del castello. Inutile dire che la sua presenza si è rivelata essere forse fin troppo rigorosa e tutt’altro che sicura (o quantomeno corretta). Ciò nonostante, questo infausto arrivo ha prodotto anche qualcosa di buono e positivo nella lotta tra lato chiaro e lato oscuro. Ci riferiamo alla nascita dell’esercito di Silente che, grazie al suo scontro (e vittoria) contro la sottosegretaria e contro i Mangiamorte e Lord Voldemort, si è convertito a tutti gli effetti nel vero e proprio protagonista de L'Ordine della Fenice, a discapito proprio dell'omonima organizzazione segreta con sede al 12 di Grimmauld Place.
Memore e afflitto dal ricordo tragico ed impotente della morte del patrigno, il nostro mago occhialuto passa parte della sua estate, salendo e scendendo da treni e facendo colpo (a quanto pare, dal momento che non viene precisato nulla riguardo alle sue vacanze) su cameriere di bar della stazione. Ben presto però, viene raggiunto e avvicinato da un Silente paterno e più protettivo che mai (chissà perché) che lo porta nel villaggio di Budleigh Babberton. Qui, Harry fa la conoscenza di Horace Lumacorno, ex-insegnante di Pozioni di Hogwarts ed ex-capo della casa dei Serpeverde, noto, in tutto il mondo accademico, per il forte e peculiare attaccamento nei confronti dei suoi alunni migliori e più dotati. La presenza, fortemente sottintesa da Silente, del giovane all’incontro tra il preside di Hogwarts e Lumacorno è vitale, giacché il primo vorrebbe chiedere al secondo di tornare all’insegnamento (e alla scuola di magia) e riprendere il proprio posto da maestro di Pozioni. E, visto che Lumacorno morirebbe pur di poter vantare "nella sua collezione" il ragazzo-leggenda, “il prescelto”, decide di far ritorno. Tuttavia, come sempre accade, Silente non agisce e chiede mai nulla per nulla: questi vuole infatti che il professore torni ad Hogwarts, così da averlo più vicino e riuscire a sfilargli dalla memoria - grazie all’aiuto di Harry - un ricordo che potrebbe essere vitale ai fini della lotta contro il Signore Oscuro. Infatti, Lumacorno fu uno dei professori a cui si legò di più “Voi-sapete-chi” durante la sua permanenza alla scuola di magia e, sempre Lumacorno, fu colui che gli illustrò il concetto di Horcrux, manufatti magici - contenenti ognuno una parte dell’anima di Voldemort - che saranno narrativamente centrali nelle due parti del successivo I Doni della Morte. Nel frattempo, il mondo magico comincia ad incassare le prime ferite conseguenti al ritorno del male oscuro e agli attacchi dei suoi accoliti, Hogwarts non sembra più essere un luogo sicuro (non che lo sia mai stato) e infrangibile, divenendo invece il palcoscenico di una macchinazione di cui nessuno potrebbe prevedere gli esiti e apparentemente - nonostante gli scenari di distruzione e apocalisse -, i nostri aspiranti maghi sperimentano un repentino risveglio ormonale. Ne Il principe mezzosangue (chissà chi è costui), non vi è corridoio o angolo di Hogwarts che non veda sbaciucchiamenti, effusioni più o meno esplicite e scambi salivari di grande inutilità rappresentativa (ma di questo tratteremo tra qualche riga).
Prima che Yates venisse confermato, proseguendo così il proprio viaggio potteriano (iniziato per l’appunto con L'Ordine della Fenice), la Warner contattò registi del calibro di Del Toro (il quale rinunciò per dirigere Hellboy: The Golden Army, 2008) e Terry Gilliam, che si disse molto stizzito dal fatto che la major non lo avesse scelto per la regia de La pietra filosofale; e ricevette una serie di richieste da parte di due cineasti che avevano già dato un proprio contributo alla saga, ovvero Alfonso Cuarón e Mike Newell (la cui proposta non venne mai presa in considerazione dalla Warner). Yates stava ancora lavorando alla post-produzione del quinto capitolo, quando gli venne chiesto di rimanere per dirigere anche il sequel, dal momento che il girato fin allora prodotto de L'Ordine della Fenice era piaciuto molto alla produzione. Nel presentare il progetto e le intenzioni dietro Il principe mezzosangue, Yates descrisse il film come “un mix tra i brividi de Il prigioniero di Azkaban e l’avventura fantasy de Il calice di fuoco”. Peccato soltanto che il suo lungometraggio, a livello registico e produttivo, non valga neanche un’unghia delle pellicole da lui citate. Infatti, se nello scorso capitolo la sua regia si presentava come “solida e praticamente invisibile”, fautrice di sequenze d’azione “suggestive e avvincenti”, in questo sesto capitolo il livello cala vertiginosamente. Tolto quello svolto per alcuni frammenti dell’ultima mezz’ora, il lavoro di Yates si mostra scialbo, insipido e repellente nei confronti di tutto ciò che viene presentato sullo schermo. Non fraintendeteci, la regia de Il principe mezzosangue non è certo la più atroce e sgradevole della storia, tuttavia, se comparata con quanto immaginato da Columbus, Cuarón e Newell, difficilmente regge il confronto. Il principe mezzosangue può solo sognarsi sequenze piene di tensione e pathos come il ritorno di Voldemort de Il calice di fuoco, il primo incontro tra Harry e Sirius ne Il prigioniero di Azkaban, molti dei frangenti più horrorifici de La camera dei segreti, le magnifiche inquadrature aeree de La pietra filosofale, paradossalmente anche la stessa sequenza del combattimento tra Ordine e Mangiamorte del precedente capitolo. Optando dunque per un approccio più intimista (fatto di numerosi primi e primissimi piani, volti a sottolineare l’emotività dei personaggi), la messa in scena di Yates fallisce in termini sensazionali e grammaticali, dando vita a quadri e costruzioni registiche confusionarie, deprimenti, talvolta superflue e inutili (come l’attacco alla Tana), inappaganti da un punto di vista cinematografico e prive di quell’incanto visivo e di quell’atmosfera misteriosa che hanno sempre contraddistinto e reso unico il mondo di Harry Potter.
Se dietro la macchina da presa rimane tutto invariato o quasi, il sesto capitolo segna il ritorno di Steve Kloves al tavolo della sceneggiatura, il che potrebbe far ben sperare, dato il suo rapporto storico con le avventure dei maghi di Hogwarts. Al contrario, mai ritorno fu più tragico e ingannevole, considerando la qualità complessiva dello script de Il principe mezzosangue: in tre parole, confusionario, sbilanciato e superficiale. Per quanto riguarda L'Ordine della Fenice, nella recensione dedicata avevamo lamentato una sintesi frammentaria e spesso traditrice rispetto all’opera letteraria originale e una focalizzazione eccessivamente confinata al solo Harry e al dramma conseguente alla morte di Cedric. Bene, nell’affrontare l’adattamento dell’omonimo scritto di J. K. Rowling (uno dei più difficili da trasporre per via della sua natura riflessiva e ponderata, sia ben chiaro) non possiamo esimerci dal constatare come i difetti rilevati in precedenza siano praticamente triplicati al ritorno di Kloves. Infatti, se negli scorsi capitoli la narrazione, l’intreccio e le rivelazioni erano perfettamente comprensibili anche da chi non avesse mai letto neanche una pagina di Harry Potter, ne Il principe mezzosangue vi è un completo ribaltamento di questo equilibrio, dal momento che il film taglia molteplici passaggi significativi e centrali in termini di approfondimento di eventi, personaggi e intenti, e dà per scontato altrettanti elementi utili ai fini di una visione chiara e lucida di ciò che viene mostrato su schermo.
La struttura del mosaico costruito da Kloves è tanto evidente quanto profondamente instabile: la narrazione parte di gran lena, presentando un mondo distrutto dai Mangiamorte e dalla morte che portano con sé, abbandonandosi poi ad una sequenza (totalmente assente nel libro) - in cui Harry flirta con la cameriera di un bar della stazione di Londra -, unicamente focalizzata all’introduzione del fil rouge teen drama che colonizzerà l’intero sviluppo di intreccio e ecosistema narrativo. Qualche istante dopo, come indicato in apertura, appare SIlente, si fa la conoscenza di Lumacorno e viene rivelata la “missione” a cui Harry dovrà adempiere durante il prossimo anno ad Hogwarts. Non si fa in tempo a dire interessante che si viene catapultati immediatamente a casa Weasley e ci si ritrova di fronte ai primi scambi di sguardi tra l’occhialuto e la “piccola” Ginny Weasley - situazioni che torneranno come la peste durante tutto il film. E così (in una costante alternanza di scambi di sguardi, sbaciucchiamenti, ire di gelosia, momenti in cui “Draco fa cose”, menzioni irrilevanti di questo fantomatico principe mezzosangue, attacchi all’incolumità di Silente e flashback poveri di contenuto e di epica sulla giovinezza di Tom Riddle) si prosegue imperterriti fino all’ultima mezz’ora, durante la quale sembra quasi che la produzione si sia accorta di dover conferire un senso alla propria creatura, scegliendo così di “ingranare la quinta” e dar vita ad una catena machiavellica di risvolti e colpi di scena (più o meno prevedibili) che colpiscono ma non mordono.
Decisamente sì, giacché, come spiegato sopra, in questo capitolo, gli studenti di Hogwarts sperimentano un’esplosione ormonale e una tensione sessuale mai provata prima d’ora. Tutto ciò, se contestualizzato e costruito dignitosamente, avrebbe potuto avere anche un senso, vista l’età dei soggetti. Eppure, sembra che su Hogwarts sia stato riversato un filtro d’amore che ha incantato tutti, nessuno escluso. E quindi, apriti cielo! Qualcuno potrebbe obiettare che momenti simili si registravano anche nelle iterazioni precedenti. Tuttavia, tali frammenti erano ben più dosati nel quadro complessivo del racconto e non ne costituivano il fine ultimo. Qui, sembra quasi che si volesse far coincidere l’approccio intimista intrapreso dalla regia con una caratterizzazione molto più fragile e sentimentale di ogni singolo personaggio. Il gioco non vale però la candela, così come non valgono in alcun modo i dialoghi imbarazzanti e formalmente ridicoli che governano i rapporti tra le varie pedine del racconto, le scelte pretestuose e fin troppo frettolose (ne è esempio lampante l’importanza casuale e forzata conferita alla figura di Ginny soltanto in relazione ad un’evoluzione sentimentale di Harry, che sarebbe stata ben voluta se trattata in maniera differente e avesse ricoperto un ruolo non così vitale) e le sottotrame romantiche dalle modalità puerili e dai fini innecessari che determinano una buona porzione del secondo atto.
Questa antologia di situazioni pompose e cenciose - che non portano avanti di un millimetro l’evoluzione e lo sviluppo dei personaggi e - che molti potrebbero ritenere di poco conto, assume tutt’altro valore e peccato, se si va ad analizzare e constatare il potenziale e il materiale cartaceo a disposizione di regista, autore e produttori e il modo in cui sono stati trasposti alcuni tra i momenti più rilevanti nell’economia dell’universo potteriano (filmico e letterario). Tra questi, sono senz’altro da citare la caratterizzazione e trattazione precaria di una figura così importante come Albus Silente, il quale - ridotto ad un vecchio bieco e stanco che fa battutine e domande ad Harry sulla sua vita amorosa e riveste il ruolo di mandante onnisciente - viene sdegnato da messa in scena e racconto filmico (il suo drammatico funerale è completamente assente dai piani originali della pellicola) e riabilitato solo in parte da un ottimo Michael Gambon; la poca importanza, tensione e approfondimento conferiti e ricoperti sia dalla rivelazione dell’identità del principe mezzosangue sia da quella riguardante il passato di “Voi-sapete-chi”; e la generale assenza di pressione, spettacolo ed emotività rispetto alla minaccia rappresentata da Voldemort (che neppure appare), dai suoi seguaci e dalla congiura che grava sulla testa di Silente e di Hogwarts intera, stemperati, per l’appunto, da una spensieratezza reiterata e da momenti che vorrebbero essere drammatici ma che, per fattura e resa, si convertono nel loro contrario.
A sancire il verdetto definitivo di questo mix mediocre e fallace - contraddistinto da una regia al di sotto degli standard e da una sceneggiatura barcollante -, una fotografia plumbea che compie una virata decisa e drastica rispetto alla tradizione della saga, desaturando completamente le immagini e giocando sui toni del grigio, del gialliccio e del verdognolo, da un montaggio approssimativo e negligente (in particolare, nella porzione centrale del racconto) e da interpretazioni intrinsecamente discrete che si devono però scontrare con una scrittura tutto fuorché brillante e con una messa in scena ed estetica che non riesce a sbloccare e sfruttare appieno il loro potenziale. Un verdetto e riuscita finale, quella de Il principe mezzosangue, neanche lontanamente ristabilita e recuperata da una colonna sonora evocativa, penetrante e ben integrata all’interno del mosaico filmico e da un comparto scenografico di gran livello, suggestivo, nonché componente preponderante del successo di molte delle sequenze conclusive.
Questi due ultimi ingredienti (e pochi altri) sono tutto ciò che si può salvare o, addirittura, promuovere a pieni voti del sesto capitolo di una delle saghe più longeve ed importanti della storia del cinema. Chissà cosa passava per la mente di Yates e colleghi durante le varie fasi di produzione del film. A sentire le loro parole, pensavano di star combinando l'innocenza ed infantilismo dei primi film con la maturità e oscurità tematica ed estetica dei prodotti da Il calice di fuoco in poi. Purtroppo, la realtà dei fatti è di tutt’altra natura e riuscita. Il principe mezzosangue - il libro - è forse uno dei racconti più importanti dei sette per una serie di ragioni: perché, al suo interno, si esplora in profondità la natura interiore ed intrinseca del villain; perché esso contiene uno dei passaggi fondamentali a livello di evoluzione del personaggio di Harry Potter; perché è qui che inizia a farsi sempre più importante la figura di Piton; ma soprattutto perché esso rappresenta, a tutti gli effetti, un prologo, un assaggio di tutto quello che si vedrà poi ne I doni della morte. Nonostante questa mole di possibilità e di contenuti da trasporre e da cui prendere spunto, il team creativo-produttivo sceglie la strada più deleteria e scadente, confezionando un teen drama che non funziona - né come prodotto in sé, né se inserito nella continuità di Harry Potter - e che si perde in lidi narrativi poveri, immaturi e infelici, relegando gran parte delle storyline veramente rilevanti ad un velo di superficialità, confusione e approssimazione. Un adattamento che necessita di un recupero individuale della letteratura d’origine per essere compreso adeguatamente e a fondo; il punto più basso del Wizarding World (almeno fino a quell’incidente di Animali Fantastici - I crimini di Grindelwald, 2018), un film insufficiente, sconfortante, ostico, ripetitivo, tedioso, grossolano, barocco, mediocre che lascia basiti ed indifferenti dal primo all’ultimo minuto.
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