TITOLO ORIGINALE: Harry Potter and the Goblet of Fire
USCITA ITALIA: 25 novembre 2005
USCITA USA: 18 novembre 2005
REGIA: Mike Newell
SCENEGGIATURA: Steve Kloves
GENERE: fantastico, avventura, drammatico, azione
Nonostante le regole ferree, Harry viene sorteggiato come concorrente del Torneo Tremaghi, competizione magica estremamente prestigiosa, scoprendo, suo malgrado, che il tutto non è che parte del piano di Lord Voldemort per tornare in vita. Mike Newell raccoglie l’eredità lasciatagli da Columbus e Cuarón, costruendo una pellicola di passaggio che imposta una sorta di linea guida per tutta la produzione potteriana successiva. Malgrado una regia molto più invisibile e subordinata al comparto narrativo rispetto a quella de Il prigioniero di Azkaban e una sintesi di uno dei romanzi più corposi della serie fatta di alti e bassi, Il calice di fuoco si rivela essere un’opera assolutamente riuscita che intrattiene e colpisce con i suoi numerosi twist, inanellando un paio di sequenze adrenaliniche e minacciose entrate all’istante nell’immaginario collettivo.
Bentornati, cari lettori! Come forse saprete ormai, da giovedì 12 novembre, Mediaset ha deciso di riproporre, per la seconda volta in un solo anno - e non più su Italia 1, bensì su Canale 5 -, la tanto attesa quanto popolare maratona di tutti e 8 i film di Harry Potter. Per l’occasione, Cinemando ha pensato dunque di designare il giovedì (salvo imprevisti) come “Harry Potter Day”, pubblicando, ad ogni appuntamento, la recensione del capitolo in programmazione quella settimana.
Il Signore Oscuro sorgerà di nuovo!
Peter Minus (Timothy Spall)
Una coltre di oscurità e morte sta calando sul mondo della magia e sulla vita di Harry Potter. Dopo aver appurato l’innocenza del suo padrino Sirius (da tutti ritenuto un assassino a sangue freddo, seguace di Voldemort) e averlo liberato da un viaggio di sola andata per Azkaban e aver evitato la morte dell’ippogrifo Fierobecco - condannato alla decapitazione da Lucius Malfoy -, Harry è pronto a passare forse una delle estati più tormentate di tutte [per saperne di più, leggete la nostra recensione di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban]. Infatti, questi inizia ad avere degli incubi che hanno per protagonista un Signore Oscuro in versione feto, il suo servo Codaliscia e un altro losco figuro a cui viene dato il compito di uccidere il nostro mago protagonista - tutti e tre rifugiatisi all’interno della villa abbandonata dei Riddle. Nel sogno, Harry veste i panni di Frank Bryce, vecchio custode della tenuta che, insospettito da una luce accesa all’interno della magione, va per indagare e viene scoperto e ucciso da un Avada Kedavra. Intanto, Harry viene invitato dai Weasley e assiste, insieme agli amici, alla finale della Coppa del Mondo di Quidditch che vede avversari la nazionale bulgara e quella irlandese. Tuttavia, l’euforia e il divertimento del gruppo dura ben poco, dal momento che, finita la partita e durante i festeggiamenti, un gruppo di mangiamorte - i seguaci di Voldemort - irrompe e semina il panico tra gli spettatori, facendo comparire nel cielo il celebre marchio nero (il simbolo del Signore Oscuro).
Ancora scossi dall’accaduto, Harry, Ron e Hermione arrivano a Hogwarts, pronti ad intraprendere un altro anno che sperano non riservi loro alcuna sorpresa. Mai speranza è stata così vana: infatti, quest’anno la scuola di magia e stregoneria è stata scelta per ospitare il leggendario Torneo Tremaghi - una competizione che implica il superamento di una serie di prove ardue e mortali da parte di tre studenti di tre istituti diversi - e con esso, gli alunni delle scuole di Beauxbatons e Durmstrang. Per partecipare, gli aspiranti maghi dovranno scrivere il loro nome su un pezzo di carta e inserirlo nel calice di fuoco, manufatto magico e incorruttibile che procederà poi al sorteggio casuale dei tre concorrenti. L’adesione è dunque facoltativa e, per giunta, ammessa soltanto ai ragazzi con età maggiore ai 17 anni. Pertanto Harry, in quanto quattordicenne, in teoria non potrebbe parteciparvi, ciò nonostante, il suo nome esce dal calice e questi si ritrova costretto, nonostante l’avversione di amici, compagni e professori, a passare alla storia come “il più giovane e quarto concorrente del torneo Tremaghi”. Suo malgrado, l’occhialuto scoprirà ben presto che questo suo sorteggio, nonché l’intero torneo non sono che parte del piano di Lord Voldemort per tornare in vita una volta per tutte.
Dopo la breve parentesi autoriale e personale di Alfonso Cuarón - che annunciò di poter concentrarsi soltanto su un film della saga -, la Warner fu costretta a dare inizio all’ennesima ricerca di un regista che potesse mantenere alti gli standard imposti da Chris Columbus e dallo stesso Cuarón. L’eredità della serie venne affidata così nelle mani di Mike Newell che con - e qui citiamo le parole del produttore David Heyman - <<la sua filmografia ricca e diversificata si è rivelato essere la scelta perfetta. Ha lavorato con i bambini, ci ha fatto ridere e ci ha spaventati. È fantastico con gli attori e impregna tutti i suoi personaggi, tutti i suoi film, di grande umanità>>. E non finisce qui. Infatti, oltre all’oneroso compito di dover tener testa a due cineasti stilisticamente differenti ma ugualmente pregevoli, Newell (assieme allo sceneggiatore habitué della saga Steve Kloves) dovette confrontarsi con la trasposizione su schermo di uno dei romanzi più corposi tra quelli usciti fino ad allora - lungo addirittura il doppio de Il prigioniero di Azkaban. Così corposo, da aver inizialmente ispirato alla produzione l’idea di dividere l’opera in due parti. Purtroppo, l’ipotesi non venne vista di buon occhio e si optò per una sintesi del racconto letterario che fosse possibile racchiudere in una pellicola singola.
Iniziamo col dire che Harry Potter e il calice di fuoco è un film che fa del concetto di espansione, il quale viene portato avanti su tre livelli differenti, il proprio fulcro narrativo. Il primo livello è certamente quello riguardante la lotta tra il bene e il male, tra il lato oscuro e il lato chiaro, in quanto, all’interno del pellicola, entrano in gioco molte altre pedine rispetto ai semplici conoscenti e amici di Harry e due/tre seguaci di Voldemort degli scorsi film. Questo a partire dai Mangiamorte - vestiti e rappresentati quasi come membri del Ku Klux Klan -, di cui vengono mostrati volti, retroscena e caratteristiche principali e che, già dal prossimo capitolo, appariranno sempre più in pianta stabile e numericamente aumentati. Un discorso simile è applicabile anche al Ministero della Magia che qui inizia a delinearsi come organo ipocrita e meschino che vede Voldemort essenzialmente come una minaccia per la propria immagine, più che per il benessere e la sicurezza dei suoi cittadini. Questo ampliamento del conflitto magico oltre le mura di Hogwarts e la vita di Harry Potter (che comunque rimane personaggio centrale dei combattimenti) e su scala globale viene espresso e lasciato trasparire da Newell mediante una messa in scena e un’atmosfera contraddistinte da una tensione invisibile ma opprimente e tangibile, coincidendo inoltre con un’espansione parallela (il secondo livello) della geografia e vastità del mondo magico in sé. Infatti, durante il racconto, veniamo a sapere che Hogwarts non è la sola scuola di magia esistente, ma che ne esistono chissà quante altre, e che il mondo magico non si limita a ciò e coloro che abbiamo imparato a conoscere nei tre film precedenti. Per una volta, vediamo l’universo di Harry Potter da tutt’altra prospettiva e questo non fa che aumentare la sensazione di pericolo rappresentata da Voldemort e da un conflitto emergente che potrebbe distruggere un intero mondo, coinvolgendo milioni di persone innocenti. Il terzo e ultimo piano di espansione concerne Hogwarts e il suo ecosistema che, ne Il calice di fuoco, vengono esplorati maggiormente. La sceneggiatura di Kloves lascia invero molto più spazio a figure finora ritenute secondarie, come quella di Neville (che qui sostituisce Dobby, diventando molto più centrale e rilevante ai fini della trama), e presenta, seppur in modo abbastanza anonimo, nuovi studenti come Cho Chang e Cedric Diggory - che si converte in un personaggio importante e memorabile, non tanto poiché concorrente del Torneo, ma in quanto simbolo di una trasformazione della saga e dei suoi toni (ma di ciò parleremo tra qualche riga).
Oltre che da un punto di vista di espansione dei confini magici, il passaggio di testimone da Cuarón a Newell si nota, nel bene o nel male, anche e soprattutto da un punto di vista tecnico. Registicamente parlando, è abbastanza oggettivo denotare come la regia del secondo, se comparata con quella dell’autore messicano, sia tremendamente inferiore. Newell si configura più che altro come un ottimo mestierante, interessato quasi unicamente in una resa su schermo quanto più limpida e visivamente adrenalinica dello script di Kloves. Tuttavia, nonostante la complessità della narrazione impedisca a Newell una partecipazione artistica e visionaria degna di nota, questi riesce comunque a dar vita ad un paio di momenti che sono entrati istantaneamente nell’immaginario collettivo. Ci riferiamo, nello specifico, al prologo iniziale - che, sulle note riarrangiate da Patrick Doyle del classico tema di John Williams, introduce lo spettatore ad una dimensione dark con tinte quasi horror che anticipa il setting dello scontro finale, rivelandosi inoltre capace nell’instaurare un’ottima tensione scenica (anche grazie ad una fotografia tanto minimale quanto tremendamente inquieta) -, ai vari frammenti dedicati alle differenti prove del Torneo - da citare la prova del Lago Nero, forse la più riuscita e visualmente sbalorditiva delle tre, resa possibile grazie alla costruzione di un acquario dalla portata di quasi 2 milioni di litri e ad una sessione di addestramento all’immersione che vide Daniel “Harry Potter” Radcliffe impegnato per ben 6 mesi - e al confronto finale, con annessa resurrezione del Signore Oscuro in persona: probabilmente una delle scene più famose di tutti e 8 i film, un concentrato di perfezione registica, post-produttiva, effettistica, atmosferica, interpretativa e narrativa. Ne Il calice di fuoco, il lavoro espressivo e creativo compiuto da Ralph Fiennes sul personaggio di Voldemort è uno dei punti qualitativi più alti dell’intera saga, oltre che uno degli unici momenti in cui la minaccia del Signore Oscuro è più palpabile e manifesta, non riducendosi soltanto ad una serie di gemiti e Avada Kedavra urlate a caso (ma di questo avremo modo di discutere già dal prossimo articolo).
Molti imputano al capitolo di Newell un’eccessiva mancanza di coesione narrativa nello sviluppo centrale del racconto, con sequenze estremamente spensierate e perciò dispersive. In effetti, talvolta i vari frammenti sembrano montati quasi in maniera episodica. Inoltre, se tra la prima e la seconda prova, si colloca un blocco narrativo di mezz’ora che esplora la vita mondana e sociale di Hogwarts, deconcentrando lo spettatore rispetto al Torneo, tra seconda e terza, il passaggio è forse troppo breve. Tuttavia, pur dando ragione in parte a suddette critiche, siamo dell’idea che questi momenti di assoluta leggerezza, quasi da teen-drama, ricoprano un ruolo di contrasto vitale ai fini emotivi e percettivi del racconto. Infatti, unitamente ad una caratterizzazione più approfondita dei protagonisti e ad un memorandum della loro condizione di adolescenti in piena fase ormonale, questi frammenti rappresentano il perfetto contraltare di tutte quelle porzioni drammatiche che, ne Il calice di fuoco, raggiungono lidi alquanto tragici. Basti solo pensare al brutale e selvaggio omicidio - a opera di Codaliscia - di Cedric Diggory che, in relazione alla saga, rappresenta il primo omicidio a schermo (raccontato visivamente e non attraverso un sentito dire o uno scambio di battute) e il punto di rottura che sgancia, in termini di atmosfere e maturità, la pellicola di Newell e tutta la produzione successiva dai prodotti di Columbus e Cuarón - ancorati ad un contesto più fiabesco e “infantile”, malgrado alcune tematiche adulte. In tal senso, il racconto e la messa in scena de Il calice di fuoco riescono ad equilibrare le proprie componenti, mettendo insieme un’avventura che intriga sapientemente lo spettatore, illudendolo allo stesso tempo. Difatti - pur inserendo ciclicamente indizi ed elementi che sembrano indicare come, dietro al Torneo, si nasconda il volere di qualcuno dagli intenti maligni (probabilmente lo stesso Voldemort) -, l’intreccio e il suo sviluppo sconvolgono completamente il pubblico, inanellando in maniera magistrale una serie di colpi di scena che gettano il mondo magico in un abisso di oscurità e lutto, reiterato, in ultima battuta, da un finale sofferente e luttuoso che propone un assaggio di registro e tematiche dei film successivi.
Tutto è bene quel che finisce bene. O forse no? Certo, ci siamo prodigati nel tessere lodi e difendere alcune scelte artistiche intraprese e portate avanti da Newell-Kloves prima, durante e dopo la realizzazione de Il calice di fuoco. Tuttavia, sarebbe sbagliato non ammettere la presenza di alcuni importanti difetti e storture, alle volte ingiustificate, quando non profondamente dannose. Come affermato precedentemente, nella trasposizione su pellicola dell’ingombrante quarto libro della saga letteraria, Kloves ha dovuto stravolgere completamente la struttura letteraria, eliminando, per motivi di durata e sintesi, interi capitoli dalla cut finale. Su questo non avremmo assolutamente nulla da ribattere, non fosse per l’importanza ricoperta da codesti passaggi, in termini di comprensione e sviluppo metodico e omogeneo della trama. Tra le varie eliminazioni, è d’obbligo menzionare la partita di Quidditch tra Irlanda e Bulgaria (rimozione inspiegabile, vista l’attenzione posta alla sua costruzione), la storyline di Barty Crouch Jr. (al centro di uno dei colpi di scena più importanti del film che, proprio perché manchevole di una preparazione adeguata, perde incisività), l’inizio a Privet Drive, la prova del drago degli altri tre concorrenti (la cui assenza è forse più legittima) ed un’importante sottrazione di pathos alla sequenza del labirinto.
Ciò nonostante, tali difetti [che si aggiungono ad un paio di forzature, qualche ingenuità rappresentativa e di caratterizzazione ed una presentazione priva di memorabilità delle new entry] svaniscono, come per magia (o quasi?), di fronte ad una moltitudine di sequenze ineccepibili, adrenaliniche e pregne di emotività, un cast ottimo - con un Brendan Gleeson e un summenzionato Ralph Fiennes che, con la loro espressività e immedesimazione, riescono ad oscurare totalmente il trio protagonista -, una colonna sonora che, nonostante il cambio di compositore, non fa rimpiangere le sonorità classiche della saga ed una fotografia nettamente superiore a quella de Il prigioniero di Azkaban. Se Alfonso Cuarón aveva imposto e incatenato il racconto originale alla propria visione registica, con Newell ricomincia la tradizione - iniziata e subito interrottasi con Columbus - del cineasta che mette da parte la propria indipendenza artistica per dar origine ad una rappresentazione quanto più legata ai voleri del comparto narrativo. Seppur pressoché invisibile e indubbiamente inferiore a quella sfoggiata dai suoi predecessori, la regia di Newell (e, con essa, il suo approccio alla saga potteriana) consegna al pubblico il capitolo che, più di tutti, azzecca le tonalità e le atmosfere dark, giustificandole sia a livello estetico che narrativo. Invero, pur componendosi di una tensione sussurrata ma costante - che sfocia in scene emotivamente atroci e pessimiste -, il dark de Il calice di fuoco lascia comunque spazio a momenti di distensione che, a differenza di quello che si potrebbe pensare, non appaiono come mero riempitivo, bensì come eccellente elemento di opposizione. In definitiva, Harry Potter e il calice di fuoco è un’avventura che, tra alti e bassi, riesce a soddisfare in pieno le aspettative degli aficionados, non tradendo la gravosa eredità affidatale. Nettamente superiore a La pietra filosofale e, per certi versi, migliore de Il prigioniero di Azkaban il quarto film del Wizarding World è un’opera di passaggio pregevole che traccia una sorta di linea guida per tutta la produzione successiva - per tutta la quadrilogia di Yates -, la quale, come vedremo, prenderà tutt’altra piega.
Al prossimo anno, giovani maghi! Alla prossima settimana, lettori!
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