TITOLO ORIGINALE: Harry Potter and the Philosopher's Stone
USCITA ITALIA: 6 dicembre 2001
USCITA USA: 16 novembre 2001
REGIA: Chris Columbus
SCENEGGIATURA: Steve Kloves
GENERE: fantastico, avventura
Un bambino ordinario, dal passato cupo e misterioso, riceve una lettera da parte di una scuola di streghe e stregoni di nome Hogwarts che gli rivela l’esistenza di un segreto e bizzarro mondo magico. Chris Columbus è progenitore e creatore, a livello estetico e visivo, dell’universo di Harry Potter così come lo conosciamo oggi. Regista di Mamma ho perso l’aereo e sceneggiatore de I Goonies, questi traspone su schermo il primo romanzo della saga letteraria di J.K. Rowling, servendosi di una sceneggiatura semplice ma equilibrata e di un comparto effettistico e spettacolare che regge benissimo ancor oggi. “Fedeltà” e “necessità di creare una nuova affiliazione” sono gli ingredienti fondanti la genesi di una delle saghe per antonomasia, dominatrice, per anni, dei botteghini di tutto il mondo e parte integrante della cultura cinematografica contemporanea/pop.
Da questo giovedì (12 novembre, ndr) Mediaset riproporrà, per la seconda volta in un solo anno - e non più su Italia 1, bensì su Canale 5 -, la tanto attesa quanto popolare maratona di tutti e 8 i film di Harry Potter. Per l’occasione, Cinemando ha pensato di designare il giovedì (salvo imprevisti), da oggi sino a fine dicembre, come “Harry Potter Day”, pubblicando, ad ogni appuntamento, la recensione del capitolo in programmazione quella settimana.
Non posso essere un mago... Voglio dire, sono solo Harry... Solo Harry!
Harry Potter (Daniel Radcliffe)
Ultimata questa doverosa premessa, facciamo dunque un salto indietro nel tempo e torniamo al lontano 1997, anno in cui il produttore David Heyman era alla ricerca di un libro per ragazzi da adattare sul grande schermo. La sua idea originale era di produrre una pellicola ispirata a The Ogre Downstairs di Diana Wynne Jones, tuttavia l’accordo venne meno e lo staff decise di presentargli il primo capitolo di una neonata saga letteraria che, ciò nonostante, aveva riscosso subito un gran clamore: Harry Potter e la pietra filosofale. Heyman avanzò l’idea alla Warner Bros., che, l’anno successivo, acquistò dall’autrice J. K. Rowling i diritti per i primi quattro romanzi della serie (al risicato costo di 1 milione di sterline). Immediatamente, però quest'ultima impose un ferreo controllo e pretese pieni poteri creativi e decisionali sia sulle scelte di casting (voleva che tutti gli attori fossero britannici) sia su quelle di produzione, poiché - citando la stessa autrice - non voleva "dare il controllo (a Warner Bros. e soci) sul futuro della (sua) storia".
Del progetto se ne occupò inizialmente Steven Spielberg - il quale aveva in mente di realizzare un film d’animazione o una trasposizione che condensasse al suo interno vari elementi dei primi tre libri -, ma si tirò indietro quasi subito per dedicarsi a A.I. - Intelligenza Artificiale (2001). In seguito a numerose proposte (Terry Gilliam, Rob Reiner, Tim Robbins, M. Night Shyamalan), il film trovò finalmente il suo progenitore: Chris Columbus. Regista di grandi cult del cinema per famiglie, quali Mamma ho perso l’aereo (1990) e Mrs. Doubtfire (1993) e sceneggiatore del film anni ‘80 per antonomasia, I Goonies (1985) di Richard Donner; a Columbus va il merito di aver creato, a livello visivo ed estetico, il mondo dei maghi così come lo conosciamo oggi e di esser riuscito ad infondere, nei suoi due interventi potteriani (dirigerà anche il secondo capitolo, Harry Potter e la camera dei segreti, 2002), un’atmosfera incantata e una vastità immaginifica, che i cineasti successivi difficilmente riusciranno a replicare. Seppur meno pretenziosa rispetto a quella di Cuaron e di Yates, la regia di Chris Columbus riesce comunque a rispettare l’essenza letteraria e fantastica dei romanzi e a colpire a tal punto la fantasia dello spettatore, da imprigionarlo completamente in questo nuovo mondo.
Fedeltà (traspositiva) e necessità (di creare una nuova affiliazione) sono dunque i due cardini attorno a cui si costruisce la visione registica di Harry Potter e la pietra filosofale, che, facendo suoi gli occhi e il punto di vista dello stesso Harry, si pone costantemente allo stesso livello dell’audience. Di conseguenza, così come il mondo magico e le sue stranezze e suggestioni si aprono alla coscienza del maghetto occhialuto, così questo stesso universo penetra nella mente e nell’immaginario dello spettatore, il quale rimane completamente sbattezzato e sorpreso ad ogni cambio sequenza o taglio di montaggio. Malgrado ciò, ancor prima di essere registica e visiva, questa totale immedesimazione e coincidenza tra Harry e il pubblico è da rintracciare nella caratterizzazione stessa del protagonista, in quanto egli si presenta fin da subito come un personaggio estremamente neutro e ignaro - così come ignaro è il pubblico. Certo, è quantomeno evidente che questi ricoprirà un ruolo preponderante all’interno del racconto - anche solo per la sua presenza nel titolo e la centralità narrativa della scoperta delle sue origini e del suo passato burrascoso. Tuttavia, all’inizio de La pietra filosofale, egli è introdotto nelle vesti di bambino ordinario, oltre che orfano, appartenente ad un contesto familiare medio-borghese, quello dei Dursley, borioso ed universalmente consueto - seppur esasperato e parodistico. Pertanto, quando questi inizia a comunicare con un pitone, uno stormo di gufi recapita delle strane lettere in Privet Drive, 4 (questo l’indirizzo di residenza della famiglia Dursley) e un omone barbuto e minaccioso, provvisto di ombrello dai poteri magici, bussa alla porta (o meglio, la abbatte), Harry e lo spettatore varcano contemporaneamente e unitamente sia la soglia narrativa che - con riferimento al viaggio dell’eroe di vogleriana memoria - separa il mondo ordinario da quello straordinario, sia le due fisiche (Diagon Alley e il binario 9¾) che dividono i “babbani” dai maghi.
Tale separazione e differenziazione è ulteriormente sottolineata da una regia solida ed efficiente che sa scegliere bene i punti macchina, elevandosi ad altezze vertiginose - con panoramiche a volo d’uccello e totali volte a valorizzare sia la grandezza e la magnificenza degli spazi, sia la loro tortuosità e labirinticità (basti pensare al summenzionato Diagon Alley o alle scale del castello di Hogwarts) - e sprofondando, al contempo, nelle profondità più cupe e tenebrose; da una fotografia, imperniata sulla suggestione regalata da luci diegetiche come candele e lampade, romantica, calorosa e sognante (rispetto al grigiore e alla monotonia di Londra e del mondo “babbano”); e, ovviamente, dalle stesse ambientazioni, iconiche, suggestive e vibranti. Completano l’incantesimo, una colonna sonora miracolosa targata John Williams ed un comparto effettistico non sempre credibile (in alcuni momenti, è evidente l’artificiosità di alcuni elementi), ma ugualmente sorprendente, considerando che stiamo parlando di un film di quasi vent’anni fa.
Riprendendo il discorso registico sopracitato, l’azione di questa macchina da presa - che, grazie all’uso di altitudini e discese, riesce a far emergere le peculiarità e caratteristiche di ogni singola scenografia - trova un suo perché anche narrativamente parlando, nel senso di scoperta ed esplorazione profonda del legame tra Harry e Voldemort e di distinzione tra il mondo magico fiabesco e incantato e quello oscuro ed enigmatico - rappresentato al meglio dall’intricata matrioska di prove finali che Harry & co. dovranno superare per arrivare faccia a faccia con il Signore Oscuro. Matrioska non tanto intricata quanto quella di ispirazioni e correnti di genere su cui si fonda il racconto del film. Infatti, oltre ad essere una storia fantasy geniale e piena di inventiva - che deve gran parte della sua memorabilità e riuscita ad un’ibridazione di elementi magici con tratti e tematiche attuali proprie di una dimensione più terrena -, La pietra filosofale è, al tempo stesso, un racconto di formazione, una commedia semplice, ricolma di british humour, un teen-drama d’avventura alla Goonies (neanche a farlo apposta), che non si astiene dal disgustare il pubblico con dettagli viscidi e viscosi, e, addirittura, un giallo-mystery. Infatti, se ci si riflette bene, Harry, Ron e Hermione - almeno nei primi capitoli della serie - sono detective in piena regola chiamati, con i loro incantesimi e la loro astuzia, a smascherare gli intenti e piani originari di voi-sapete-chi, nascosti, a loro volta, dietro una sequela di avvenimenti strani ed inspiegabili. E, proprio nell’esposizione di un mistero che comprende un cane a tre teste, un troll, una vecchia maledizione e una pietra dai poteri divini; l’autore della sceneggiatura, Steve Kloves, dimostra un’abile capacità di sintesi rispetto alla creatura letteraria della Rowling, inanellando una vicenda dalla struttura e progressione semplici ma equilibrati, caratterizzata da personaggi ben scritti, anche se forse un po’ troppo esemplari e prototipici, e da un ritmo irrefrenabile (2h30 passano come fossero minuti). Un intreccio, quello di Kloves, che si diverte inoltre ad illudere prospettive, convinzioni e punti di vista dello spettatore - con il quale intrattiene un rapporto serrato e accondiscendente -, lasciandogli intuire la grandezza e la storia remota di questo nuovo universo e anticipando, per giunta, alcune delle tematiche (come quella sociale e sanguigna) che diverranno predominanti nei capitoli a venire.
Parallelamente a questo ammirevole - nonostante qualche lieve difetto - lavoro di sintesi e trasposizione della materia d’origine, La pietra filosofale è completato e animato, in ultima battuta, da un cast così tanto immedesimato e fisionomicamente azzeccato da eliminarsi in quanto tale. A partire dal trio protagonista - composto da tre giovanissimi e talentuosi attori al loro debutto cinematografico -, fino ad arrivare a comprimari e semplici personaggi di contorno, ogni singolo interprete riesce a spremere al massimo le proprie capacità espressive, al fine da rendere il proprio ruolo e personaggio quanto più memorabili e carismatici. Se a ciò uniamo una direzione capace di catturare appieno la bellezza e il fascino di ciascuna individualità interpretativa, otteniamo il primo, indimenticabile capitolo della saga per eccellenza, insieme a Il Signore degli Anelli e Star Wars. Una serie di film che sono cresciuti con il tempo, insieme ai propri volti attoriali e ai propri spettatori, mettendo sul piatto atmosfere, tematiche e contenuti sempre più maturi: questo è Harry Potter. Eppure, tutto ciò non sarebbe mai stato possibile, se, in quel lontano 1997, i colleghi di Heyman non gli avessero sottoposto la storia di Hogwarts e la figura di un curioso maghetto dagli occhiali rotondi e dal passato doloroso che, nel giro di qualche anno, avrebbe dominato i botteghini di tutto il mondo. Tutto partì da qui: dalla visione di Chris Columbus; dal fisic du role di Daniel Radcliffe; dalle atmosfere fiabesche, ancora giocose ed infantili (prima dell’eclatante svolta dark); e da quel tema musicale inconfondibile di John Williams. Tutto partì da La pietra filosofale, una pellicola indubbiamente imperfetta, ma composta, nel bene e nel male, da sequenze e dialoghi che sono divenuti parte del DNA di tutti i suoi spettatori. Il magico, primo capitolo di un’avventura filmica che non vediamo l’ora di ripercorrere insieme a voi.
Al prossimo anno, piccoli maghi! Alla prossima settimana, lettori!
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