TITOLO ORIGINALE: Harry Potter and the Chamber of Secrets
USCITA ITALIA: 6 dicembre 2002
USCITA USA: 15 novembre 2002
REGIA: Chris Columbus
SCENEGGIATURA: Steven Kloves
GENERE: fantastico, avventura
Continuano le avventure dei tre piccoli maghetti al secondo anno nel castello di Hogwarts. Questa volta, il trio dovrà confrontarsi con un mostro dalle dimensioni ciclopiche che aggredisce e pietrifica i maghi figli di babbani e con un passato misterioso, legato alla stessa fondazione della scuola. Chris Columbus conclude il suo intervento potteriano con un sequel ottimo, contraddistinto da una crescita e maturazione giustificata e necessaria di estetica e racconto. Sibili di morte, sangue a fiotti e creature dark e inquietanti sono i sintomi evidenti di una narrazione ancora più cupa e gotica, completata successivamente da una regia immedesimata, una fotografia giocata sul chiaroscuro e una durata considerevole, ma oltremodo godibile. Uno dei migliori film per ragazzi.
Bentornati, cari lettori! Come forse saprete ormai, dallo scorso giovedì (12 novembre, ndr) Mediaset ha deciso di riproporre, per la seconda volta in un solo anno - e non più su Italia 1, bensì su Canale 5 -, la tanto attesa quanto popolare maratona di tutti e 8 i film di Harry Potter. Per l’occasione, Cinemando ha pensato dunque di designare il giovedì (salvo imprevisti) come “Harry Potter Day”, pubblicando, ad ogni appuntamento, la recensione del capitolo in programmazione quella settimana.
Non sono le nostre capacità che dimostrano chi siamo davvero, sono le nostre scelte.
Albus Silente (Richard Harris)
Dove eravamo rimasti? Certo, come dimenticarselo! Eravamo rimasti ad Harry - orfano dal passato misterioso e oscuro -, sconcertato in seguito alla scoperta dell’esistenza di un mondo magico sotto la superficie e del ritorno di Lord Voldemort (mago oscuro, omicida dei coniugi Potter e causa di quella cicatrice peculiare sulla sua fronte), il quale intende utilizzare gli smisurati poteri rigenerativi della pietra filosofale per tornare in vita e ristabilire il proprio regno delle tenebre. Fortuna che il nostro maghetto preferito è nei paraggi e riesce, con ingegno e astuzia, a mandare all’aria il suo piano malefico. Allo stesso tempo, eravamo rimasti anche ad Harry, affranto dall’abbandono di Hogwarts - che percepisce sempre più come sua vera casa - e indubbiamente infelice, visto il luogo e il contesto in cui dovrà ritorno.
Salutato e accantonato momentaneamente il mondo magico, eravamo rimasti anche ad una storia produttiva nata per caso e sviluppatasi non con poche difficoltà - tra indecisioni registiche e pretese della stessa J.K. Rowling, autrice dei romanzi (per tutti i dettagli, date un’occhiata alla nostra recensione de La pietra filosofale). Difficoltà che non hanno di certo impedito la nascita di uno dei capitoli migliori di quella che sarebbe poi diventata una delle saghe più popolari della storia del cinema. Alla luce di un lavoro pre-produttivo iniziato ancor prima dell’uscita de La pietra filosofale nelle sale, le riprese de La camera dei segreti - trasposizione omonima del secondo romanzo della saga - hanno inizio in tempo record (praticamente otto mesi dopo le riprese del primo capitolo). Come si dice, squadra che vince non si cambia: tornano infatti Chris Columbus dietro la macchina da presa e Steven Kloves dietro il tavolo della sceneggiatura. Vista la riuscita (o almeno si sperava fosse tale) di un progetto inteso effettivamente come antipasto di un pranzo succulento e molto più esteso, i due avrebbero potuto riproporre lo stesso tipo di estetica, atmosfera e approccio alla materia originale, confezionando un seguito (chi lo sa?) forse tecnicamente uguale al primo, con qualche semplice e minima aggiunta narrativa. E invece no. Kloves prima e Columbus poi analizzano il testo originale della Rowling e percepiscono una maturità spiccata, nonché un tono molto più oscuro, violento e misterioso rispetto a quello del primo libro - ancora acerbo e incantato. La coppia decide dunque di restituire allo spettatore quella stessa sorpresa e quello stesso shock, che tutti i lettori della saga hanno provato, alla lettura delle prime pagine de La camera dei segreti, dando vita ad un’impalcatura filmica consapevole, coraggiosa e fortunata. Il risultato? Uno dei film per ragazzi più riusciti e accattivanti di sempre.
La pellicola apre il sipario su uno scenario che il pubblico de La pietra filosofale conosce a menadito e che, almeno inizialmente, potrebbe trarlo in inganno, facendogli pensare che, da un anno all’altro, nulla sia realmente cambiato. I Dursley - che ancora una volta rappresentano una parodia della società medio-borghese - sembrano non essere cambiati, così come non sembrano essere mutate le angherie e pregiudizi da parte loro nei confronti del povero Harry. Malgrado ciò, l’atmosfera non è più quella comico-satirica dell’inizio della prima iterazione. Come ben visibile, infatti il maghetto protagonista - trasferitosi nella vecchia camera di Dudley - è estremamente rattristato, dal momento che, durante le vacanze estive, nessuno dei suoi amici gli ha fatto avere sue notizie. In più, come se non bastasse, pochi giorni prima dell’inizio delle lezioni e del ritorno a Hogwarts, questi riceve la visita di un personaggio nuovo, stravagante, a tratti perfido ed esteticamente inquietante: Dobby, l’elfo domestico, ovviamente. Quest’ultimo - dopo aver svelato a Harry di esser stato lui a dirottare le lettere degli amici ed averlo avvertito dei pericoli in cui potrebbe incappare se facesse ritorno alla scuola di magia -, per riuscire nella sua missione salvifica, inizia a combinare dei guai in casa Dursley. La risposta di zio Vernon ci mette poco ad arrivare: inferriate alla finestra e lucchetti alla porta. Per fortuna che esistono gli amici e per fortuna che esiste Ron, il quale, insospettito dalle mancate risposte dell’occhialuto alle sue lettere, ruba la macchina volante del padre, riuscendo a salvare il compagno da questo stato di assoluta reclusione.
Se questo primo inizio, all’infuori della sorpresa elfica, poteva quantomeno far credere agli spettatori che nulla fosse stato alterato realmente, gli eventi successivi ribaltano completamente quasi tutti i punti riferimento. Nello specifico, l’arrivo a casa Weasley, l’uso della polvere magica, la visita accidentale di Notturn Alley, la presentazione del libro di Gilderoy Allock, il primo incontro con Lucius Malfoy - padre del piccolo e perfido Draco - lasciano intravedere quella crescita e quel cambiamento di tono summenzionati che diventano tali ed evidenti, in seguito alla perdita dell’Hogwarts Express e all’arrivo rocambolesco e spericolato di Harry e Ron al castello. Difatti, seppur inalterato nell’architettura, quest’ultimo pare essersi calato una maschera cupa e gotica, come sottolineato da una fotografia giocata sul chiaroscuro e da una regia che - pur avendo, come obiettivo principale, il racconto di un qualcosa di magico, spettacolare e fantastico - abbandona quel gioco di altezze operato precedentemente, rimanendo quanto più legato al suolo e, di conseguenza, ai personaggi e al tetro mistero che, legato alla stessa fondazione di Hogwarts, attanaglia la loro permanenza scolastica. Inoltre, la fortezza e i suoi dintorni diventano patria di creature dark e sinistre quali alberi che pestano peggio di Rocky, fantasmi malcontenti, folletti malefici, piante urlanti, ragni mostruosi, diari maledetti e un mostro di proporzioni ciclopiche.
Inquadrature oblique finalizzate a sottolineare l’apprensione e lo sconforto dei personaggi, primissimi piani, zoom improvvisi, piani sequenza volti ad accentuare il carattere labirintico dei corridoi di Hogwarts - territorio di caccia di un predatore invisibile - e pseudo-jumpscare che soddisfano intenti e pubblico di riferimento sono connotazioni registiche correlate e sintomo di questa ripetuta, giustificata e necessaria maturazione di estetica ed espressione che vede, sia nella messa in scena sia nel racconto in sé de La camera dei segreti, i suoi principali sbocchi realizzativi. Tuttavia, dove, a livello di costruzione tecnico-visiva, tolta qualche piccola aggiunta stilistica, il tutto rimane concretamente invariato, è a livello narrativo e di caratterizzazione che si registrano le evoluzioni e migliorie più sorprendenti e inattese. Tali perfezionamento ed approfondimento iniziano a delinearsi fin da quella stessa serie di eventi elencata poco sopra, denotando nuovamente la cura di Kloves nella strutturazione e sviluppo della vicenda. Basti solo pensare al lungo dialogo/confronto tra Lucius Malfoy e Harry, Hermione e i Weasley che ha, come scopo preponderante, oltre ad una presentazione a regola d’arte di uno dei villain della saga, un primo tracciamento di società e politica magiche che torneranno fortemente nei capitoli successivi. In particolare, delle due correnti di pensiero che vedono scontrarsi chi, da un lato, ritiene la magia come aperta a tutti - tanto a figli di maghi quanto a figli di babbani - e chi, dall’altro, crede che gli “sporchi mezzosangue” debbano essere estirpati.
Questa contrapposizione di ideali - che, ora come ora, si presta volentieri ad interpretazioni e riflessioni in ottica presente - è soltanto la punta dell’iceberg di un processo di presentazione, approfondimento e sviluppo di personaggi - nuovi e vecchi -, leggende ed avvenimenti passati che vengono messi in discussione, ampliando a dismisura l’universo potteriano. Partendo dalla sbirciatina data a due realtà magico-familiari completamente antitetiche come quelle di Weasley e Malfoy, passando per l’introduzione di una figura come quella di Tom Orvoloson Riddle (un nome, un programma), fino ad arrivare a brevi, ma significativi accenni a dimensioni future e preponderanti come Ministero della Magia, Azkaban e Fenice, La camera dei segreti ripara una delle maggiori ingenuità del primo capitolo, ossia l’evidente banalità e piattezza nella caratterizzazione di gran parte dei personaggi principali che, ridotti a meri archetipi narrativi, venivano resi memorabili soltanto grazie alla fattura e bravura della propria controparte visiva ed interpretativa. Tutto ciò viene portato a termine con cura e perizia da una sceneggiatura che, imbastendo un intreccio dalle atmosfere e ossature narratologiche tipiche del giallo/mystery (in maniera ancor più evidente e manifesta rispetto a La pietra filosofale), riesce ad instaurare un clima di diffidenza e sospetto continui nei confronti di tutte le sue pedine, addirittura del suo stesso protagonista. Harry - che, nel film, diventa un detective a tutti gli effetti -, allo stesso modo dello spettatore, attraversa infatti una profonda fase di presa di coscienza nei riguardi sia della sua importanza e centralità all’interno del mosaico filmico, sia del suo passato - ancora pienamente avvolto in un mantello di mistero e oscurità - e del legame mentale che lo lega a Voldemort, arrivando, come nei migliori romanzi di formazione, a dubitare gravemente di sé stesso e delle proprie abilità.
Sibili di morte, una quantità di sangue impensabile per un film dal primo capitolo così fiabesco ed innocente, persone pietrificate e soprusi fisici ai danni di un povero elfo malandato sono solo gli indizi superficiali e visivamente immediati della maturazione e crescita produttiva che hanno favorito il successo e la riuscita de La camera dei segreti, contemporaneamente film più lungo e più godibile della saga. Certo, tornano in massa alcune ingenuità di scrittura - fin troppo letteraria e didascalica, soprattutto nelle fasi finali -, una certa ridondanza nella messa in scena dei “ritrovamenti” e nelle dinamiche della partita di quidditch, l’eccessiva puerilità e ridicolizzazione, come nel caso di Raptor, del professore di difesa contro le arti oscure (nello specifico, del Gilderoy Allock di un Kenneth Branagh ugualmente memorabile). Tuttavia, questo non ci ostacola dal definire La camera dei segreti un ottimo sequel, così come uno dei migliori esponenti del filone fanta-horror per ragazzi. Un’opera che, a differenza della sorella maggiore, ha sofferto in minima parte dello scorrere del tempo - merito di un comparto effettistico (supervisionato dall’Industrial Light & Magic di George Lucas) tuttora accattivante, di interpretazioni credibili, anche se, alle volte, leggermente esasperate, e di trovate visive che continuano a suggestionare e suscitare una cascata di ricordi e nostalgia. E proprio di effetto nostalgia è bene parlare, quando si analizza la duologia potteriana di Columbus: in breve, uno scorcio di quello che sarebbe potuto essere, ma che sfortunatamente non fu. Infatti, con le prossime retrospettive, vedremo come La pietra filosofale e La camera dei segreti non fossero che i sogni di un bambino cresciuto, posti alla genesi di una saga che, già dal suo terzo capitolo, avrebbe imboccato una strada completamente opposta.
Al prossimo anno, piccoli maghi! Alla prossima settimana, lettori!
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