TITOLO ORIGINALE: Les Trois Mousquetaires: Milady
USCITA ITALIA: 14 febbraio 2024
USCITA FRA: 13 dicembre 2023
REGIA: Martin Bourboulon
SCENEGGIATURA: Matthieu Delaporte, Alexandre de La Patellière
CON: Eva Green, Vincent Cassel, Louis Garrel, Vicky Krieps, Lyna Khoudri, Romain Duris, François Civil, Pio Marmaï
GENERE: azione, avventura, storico
DURATA: 115 min
A distanza di neanche un anno dalla prima metà, ecco comparire nelle sale italiane I tre moschettieri - Milady, lato B del progetto di neo-adattamento del classico di Alexandre Dumas con protagonisti François Civil, Eva Green e Vincent Cassel, a firma registica di Martin Bourboulon. Le scelte stilistiche, estetiche, produttive rimangono le stesse, purtroppo la necessità di dimostrare un'inedita allure da competitivo blockbuster europeo soffoca i personaggi, tutto il cast e porta a chiedere, per l'ennesima volta, se non sarebbe stato meglio produrre una serie televisiva.
Ci sono sempre più film che assomigliano o, meglio, dovrebbero essere serie televisive. E viceversa, ci sono sempre più prodotti sul piccolo schermo le cui intenzioni, forme e modalità non possono che far pensare alla sala cinematografica. Non è un’osservazione del tutto inedita, sia beninteso, ma ciò non ne inficia la propria - apparentemente - costante validità. Provate a riflettere: negli ultimi anni, quante pellicole avete visto flirtare insistentemente col sottile confine che divide cinema e televisione, a tal punto da valicarlo con esiti a dir poco nocivi? Per non parlare delle durate sempre più gonfiate ed eccessive, su cui bisognerebbe aprire un capitolo a parte. E ancora, quante serie ci sono che, di propriamente seriale, hanno giusto la divisione in episodi o puntate?
In tutti e due i casi, ci troviamo di fronte ad evidenti complessi di inferiorità. Complessi di famiglia. Nel primo, quello di un modo “vecchio”, esaurito, di essere testo, racconto, spettacolo audiovisivo, a favore di un altro, quello della complex television, che è, o forse, ormai, è stato un terreno di assoluta sperimentazione e libertà narrativa. Nel secondo, il complesso si pone sul fronte delle ambizioni, della grandeur, delle possibilità iconiche di un medium spesso volatile e dissipante, a confronto dell’unicità, della compattezza, del qui e ora idealmente definito e finito del cinema. Senza per questo tralasciare che esistono sempre dei prodotti pregevoli, che definiremmo di frontiera, ibridi, capaci insomma di prendere il meglio di entrambi i mondi, in ogni caso l’interrogativo che sorge naturale è sempre lo stesso: ma il senso?
È un simile dubbio ad attanagliare o, comunque sia, ad aver attanagliato chi scrive durante e dopo la visione de I tre moschettieri - Milady, il secondo tempo del kolossale progetto di neo-trasposizione dell’omonimo capolavoro della letteratura avventurosa, più precisamente di cappa e spada, di Alexandre Dumas, coproduzione europea monstre da 70 milioni di euro, con cast internazionale al seguito, scritto dal golden duo (comico!) di Cena tra amici Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, e diretto da uno shooter con tutti i crismi come Martin Bourboulon.
Ebbene, magari lo si poteva già intuire dall’indugio iniziale, dalla nostra introduzione generale, quanto poco vi sia da scrivere e da dire su questa continuazione - o, se preferite, sulla seconda stagione di questo feuilleton cinematografico - che non sia già stato analizzato o raccontato in occasione della recensione del primo capitolo, intitolato, quello, a D’Artagnan. Infatti, dal momento che ambo i film sono stati girati l'uno di seguito all’altro, le scelte stilistiche, estetiche, produttive rimangono sempre le stesse.
Resta l’idea, l’impressione di un progetto chiaramente schiacciato dalle esigenze produttive, da un bisogno, una necessità di dimostrare. Di mettere in mostra l’allure da blockbuster continentale che nulla ha o, per meglio dire, nulla vorrebbe invidiare ai progetti oltreoceano. Di far risaltare la muscolarità, l’opulenza della confezione, e quindi: una composizione e ricostruzione barocca, dettagliatissima, seriosa e filologica, la fotografia pittorica e molto espressiva di Nicolas Bolduc, gli oggetti di scena, i costumi, la scenografia, l’allestimento dei set e degli edifici storici. Questo, anche e soprattutto a discapito dei personaggi, addirittura degli stessi Moschettieri, e, va da sé, dell'efficacia di un ensemble attoriale teoricamente vincente, ma mai davvero compatto e appassionante.
Non bastasse l’approccio produttivo, ci pensa una messa in scena (dei pochi momenti) action, tra assedi à la Napoleon, inseguimenti, combattimenti a lama bianca, che si rifà e vuole misurarsi sullo stesso terreno dei modelli hollywoodiani e dei registi più coreografici, orchestrali e virtuosistici, ma che, specie nell’abbondanza di long take, non è mai pulita e spesso neppure perfettamente leggibile. La stoccata, il colpo letale spetta però alla sceneggiatura di Delaporte e De La Patellière, la quale si svincola dalla materia originale e, in questo modo, ritrova il dinamismo perduto nel primo capitolo, nonché una dimensione narrativa, un’atmosfera, un respiro epico, un intreccio di storie e Storia più funzionale. Ma che, specie nei passaggi conclusivi, appare sbrigativa, sommaria, mal calibrata (come frettoloso e parimenti deleterio è, a sua volta, il montaggio di Célia Lafitedupont), inconsapevole per giunta della proverbialità della controparte cartacea e di alcuni suoi risvolti, qui descritti come grandi coup de théâtre.
Pur tuttavia, la serietà con cui si illustra il contesto geopolitico francese della prima metà del Seicento, l’attenzione e la perizia che vengono riservate ai giochi di potere, ad una dialettica arguta e incalzante, alla profondità del dettaglio, sono tutti elementi idealmente antitetici al cinema di grana grossa, più improntato sullo spettacolo e l’azione, che i personaggi de I tre moschettieri - Milady sembrano invece avallare. Tutti i nomi impegnati: da Eva Green e Vincent Cassel, a Louis Garrel, Vicky Krieps, Lyna Khoudri, Romain Duris, François Civil e Pio Marmaï, sono invero ingabbiati nel ruolo di pedine piatte e monocromatiche che si muovono e vengono mosse su una sfarzosa scacchiera, in maniera meccanica, col pilota automatico, senza alcuna complessità.
L’unica spiegazione plausibile è allora, di nuovo, quella di una serializzazione (già tipicamente hollywoodiana) che finisce per diventare serie televisiva. Mancata, ovviamente. D’altronde, solo con un serial televisivo si sarebbe evitata la genericità, anche drammatica ed emozionale, dei caratteri e delle loro vicende. Solo in televisione avremmo compreso una struttura di trame e sottotrame (qualcuna, come quella di un sacrificato Porthos e della sorella di Aramis, di fatto inutili), e accettato un cliffhanger soap-operistico tanto scontato ed enfatico da risultare ridicolo, che getta le basi per un terzo capitolo sulla base del grande successo riscosso dell’operazione (perlomeno!). Solo così, chissà, avremmo infine trovato un senso ad un nuovo tentativo - dopo circa una ventina sparsi lungo i decenni, dal 1901 ad oggi - di riduzione de I tre moschettieri. Già, sempre lì si torna, alla stessa domanda. Ma, di preciso, il senso di tutto questo quale sarebbe?
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