TITOLO ORIGINALE: The Beekeeper
USCITA ITALIA: 11 gennaio 2024
USCITA USA: 12 gennaio 2024
REGIA: David Ayer
SCENEGGIATURA: Kurt Wimmer
CON: Jason Statham, Josh Hutcherson, Jeremy Irons, Emmy Raver-Lampman
GENERE: azione, thriller
DURATA: 105 min
L'instancabile Jason Statham, assieme a(llo sfortunato) David Ayer, si rimette alla ricerca di una nuova possibilità di franchise con The Beekeeper, uno stanco epigono del revenge movie à la Io vi troverò e John Wick, mieloso e smielato come solo una retorica populista e destrorsa può essere, che pare indeciso sul tono e l'estetica da adottare, ma che, quantomeno nella quota ridanciana ed intrattenitiva, è salvato dalla precisione e dalla professionalità con cui lo stesso Statham e il suo corpo action riempiono la scena, lasciando un segno del loro passaggio.
Ma quanto lavora l'agente di Jason Statham? Quanto fitta sarà la sua agenda? Sono queste le domanda, le curiosità che sorgono spontanee se si pensa che, solo nel 2023, l’attore ed atleta britannico è arrivato in sala e in piattaforma con ben quattro nuovi progetti, tre dei quali (Fast X, Shark 2 e I Mercen4ri) appartenenti a saghe, o comunque proseguimenti e rianimazioni di franchise, e due con ottimi riscontri da parte del pubblico, soprattutto oltreoceano, in Europa, e nell’estremo oriente. Non bastasse, sono passate giusto una manciata di settimane dall’inizio del 2024 ed egli è di nuovo in sala con un altro film, The Beekeeper, nel quale assieme al(lo sfortunato) David Ayer (regista di Suicide Squad - il primo, quello poi cancellato e resettato da James Gunn -, del netflixiano Bright e del buon Fury) sceglie di ributtarsi nella mischia, di rifarsi largo nel panorama action menando le mani, per ingraziarsi una nuova possibilità di serializzazione.
Ecco, già solo per questa densità di interpretazioni o, per meglio dire, di propizie cessioni del proprio fisic du role, il più delle volte, a buoni mestieranti e shooter, Statham (spesso anche impegnato come produttore) può dirsi, laddove non fosse ancora stato fatto, degno erede di un cinema muscolare anni '70 e '80 e del suo principale punto di riferimento. Ovvero proprio quel Sylvester Stallone con cui, tra l’altro, si è ritrovato a condividere più volte la scena. Tuttavia, qualora non vi bastasse questa come motivazione, sarebbe sufficiente prestaste attenzione alla meticolosità, alla precisione, alla professionalità con cui, per l’ennesima volta, si muove all’interno di una formula narrativa algoritmica: di questo stanco epigono del revenge movie che ha rinfoltito le fila e il panorama action dopo i vari Io vi troverò e John Wick; al passo da mercenario o da lone ranger con cui riesce comunque a donarle un senso, una cifra, un sapore. E un briciolo di divertimento a noi che guardiamo.
Stanno tutti lì, nel procedimento spiccatamente iconico ed iconografico di Statham di fronte alla macchina da presa, la sola forza, l’affabulazione e il gusto di The Beekeeper. Che, per quel che riguarda la sceneggiatura di Kurt Wimmer (o la fotografia di Gabriel Beristáin), è mieloso e smielato come solo una parabola populista e destrorsa sa essere. Una parabola che assume le fattezze di un’ironica, sfilacciata, enfatica ed infine rassicurante critica boomer alle istituzioni statunitensi - protettrici poiché finanziate da compagnie e società digitali, informatiche, tecnologiche dai traffici loschi, in mano a loro volta a tech-billionaire (come il villain interpretato da un Josh Hutcherson perfetto, pur in un ruolo tanto generico) della generazione Z, viziati e senza il minimo senso etico, privi di una dignità, astratti, futili, idealizzati più che ideali, come del resto il loro metaverso di pertinenza ed appartenenza (fatto di crypto, blockchain, NFT…). Quindi, anche di una risposta immunitaria ad un presente sfuggente, appunto volatile, (post-)post-vero o, detto in gergo, scammer, a cui si contrappone teoricamente e nei fatti la vera, diretta, tattile, definitiva concretezza del sangue, della violenza, della morte.
Ma soprattutto, di un racconto giustizialista che, complice l’incerta regia di Ayer, pare non avere ben conto di quale dimensione occupare o con che precisa estetica agghindarsi. I titoli di testa (che relazionano il nostro Beekeeper con tutto lo scibile umano in materia di api), il tono sopra le righe, il parlare retorico, per metafore e parallelismi col mondo entomologico da parte dei personaggi, la logica dell’alveare che scorta le azioni del protagonista, il look di alcuni avversari, la narrazione didascalica lascerebbero infatti supporre l’adozione e la propensione per una cifra fumettosa e fumettistica, insita per giunta nella filmografia del regista reinventore di Harley Quinn. Non fosse che questa cifra cozza viceversa (e fragorosamente) con i vari, chiarissimi riferimenti scorsesiani sparsi lungo la pellicola, col realismo con cui viene dipinto il mondo del potere e della politica, oltre che con tutti i risvolti dialettici che il copione propone e che poi, inevitabilmente, risolve in maniera sbrigativa e raffazzonata sul finale.
Raffazzonat(issim)o e molto grezzo, d’altronde, è anche il montaggio: non tanto quello interno alla singola sequenza, bensì quello complessivo, tra un segmento e l’altro. E, se è vero che non ci fosse certo da attendersi un’opera sofisticata, lasciateci dire che simili imperizie e difetti tanto eclatanti nemmeno dovrebbero varcare la soglia, il perimetro di potenzialità di un prodotto di questo tipo. Figurarsi del nono lungometraggio di un regista quasi sempre funzionale o comunque scafato come Ayer, il quale perlomeno dimostra di maneggiare bene i corpi, sublimando quasi la presenza dello stesso Statham, conduce il gioco con gratuità di spettacolo ed intrattenimento ed una catarsi ridanciana, seguendo (seppur a distanza) le orme di un mito della vendetta cinematografica quale John Woo. Anche a costo di qualche caratterizzazione più consona (la Verona di una frenatissima Emmy Raver-Lampman) e di un approccio politico più stimolante.
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