TITOLO ORIGINALE: Meg 2: The Trench
USCITA ITALIA: 3 agosto 2023
USCITA USA: 4 agosto 2023
REGIA: Ben Wheatley
SCENEGGIATURA: Jon Hoeber, Erich Hoeber, Dean Georgaris
CON: Jason Statham, Wu Jing, Sophia Cai, Page Kennedy, Sergio Peris-Mencheta, Skyler Samuels, Cliff Curtis
GENERE: thriller, fantascienza, azione, orrore, avventura
DURATA: 116 min
Sequel del fortunato film con Jason Statham vs. un famelico megalodonte, Shark 2: L'abisso di Ben Wheatley corregge la rotta ed ottiene quello che, di semplicissimo e banale (beninteso), il primo tentativo non era vergognosamente riuscito ad imbroccare, amplificandone con coerenza e correttezza le dimensioni e le misure, narrativamente, produttivamente ed esteticamente parlando. Ciò nondimeno, nella generosità di questo seguito, non sono contemplati né la novità, né tantomeno lo stupore. Magari un po’ di sano divertimento.
Chi conosce Ben Wheatley, la sua duttilità e la sua capacità di navigare tutti i tipi di acque, indie o mainstream che siano; chi ha seguito la sua interessantissima carriera e la sua lenta crescita (tanto nelle doti, quanto nella grandezza dei progetti a cui, queste doti, le ha prestate), e chi ha ben presente quale bestia camaleontica, indefinibile, proteiforme, in un certo senso simil-soderberghiana sia la sua filmografia, probabilmente aveva previsto, già ai tempi del tarantiniano Free Fire o del più recente remake di Rebecca, che egli avrebbe presto fatto il salto e sarebbe stato chiamato a dirigere se non proprio un film Marvel, un grande blockbuster hollywoodiano.
Nessuno avrebbe però pensato, né tantomeno sperato, che questo progetto fosse il sequel di Shark - Il primo squalo (in originale, The Meg), fortunato film con gli squali - neanche a dirlo -, figlio di un'accurata, tutto sommato felice, e sinora quasi del tutto unica collaborazione tra la filiera statunitense e quella cinese, eppure primariamente trainato dalla firma divistica di Jason Statham.
Quantomeno chi scrive - che trovò e trova tuttora, a distanza di cinque anni, quel primo capitolo un prodotto impietosamente immaginato sul solco spielberghiano, decisamente sopravvalutato, eufemisticamente caotico e privo del benché minimo senso sia della tensione, sia di quel trash à la Sharknado che tanto sembra anelare - non avrebbe mai neppure auspicato che un regista con lo sguardo, l’intelligenza e la cultura cinefila di Wheatley si sprecasse, ben prima che per un progetto tanto limitato e limitante, per un filone, quello dello shark movie o comunque del film sulle profondità e le sue creature, esaurito fin dai suoi primi baluginii, dai grandi avventurieri cinematografici degli anni ‘80 e ‘90 (leggasi il già citato Spielberg e James Cameron, su tutti).
In tal senso, poco, anzi pochissimo aggiunge al mucchio Shark 2: L’abisso. L’apporto di Wheatley, semmai, corregge, raddrizza ed ottiene ciò che, (beninteso) di semplicissimo e banale, il primo tentativo non era vergognosamente riuscito ad imbroccare - come, ad esempio, il divertimento, il senso di avventura, il worldbuilding, l’atmosfera - e ne amplifica con coerenza e correttezza le dimensioni e le misure, narrativamente, produttivamente ed esteticamente parlando.
E quindi il pastiche di generi, riferimenti ed ispirazioni - del tutto sommerso nella pellicola del 2018 - viene qui valorizzato, maneggiato con cura e mestiere, e portato alle estreme conseguenze. Lo shark o, per meglio dire, il monster movie viene affiancato dall’action duro e puro, con l’aggiunta di un gruppo di pirati avidi ed ecoterroristi, e tutto il carico di sparatorie varie e combattimenti corpo a corpo. Cosa che permette a Wheatley di stimolare e sfruttare a tutto tondo il corpo e il corpus cinematografico di Statham, ricalcando pure il segno del cinema del suo scopritore, Guy Ritchie, in un paio di sequenze.
Tuttavia, una grande componente è anche quella più prettamente fantastica e fantascientifica, che, laddove nel primo film si esprimeva giusto in intuizioni: ovvero nella trasfigurazione del subacqueo in una galassia lucasiana e delle imbarcazioni sottomarine quasi in navicelle spaziali, così come nell’esistenza di un mondo subacqueo e nella sopravvivenza e nella cattività assassina di una gigantesca creatura preistorica come il megalodonte; in Shark 2: L’abisso diventa l’estetica e la struttura portante di interi segmenti, allargandosi ad esoscheletri e tute dettagliatissime à la Edge of Tomorrow, e comprendendo altre tipologie di creature, oltre ai Meg, in grado di infestare la superficie terrestre, tra kraken che ricordano The Host di Bong John-ho e piccoli sauri che non possono non riportare alla mente Isla Nublar.
I numi tutelari di questa operazione elementarmente postmoderna sono, come ricordato sopra, la grande avventura di Steven Spielberg (ovviamente Lo squalo, Indiana Jones e, appunto, Jurassic Park) e la vertigine di James Cameron (Piraña paura, The Abyss, Aliens - Scontro finale), ma quello di Wheatley pare quasi un esperimento - senz’altro ipertrofico, con poche pretese e risibili ambizioni - di comprimere, digerire, ripercorrere, orchestrare, in due ore troppo abbondanti, quasi un compendio del blockbuster moderno (ed estivo) che proprio allo squalesco capostipite spielberghiano deve i suoi natali e la sua concezione.
Giustificato pertanto da una sceneggiatura meglio organizzata, ma comunque essenziale e tirchissima (a tal punto da riscrivere l’identico intreccio con gli medesimi sviluppi e risoluzioni) di Jon Hoeber, Erich Hoeber e Dean Georgaris, il regista si mimetizza nell’immaginario collettivo e dà forma ad un collage di immagini, inquadrature, situazioni già viste altrove, nutrendo senz’altro il blando esercizio e la cinefilia che accompagna e caratterizza il suo approccio (si cita pure il bistrattato Lo squalo 2 di Jeannot Szwarc!), ma non dotando Shark 2: L’abisso della freschezza necessaria a renderlo un prodotto se non più generoso, come minimo meno proverbiale ed indolente.
Ciò nondimeno, nella generosità di questo seguito - a cui va comunque riconosciuta una sua misura, specie nella peculiare ed atipica distribuzione dei tempi e nella gestione del ritmo -, non sono contemplati né la novità, né tantomeno lo stupore. Magari un po’ di sano divertimento, una volta giunti a (nomen omen) Fun Island (letteralmente, l'Isola Divertimento), che, pur nell’ipertrofia e nell’esagerazione del tutto, rimane imbrigliato e non sbraca od inverte mai la rotta.
È insomma un film medio, Shark 2: L’abisso. Sì, con intuizioni genuine ed amabili ed un calore che, nel primo capitolo, era viceversa da andare volontariamente a cercare, ma che sa di essere tale e non mira a nient’altro che a ciò che ha di fronte e sotto di sé. In altre parole, a quel tanto che gli serve per sopravvivere e rimanere a galla.
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