TITOLO ORIGINALE: Fast X
USCITA ITALIA: 18 maggio 2023
USCITA USA: 19 maggio 2023
REGIA: Louis Leterrier
SCENEGGIATURA: Justin Lin, Dan Mazeau
GENERE: azione, avventura, thriller
DURATA: 141 min
Dominic Toretto e la sua sacra familia sono tornati per quella che sarà la trilogia conclusiva e l'ultima corsa del pluriventennale franchise di Fast & Furious. Fast X di un mimetico Louis Leterrier è, come molti hanno già scritto, l'Avengers: Infinity War della Universal, una nostalgica, autoreferenziale, tronfia e ruffiana occhiata nello specchietto retrovisore con cui Vin Diesel e soci tentano di stampare la leggenda o, meglio, il Verbo di una lunga serie di pellicole che, nel panorama action contemporaneo, ha sempre rappresentato un universo a parte, un angolo di cinema reazionario nel bene e nel male, che, ciononostante, vuoi per la stanchezza di alcuni suoi interpreti (tra cui lo stesso Diesel), vuoi proprio per la stanchezza della formula, deve arrivare ad un sunto. Non mancano però sorprese come il Dante Reyes di un divertitissimo Jason Momoa, capace da solo di impedire alla pellicola di seguire la china rovinosa del capitolo precedente e compensare, seppur in parte, gli evidenti limiti dell'operazione.
Inizia con la sequenza che, più di tutte, e più di tante altre, ha contribuito a consacrare definitivamente la svolta full action del franchise, Fast X (abbreviazione coatta di Fast & Furious 10) di Louis Leterrier, decima iterazione della pluriventennale saga automobilistica per eccellenza, undicesima se si conta lo spin-off buddy di David Leitch, Hobbs & Shaw, dedicato al duo che, per un momento soltanto, ha rischiato di soppiantare l’intoccabile e pelatissimo magistero (anche da produttore) di Vin Diesel e assumere su di sé le redini e il destino dell’intera serie.
Ma torniamo a quella sequenza, tratta da quello che è forse il miglior Fast & Furious, il quinto. È da lì che prende il via quest'ultima corsa di Dominic Toretto e della sua sacra familia. Vi ricorderete la rapina al magnaccia criminale di Rio de Janeiro Hernan Reyes, l’adrenalinico inseguimento per le strade della metropoli brasiliana con appresso una cassaforte piena zeppa di soldi, ma anche come finì: ovviamente con la vittoria di Dom e della sua squadra e la morte del cattivone Reyes, schiacciato proprio dall’auto dello stesso Toretto.
Ecco, in quel momento non solo si è deciso il futuro dell’intero franchise - che ha cominciato a concepire ogni capitolo successivo, incluso questo decimo, come un grandissimo evento, ancor più parossistico ed esagerato del precedente, costruito a partire da uno stunt, un’idea folle, un movimento, un’immagine inedita per la serie, nonché, a volte, per tutto il cinema d’azione; impreziosito da ensemble attoriali sempre più grandi ed altisonanti (vi basti guardare i titoli di coda di quest’ultimo film e contare quanti premi Oscar, o supereroi falliti, hanno infoltito le fila della familia negli anni), e caratterizzato inoltre da location sparse per i quattro angoli del globo -, ma è anche morta una famiglia.
È allora proprio dall’annullamento, dalla negazione di uno dei cardini filosofici, narrativi ed emotivi della serie, che nasce la storia di Dante Reyes, figlio di Hernan, e, con lui, di questo Fast X, il quale, proprio a tal riguardo, non fa che proseguire ed assecondare coerentemente la deriva soap-operistica che ha investito il franchise (trasformista sin dalle premesse) già dal settimo capitolo (resurrezioni comprese - e qui ce n’è un’altra!).
Un franchise, quello di Fast & Furious, che ha distolto sempre più l’attenzione dalle auto, per concentrarsi, appunto, sulle famiglie, sugli alberi genealogici, sulle discendenze, sulle parentele, su legami (naturali e, soprattutto, artificiali) sempre suscettibili di revisione, aggiornamento, espansione. Dopo i fratelli Shaw, il figlio ritrovato, il dimenticato fratello Toretto, arrivano dunque il figlio di Reyes, la figlia di Mr. Nessuno (il capo dell’agenzia interpretato da Kurt Russell) e la sorella dell’agente Neves.
Ed è ancora una volta sull’altare degli affetti più cari si giocano le sorti del mondo intero, nuovamente sull’orlo di una terza guerra mondiale; mentre Dominic Toretto, che, genitore, ormai non può più permettersi di correre i rischi di un tempo, dovrà cercare a tutti di costi di fermare - questa volta, isolato dal suo team - la devastazione incontrollata e schizoide di Reyes jr., finalizzata solo ed esclusivamente a farlo soffrire il più dolorosamente possibile.
Non è quindi del tutto inesatto - anzi è forse quanto di più puntuale e preciso - affermare, come già molti critici hanno fatto, che Fast X è l’Avengers: Infinity War della Universal. Non solo per il cliffhanger, tra fuoco e ghiaccio, con tanto di inattesi ritorni, su cui si chiude il sipario, ma anche per il suo essere una sorta di sommario, di epitome, di bilancio di ciò che è stato - specie dal già citato quinto capitolo in poi -, per poi puntare dritti verso il futuro e lo showdown finale spalmato sulla superficie di altri due film.
Trattasi pertanto dell'inizio di una sorta di trilogia conclusiva e risolutiva per la storia di Dom & co. Un vero e proprio Fast (& Furious) XXL, con cui Vin Diesel e soci intendono stampare la leggenda o, meglio, il Verbo di una lunga sequela di pellicole che, nel panorama action contemporaneo, ha sempre rappresentato un universo a parte, con dinamiche sue, irreplicabili, un’eterna comfort zone, un angolo di cinema reazionario nel bene e nel male, che ciononostante - vuoi per la stanchezza di alcuni suoi interpreti (quelli della prima ora, come Vin Diesel, Michelle Rodriguez, Jordana Brewster e Sung Kang), vuoi proprio per la stanchezza della formula - deve arrivare ad un sunto, ad una chiusa, ad un suo Endgame, giusto per rimanere in tema Marvel.
Che Fast X sia allora una nostalgica, autoreferenziale, tronfia e ruffiana occhiata nello specchietto retrovisore lo capiamo in più di una sequenza e, ancor prima che nella riproposizione di situazioni, frasi, dinamiche, schermaglie, scontri, acrobazie ed esagerazioni riconoscibili (che hanno portato la seconda branca della saga ad essere anche un ricettacolo e continuo remix esagitato delle maggiori intuizioni ed invenzioni del grande cinema d'azione, in particolare di 007 e Mission: Impossible). Lo si intuisce già a partire dall’arredamento della casa losangelina di Dom, Letty e Brian jr.: una specie di ipertesto visuale, fotografico e frammentario delle immagini e dell’immaginario della saga. Poi, nel continuo riferirsi e ripercorrere situazioni, percorsi e strade già visti, successi, intrapresi. Per non parlare infine della scena in cui Toretto sr. si ritrova circondato e avvolto da alcuni dei momenti topici della sua lunga corsa.
Quello che però impedisce alla pellicola di Leterrier (chiamato al volante dell’operazione dopo la brusca cacciata del bizzoso Justin Lin da parte dello stesso Diesel, ad un giorno dall’inizio delle riprese) di seguire la china definitiva ed irrecuperabile, quasi di disfacimento e disvelamento della realtà diegetica, con tanto di (quella sì, interessantissima) riflessione esistenziale e metatestuale, del capitolo precedente; è forse proprio il Dante Reyes di Jason Momoa, che ne è forse pure la più grande sorpresa.
infatti, per la prima volta nel decorso della saga, ci troviamo di fronte ad un villain che mostra un barlume di scrittura alla base (e non esclusivamente a posteriori, per merito della presenza scenica dell’attore, come nel caso del Deckard Shaw di Jason Statham), poi enfatizzata ed accentuata dalla prova di un Momoa che pare il figlio di un bizzarro incrocio tra Joker (nel connubio violenza/morte e divertimento), Jack Sparrow (nelle movenze, negli strepiti, nella sessualità ambigua), un serial killer simil Dahmer (per gli atteggiamenti sociopatici), il protagonista di una tragedia shakespeariana, ed un personaggio luciferino o comunque inquietante delle fiabe classiche o dei racconti fantastici di un Collodi o di un Carroll.
Dante Reyes, perversione malvagia dei valori di Toretto, assoluto ed indiavolato protagonista della sequenza action più memorabile degli ultimi cinque, sei anni di Fast & Furious (l’inseguimento a Roma - e Torino, per i più attenti - con tanto di omaggio a I predatori dell’arca perduta), è il primo miracolo che permette a questa decima avventura, anche se solo per un attimo, di compensare i suoi evidenti difetti (su cui torneremo tra poche righe) e la già menzionata stanchezza di cast habitué e del segno parossistico, ontologico al franchise.
Poi c’è John Cena che, smessi, anzi liberatosi dagli stretti e scomodi panni del cattivo, rifà quello che, già in The Suicide Squad e Peacemaker, ha dimostrato saper masticare meglio. Ossia interpretare personaggi ridicoli, scanzonati, quasi parodici rispetto all’imponenza fisica dell’ex wrestler. Qui, nello specifico, compie la sua personalissima parabola da eroe in compagnia del piccolo Toretto, in un road movie parallelo, che è anche un chiaro e scanzonato omaggio a tutto quel filone di film in cui figure minacciose, solitamente portatrici di morte (sicari e simili) si ritrovano a doversi interfacciare col mondo infantile. Per non tirare in ballo proprio proprio Terminator 2, vi basti pensare anche solo a Léon di Luc Besson.
Non tanto un miracolo, quanto piuttosto una riconferma nuovamente salvifica e rinfrescante sono, in ultima istanza, il già citato Deckard Shaw di un Jason Statham che, ogniqualvolta compare, pure in sei minuti scarsi (che contengono però l’idea comica più brillante della pellicola!), riesce comunque a lasciare il segno, e il Roman Pierce di un sempre goliardico Tyrese Gibson, che, aiutato dal doppiaggio italiano, riesce a far suonare divertente anche la più stupida linea di dialogo.
Sono insomma questi quattro elementi la benzina che tiene acceso e fa funzionare il tentativo di Louis Leterrier, che sembra dirigere il tutto col pilota automatico, (mimetizzandosi) nel solco dei precedenti Justin Lin, James Wan e David Leitch, pur non riuscendo ad evitare quei succitati difetti, cimentandosi in travelling irreali ed improbabili dalla CGI vergognosa (si rimpiangono i brutti tempi de La mummia - Il ritorno), nonché incomprensibile ed ingiustificata per una produzione di quasi 400 milioni di dollari di budget, e vaticinando un montaggio che fa rimpiangere il caos ordinato di Lin e risente, per l’appunto, della dilatazione necessaria alle mire e alla dimensione narrativa di una trilogia.
Ed è forse proprio questa mancanza di sintesi - che è anche l’eredità più evidente della lunga tradizione del romanzo d’appendice, del retroterra seriale e soap-operistico verso cui si è man mano indebitata la saga - il più grande limite di Fast X, per quanto riguarda ritmo e capacità di affabulazione.
Ciò nondimeno, se avete seguito, divertiti e spensierati, la corsa di Dominic Toretto e della sua famiglia allargata fino a questo punto, non potete mancare all’appuntamento e non risalire a bordo un’altra volta. Un’ultima volta (allungata), prima che - come si dice in una contraddittoria eco dell’irrequietezza umana ed umanista di Top Gun: Maverick - al volante non rimarrà davvero più nessuno. Ma rimarranno solo idoli (o martiri) di un cinema disimpegnato, ipertrofico, irresponsabile, stravagante (un po’ come lo stesso Dante Reyes), eppure fatto con la massima fedeltà nei confronti del proprio pubblico e tanto, tantissimo cuore.
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