TITOLO ORIGINALE: Top Gun: Maverick
USCITA ITALIA: 25 maggio 2022
USCITA USA: 27 maggio 2022
REGIA: Joseph Kosinski
SCENEGGIATURA: Ehren Kruger, Christopher McQuarrie, Eric Warren Singer
GENERE: azione, drammatico
36 anni dopo il suo battesimo del fuoco, esce nelle sale Top Gun: Maverick, il sequel, per la regia di Joseph Kosinski (Oblivion), del cult movie anni '80 per eccellenza diretto da Tony Scott. Tom Cruise accetta di mettersi in discussione in un progetto ed un testo, di cui egli rappresenta il cuore produttivo ed emozionale. Questa volta, la missione davvero impossibile che dovrà affrontare non sarà tanto attaccare una base di stoccaggio nucleare di uno stato canaglia, quanto piuttosto porsi come concretizzazione dello spirito affabulatorio, avventuroso, spettacolare, per certi versi classico ed originario, di una macchina cinematografica che oggi è invece attentata e stravolta dall’automazione, da una standardizzazione concettuale, ancor prima che estetica, dall’invasione sempre più massiccia ed inquietante degli effetti visivi digitali e del filone supereroistico. Chi vivrà, vedrà. Intanto, però, vi basti sapere che Top Gun: Maverick è una perfetta macchina di tensione, ritmo, adrenalina, dinamicità e intrattenimento. Un’esperienza multisensoriale e audiovisiva più unica che rara, di quelle per cui ringrazierete di stare comodamente seduti in una sala cinematografica, piuttosto che sul divano di casa..
“Il futuro è in arrivo e voi (piloti) non ci siete. La sua razza è in via di estinzione” ricorda l’ammiraglio di squadra Cyclone ad un pensoso e turbato, ma ciononostante (e malgrado l’età) sfacciato ed impudente Pete "Maverick" Mitchell in uno dei primissimi segmenti di Top Gun: Maverick, sequel del cult movie anni '80 per eccellenza che ha lanciato Tom Cruise, a velocità supersonica, nel firmamento divistico.
Da allora, l’attore ha intrapreso un ottovolante di sfide ad alta intensità, stunt sempre più estremi e missioni sempre più impossibili, ma anche di ruoli che o hanno sfruttato la sua iconografia per costruirci un discorso attorno, o, al contrario, ne hanno scalfito la corazza di sorridente e smagliante Mr. America per dar prova dell’esistenza di una sostanziosità espressiva.
Oggi, 36 anni dopo quel primo battesimo di fuoco, Cruise, accompagnato ancora una volta dal produttore storico Jerry Bruckheimer, torna ad indossare i panni di uno dei piloti più talentuosi che la marina statunitense abbia mai avuto ai comandi e, malgrado tutto attorno a lui sia radicalmente cambiato: il mondo, la geopolitica, le tendenze, i turbamenti, le tensioni, pure il cinema; per Maverick, nulla sembra essere cambiato.
È ciò di cui la messa in scena orchestrata da Joseph Kosinski (che torna a lavorare con l’attore quasi dieci anni dopo il sottovalutato Oblivion) tenta invano di convincerci, proprio come fa lo stesso pilota, per due terzi del film. Coadiuvato dal sodale direttore della fotografia Claudio Miranda, questi riporta infatti lo spettatore nei luoghi iconici della pellicola originale, gli fa riaccarezzare i cimeli, i ricordi, gli idoli del passato, che qualcuno potrebbe definire “relitti”, e riassaporare quel senso di libertà nel cavalcare, ancora una volta, la storica Kawasaki e puntare dritti, controvento, verso il tramonto.
Attraverso toni caldi, suggestivi, quasi lirici, i due riesco a ricreare le atmosfere di un’opera imperfetta che però, grazie anche all’apporto pubblicitario del compianto Tony Scott (a cui è dedicato questo sequel) e allo sguardo di Jeffrey L. Kimball, uno dei fondatori iconografici degli anni ‘80, sono ora perfette ed autarchiche cartoline capaci di sintetizzare un’epoca, una società, un’ideologia, uno stile di vita.
A differenza, tuttavia, di tutte quelle operazioni che incorporano e concepiscono la nostalgia quale strumento drammaturgico e, spesso, unica forma di coinvolgimento, Top Gun: Maverick sa fare di questo accorato e malinconico viaggio nei ricordi e nel tempo quasi un passaggio obbligato per un discorso più ampio.
“Il futuro è in arrivo e voi non ci siete. La sua razza è in via di estinzione” è il monito che, dai primi minuti fino al comparire dei titoli di coda, riecheggiano tra le pieghe del film di Kosinski, tant'è che la missione apparentemente suicida che dovranno affrontare Maverick e i giovani allievi della Top Gun o anche solo l’incontro/scontro pseudo-paterno, che funge da fulcro emotivo e patetico del racconto, diventano quasi l’allegoria per qualcos’altro, per la vera missione, forse davvero impossibile, alla base di Top Gun: Maverick.
Più che ai piloti di caccia che si scontrano in acrobazie da capogiro, infatti, questo monito è rivolto al film in sé e per sé e a ciò che esso rappresenta, ora come ora, all’interno di un panorama cinematografico indecifrabile, sfuggente, imprevedibile, tormentato, ferito, rivoluzionato dalle fondamenta. Vale a dire una messa in discussione dell’icona divistica e machista, un’elettrizzante prova di forza, un atto di fede nei confronti del cinema e dei suoi templi laici, oppure ancora una scommessa, il cui risultato (ahinoi) è ancora ignoto, ma che, laddove dovesse essere vinta, potrebbe fare di quell'avvertimento quasi crepuscolare e, per molti, inderogabile, l’ultimo, estremo e stremato grido di battaglia di un modo di fare e pensare il cinema, nonché di un tipo di film che qualcuno potrebbe equiparare a “relitti”.
Tom Cruise - l’ultimo divo e action hero nel senso più classico e riconoscibile del termine, un’icona inscalfibile, un incorruttibile sex symbol, che, pur avendo raggiunto la soglia dei 60 anni, sembra come se ne avesse giusto 40 - accetta di mettersi profondamente in discussione in un progetto ed un testo, di cui egli rappresenta il cuore produttivo ed emozionale. È stato innanzitutto lui, infatti, ad esprimersi sulle firme e i collaboratori che l’avrebbero accompagnato, a dare un certo tocco viscerale e teorico all’operazione, ma, anche e soprattutto, ad opporsi alle succose offerte dei servizi streaming ed attendere più di due anni ed insieme uno pseudo-ritorno alla normalità e al cinema, per distribuire una pellicola terminata in periodo pre-pandemico, concepita tuttavia - come lui stesso ricorda nel video che anticipa la proiezione - appositamente per la fruizione sul grande schermo.
Per Cruise dunque, così come per un’intera generazione di volti action partoriti dalla Hollywood edonistica, patinata, machista, reaganiana, “ottantina”, che chi scrive estende idealmente fino al più “giovane” Daniel Craig (uno degli 007 che più ha lasciato il segno), Top Gun: Maverick rappresenta un vero e proprio giro di boa, un’imprevista presa di consapevolezza, una dimostrazione vitale e umana.
Invero, chi si aspetta la sfacciataggine positivista, patriottica e speranzosa del primo film, potrebbe rimanere parzialmente deluso dal sequel di Kosinski, che, malgrado riproponga e ricrei, come già anticipato sopra, praticamente tutti i momenti iconici e più riconoscibili del predecessore, è percorso da un’agrodolce sospiro mortifero che lo accomuna, in maniera a dir poco sorprendente, all’opera tombale dell’era Craig di James Bond, nel senso di racconto che va a decostruire un’icona del cinema occidentale e mondiale (non solo action); un mito vecchio quasi 70 anni nel caso dell’agente doppio zero, poco meno di 40 in quello del capitano Maverick; un corpo attoriale che diventa materializzazione e concretizzazione dello spirito affabulatorio, avventuroso, spettacolare, per certi versi classico ed originario di una macchina cinematografica che oggi è invece attentata e stravolta dall’automazione, da una standardizzazione concettuale, ancor prima che estetica, dall’invasione sempre più massiccia ed inquietante degli effetti visivi digitali, che, seppur in quantità diverse, tanto il film di Fukunaga, quanto quello (e il cinema) di Kosinski rifuggono il più possibile, preferendogli una concezione dell’azione che fa rima con praticità, valorizzazione (quasi artigianale di ogni singola anima coinvolta nel processo) e realismo.
In tal senso, Top Gun: Maverick, a differenza del "più contenuto" No Time to Die, non solo si pone quale culmine evolutivo di un cinema di aviazione che, da Ali di Wellman, passando per Gli angeli dell'inferno di Hughes e Guerre Stellari, ha trovato nel film originale di Tony Scott una sua prima maturità, ma dà forma e vita a segmenti che faranno davvero la storia dell’action.
Gli ultimi quaranta minuti, in questo senso, sono una perfetta macchina di tensione, ritmo, adrenalina, dinamicità e intrattenimento, tutta giocata sui rumori, gli scricchiolii e i suoni del cockpit, i respiri affannosi dei personaggi, una narrazione interna limpidissima, interpreti in stato di grazia (seppur bardati con divise e caschi), coreografie eseguite a regola d’arte, e il montaggio chirurgico di Eddie Hamilton e Chris Lebenzon. Una di quelle occasioni durante cui ringrazierete di stare comodamente seduti in una sala cinematografica, piuttosto che sul divano di casa. Un’esperienza multisensoriale e audiovisiva che sarebbe davvero un peccato perdersi nel luogo per la quale è stata originariamente concepita, poiché, forse, più unica che rara.
Di tutto questo, oltre che ai già citati Kosinski, Miranda, Hamilton e Lebenzon, bisogna anzitutto dar credito alla sceneggiatura co-scritta, tra gli altri, proprio a quel Christopher McQuarrie con cui Tom Cruise, a partire da Operazione Valchiria, ha stretto un sodalizio tra i più fruttuosi e virtuosi della storia hollywoodiana. Matrimonio, quest’ultimo, che ha reso possibile due dei più bei action degli ultimi vent’anni e più: Mission: Impossible - Rogue Nation e - Fallout, e oggi probabilmente l’avventura cinematografica che più rende giustizia e dona senso alla battaglia, che spesso appare quasi di circostanza e di maniera, a difesa delle sale e a protezione, così facendo, dell’innata magia del grande schermo.
Come ripete ai suoi allievi lo stesso Maverick, non è il mezzo, ma il pilota a fare la differenza. Lo stesso vale per Top Gun: Maverick che, ad un’occhiata rapida e fugace, potrebbe apparire niente più che l’ennesima, semplice ed innocua operazione nostalgia, ma che riesce viceversa ad elevarsi rispetto sia alla concorrenza, che allo stesso materiale originale (ribaltando pertanto i luoghi comuni relativi all’inferiorità quasi congenita di sequel o revival in genere), grazie, oltre a quanto già ampiamente descritto, ad un casting azzeccatissimo (un credibilissimo Miles Teller, un Glen Powell intento a fare il cosplay del Tom Cruise/Maverick del primo capitolo, ed un'affascinantissima Jennifer Connelly), ad una colonna sonora originale (e non) posta sempre al punto giusto e utilizzata in modo equilibrato, ad una cura maniacale per il sonoro, ad un perfetto bilanciamento tra segmenti più frenetici e convulsi ed altri, al contrario, più ragionati, misurati e sentimentali, e ad un indiscutibile attaccamento e devozione in ciò che si vuole raccontare. Tutti aspetti che, al netto di qualche didascalismo di troppo, seppur perfettamente coerente con l'anima e la retorica del progetto, potrebbero fare del film di Kosinski "il blockbuster perfetto", come molti hanno già detto e scritto.
Tom Cruise ha bisogno della sala e la sala (teoricamente) di Tom Cruise, ma sarà abbastanza? Riuscirà l’oggi Maverick e domani, di nuovo, Ethan Hunt a portare a termine la missione più impossibile di tutte, ovvero salvare il Cinema... al cinema? Top Gun: Maverick rappresenterà una rinascita e il ritrovamento di un proprio spazio e habitat per un tipo di produzione come non ne vedevamo da molto tempo, o la riconferma di un panorama cinematografico talmente saturo di supereroi, da non poter ammettere eroi come il capitano Mitchell?
“Il futuro è in arrivo e voi non ci siete. La sua razza è in via di estinzione” afferma laconico l’ammiraglio. “Forse sì, ma non oggi”, ci (e si) rassicura Tom “Maverick” Cruise. I caccia sono decollati. Il cronometro ha iniziato a ticchettare. La pressione, a diventare insostenibile. La corsa contro il tempo è iniziata. Dal passato con amore, verso il futuro con incertezza e speranza.
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