TITOLO ORIGINALE: Top Gun
USCITA ITALIA: 25 settembre 1986
USCITA USA: 16 maggio 1986
REGIA: Tony Scott
SCENEGGIATURA: Jim Cash, Jack Epps Jr.
GENERE: azione, drammatico
PREMI: Oscar e Golden Globe per la migliore canzone originale
Il 16 maggio 1986, esce nei cinema di un'America in piena guerra fredda un film che è stato ed è ancora l’icona immarcescibile di una generazione e di un momento di forti tensioni politiche e fortissime sregolatezze sociali, che oggi è possibile rivivere quasi esclusivamente attraverso le immagini-madeleine composte dal regista Tony Scott, insieme al direttore della fotografia Jeffrey L. Kimball, uno dei creatori degli anni '80, dal punto di vista estetico ed iconografico. Top Gun è proprio come il Maverick di un Tom Cruise raggiante, magnetico, pronto ad entrare nel firmamento divistico: una pellicola il cui "curriculum" è tra i peggiori della sua generazione, ma che riesce sempre a spuntarla per il suo incredibile istinto nell'intercettare e farsi portavoce di uno spirito socio-culturale e di un periodo politicamente schieratissimo della storia occidentale.
“Sono un Dio” urla il pilota di F-14 Pete "Maverick" Mitchell nella prima sequenza di volo di Top Gun, mentre vola, al contrario, sopra un MiG russo, tra i cieli dell’Oceano Indiano.
Questa sola, e apparentemente insignificante, battuta la dice lunga di un film che mette bene in chiaro sin da subito che quelli che vedremo sono “i migliori piloti e aviatori al mondo”, ma anche di una nazione - l’America di metà anni ‘80 - che si riteneva senza rivali, e di un mondo - un Occidente in piena guerra fredda - che forse non ha mai smesso di sentirsi, voler essere ed identificarsi, anche solo per un istante, in un Tom Cruise alla sua prima missione impossibile, pronto per essere lanciato nel firmamento divistico, nel suo sorriso raggiante, nei suoi occhi verdi, convulsi e magnetici, nel suo giubbotto Avirex, nella sua Kawasaki nera e rossa e nei suoi leggendari occhiali da sole Ray Ban.
Prima e meglio di tutti gli eroi e le eroine partoriti dalla Hollywood edonistica, patinata, reaganiana, quella che più di tutte ha cristallizzato, riproposto ed esportato su schermo l’idea pura e assoluta dell’individualismo e del sogno americano, il tenente Maverick è stato ed è ancora l’icona immarcescibile di una generazione, di uno zeitgeist, di un periodo di forti tensioni politiche e fortissime sregolatezze sociali, che oggi è possibile rivivere quasi esclusivamente attraverso queste immagini-madeleine, tra i cui fautori abbiamo pure il qui direttore della fotografia Jeffrey L. Kimball, che, dopo Top Gun, contribuirà ad istituire di fatto gli anni ‘80 (dal punto di vista estetico ed iconografico) con film-maker simbolo quali Adrian Lyne e John Hughes.
Prima di tutto questo però, Top Gun è fondamentalmente l’idea dei produttori Don Simpson e Jerry Bruckheimer di fare uno Star Wars sulla Terra, o meglio, di elevare all’ennesima potenza il concetto cinematografico action di lotta aerea, già tentato da Howard Hughes ne Gli angeli dell'inferno, che trova però nella space opera di culto di George Lucas una sua forma funzionale, dinamica, matura, sia nel ritmo, che nella messa in scena.
Provate ad affiancare l’attacco alla Morte Nera con le sequenze di combattimento tra F-14 e MiG e noterete numerose similitudini e punti di contatto. E non solo nell’utilizzo delle inquadrature dentro l’abitacolo degli aerei a fine tensivo, di chiarificazione oppure di interpunzione, ma anche nel look anonimo e spersonalizzato dei piloti russi, in contrapposizione con l’identità e l’eroismo umano e riconoscibile dei soldati statunitensi (praticamente, la regola base del cinema narrativo hollywoodiano classico).
In tal senso, dunque, Top Gun, il suo regista Tony Scott, fratello purtroppo obliato del più noto Ridley, anch’egli formatosi nel mondo della pubblicità; e i montatori Chris Lebenzon e Billy Weber si possono considerare gli inventori della concezione contemporanea di blockbuster action, che vedrà, tra le sue firme, proprio quel Michael Bay che, insieme ai già citati Lebenzon e Bruckheimer, tenterà di ottenere qualcosa di simile con pellicole come Armageddon - Giudizio finale e, soprattutto, Pearl Harbor.
Ciò detto, se da un lato Top Gun ha il merito di aver evoluto e sconvolto davvero (altro che Maverick, con il suo ribellismo vacuo e di circostanza) la macchina spettacolare hollywoodiana e aver dato vita a riprese aeree che si sono impresse nella mente, e probabilmente nei sogni, di migliaia di giovani, è quando Tom Cruise si trova con i piedi ben saldi a terra che questo si rivela per ciò che è davvero.
Ovvero una pubblicità progresso che sfida le leggi della sopportazione. Un interminabile videoclip iper-patinato, ricolmo di sequenze di assordante sterilità, di primi piani imperlati di sudore e corpi pruriginosi, oleosi, testoteronici. Un racconto strabordante di un patriottismo e machismo comprensibili nella misura in cui provenivano da un paese che allora dominava i cieli in senso lato, dove i secondi non valevano nulla, ma didascalico alla stregua dei nomi da combattimento dei suoi protagonisti. Una continua autocelebrazione durante cui non è raro deconcentrarsi dai dialoghi infantili di Jim Cash e Jack Epps Jr. per apprezzare e canticchiare le composizioni e i tappeti musicali di Giorgio Moroder che risuonano insistenti in sottofondo.
Insomma, un film che necessita dell’interpretazione anomala e fuori dagli schemi di un Quentin Tarantino per essere scagionato da una sotto trama romantica di per sé non proprio brillante, ma che, dalla sua, ha forse una delle scene più erogene di tutto il cinema statunitense. Il bacio in penombra, sullo sfondo della classica notte blu elettrica anni ‘80, tra Cruise e Kelly McGillis - la cui Charlotte "Charlie" Blackwood riscopriamo essere un personaggio più “libero” di quanto si potrebbe pensare - è un pezzo di cinema assoluto. Un’istantanea delle capacità iconografiche e del retroterra pubblicitario di Tony Scott. Uno di quei momenti che, da soli, valgono un intero film.
Forse benedetto dallo spirito storico, sociale e culturale in cui era inscritto e che ha saputo intercettare e rappresentare, e ricordato più per l’adrenalinica Danger Zone cantata da un Kenny Loggins appena reduce dal successo di Footloose, la vincitrice dell’Oscar Take My Breath Away, “I feel the need, the need for speed”, le corse in moto verso il tramonto, o un Tom Cruise che bucava davvero il grande schermo (lo fa tuttora, pure su uno più piccolo), che non per quello che ha apportato in termini tecnico-produttivi o, viceversa, per essere, in pratica, un Ufficiale e gentiluomo ben più insensato ed inconcludente; Top Gun è proprio come il suo Maverick. Un film il cui "curriculum" è tra i peggiori della sua generazione, ma che riesce sempre a spuntarla per il suo incredibile istinto.
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