TITOLO ORIGINALE: F9: The Fast Saga
USCITA ITALIA: 18 agosto 2021
USCITA USA: 28 maggio 2021
REGIA: Justin Lin
SCENEGGIATURA: Justin Lin, Daniel Casey
GENERE: azione, avventura, thriller
La familia di Dom deve riunirsi quando il Signor Nessuno li contatta per chiedere il loro aiuto contro la minaccia di un agente supersegreto che altri non è che Jakob Toretto, il fratello di Dom, intenzionato ad appropriarsi di un pericoloso congegno in grado di controllare tutti i dispositivi elettronici del mondo.
Mai come adesso, un altalenante punto di incontro tra l’ultima tendenza supereroistica, l'azione impossibile (ed irraggiungibile) di Mission: Impossible e l’attenzione per i gadget di un qualsiasi 007, solo sotto steroidi e nel nome di Dio, la saga di Fast & Furious partorisce una nona iterazione di passi falsi, ma di altrettante conferme. Al di là delle numerose citazioni e battute meta cinematografiche, di un ritmo incostante, di una CGI artificiosa, di un commento audio non proprio originalissimo e di interpretazioni mediocri che fanno collassare tutte le possibilità intrattenenti della pellicola, Fast 9 di Justin Lin polarizza (fallendo) le due anime narrative del franchise. Da un lato, una soap opera annoiata e noiosa, dall'altro, un action che soffre l'assenza di Dwayne Johnson e che, affidandosi ad una letargica ripetizione degli stessi tre escamotage, appare leggermente sottotono e mai realmente trascinante. Una cosa è certa: l'insistenza sull'elemento automobilistico sta iniziando a diventare un problema.
Uno dei momenti più interessanti di Fast & Furious 9 è quando Roman, dopo esser uscito incolume e, come sempre, senza un minimo graffio dall'ennesima sparatoria contro uno dei soliti eserciti privati, inizia a dubitare - meta cinematograficamente, s’intende - della propria natura e di quella dei suoi compagni, avanzando l’idea di una loro possibile invincibilità con gli amici Tej - con cui intrattiene per un attimo un dialogo che ricorda molto alla lontana la discussione di Jules e Vincent sul “tocco di Dio” in Pulp Fiction - e Ramsey, la quale riporta sfortunatamente entrambi sulla terraferma e alla “realtà”. La battuta più divertente dell’intero film è invece l’imbeccata autoironica che sempre Tej rivolge a Roman, mentre si trovano con un auto nello spazio(!):
Solo rispettando le leggi della fisica e i numeri, saremo a posto.
Insomma, è ormai evidente come, giunta alla sua decima interazione (se contiamo anche il suo spin-off Hobbs & Shaw), la saga di Fast & Furious funzioni e possa ancora regalare al proprio pubblico qualcosa di veramente sorprendente ed accattivante solo quando e se imbocca totalmente la strada dell’assurdità, dell’esagerazione, dell’ipertrofia, di un’estrema sospensione dell’incredulità, oppure nel momento in cui, come anticipato sopra, propone, seppur pavidamente e superficialmente, discorsi che, se approfonditi, potrebbero condurre a sfere di interpretazione nuove ed intriganti.
Purtroppo, Fast 9 non questo (o, perlomeno, non lo è interamente). Difatti, la pellicola, la quinta ad essere diretta da Justin Lin - che, con il franchise, ha sempre intrattenuto un rapporto di luce (F3 e F5) e ombra (F4 e F6) -, è fondamentalmente un prequel travestito da sequel. E non come fatto, a posteriori, con Tokyo Drift (il terzo capitolo produttivamente parlando, il sesto a livello di macro cronologia degli eventi), ma appunto un film che sfrutta un ritorno imprevisto nel presente di Dominic Toretto per svelare una sorta di sua personale origin story (il primo, ma non certo l’ultimo adattamento della pellicola al mondo superomistico).
Il ritorno imprevisto è quello del fratello dello stesso Dom, Jakob Toretto, che il nostro aveva praticamente dato per morto in seguito alla morte del padre in una gara e che qui rifà la sua comparsa nelle vesti di un super agente segreto interessato ad un congegno, tale progetto Aries, di proprietà dell’Agenzia del Signor Nessuno, capace di collegarsi ad un satellite e così assumere il controllo di qualsiasi dispositivo elettronico sulla faccia della Terra.
Detto ciò, se la trama action si pone sulla falsariga di una struttura costante e ricorrente da Fast & Furious 7 in poi: congegno di controllo o distruzione di massa - cattivone che vuole appropriarsene per governare il mondo - Dom e la squadra entrano in azione e, tra piani mirabolanti ed acrobazie improbabili, riescono infine a fermarlo; Fast 9 ripone tutte le proprie speranze - in quanto aspetto relativamente intrigante (sulla carta, sia chiaro) - su un dramma che intreccia a doppia maglia il destino del mondo e la ricerca della verità, da parte di Toretto, sia riguardo alla morte del padre, sia riguardo al ruolo che il fratello sembra aver avuto in essa.
Quella che è, a tutti gli effetti, un’integrazione in extremis che diventa poi premessa narrativa utile a trasmettere questo senso (apparente ed irrilevante) di “novità” ha invece, come unico risultato, una polarizzazione fin troppo netta e manifesta tra le due anime narrative della pellicola. Una di queste, quella drammatico-familiare, tuttavia, si converte e presenta fin da subito tutti gli elementi caratteristici (anche le classiche “resurrezioni”, siano esse in carne ed ossa o sotto forma di una Nissan Skyline R34) della soap opera.
Inutile dire che la penna dello stesso Lin e di Daniel Casey in sceneggiatura riesce a fare il suo (ed un compitino ben congegnato) fin quando si tratta di scrivere una sequenza di sparatoria o inseguimento. È invece nel momento in cui è chiamato a comporre frammenti che vorrebbero e dovrebbero andare a raccontare la tragedia della perdita di un padre, oppure approfondire la “psicologia” di ex rapinatori, ora più simili ad agenti segreti o eventualmente ad “esseri superiori”, che non riescono a far meno “di questa vita”, che lo script di Fast 9 si rivela fallace e (più) annoiato, dando vita a scambi di battute e riflessioni che, oltre a muoversi tra la convenzionalità, la mediocrità espressiva (da parte degli stessi attori) e la ripetizione talora anche di battute intere, spezzano fin troppo il ritmo vertiginoso e folle dell’azione, annoiando senza se e senza ma.
Per non parlare poi della messa in scena di questi momenti, divisa tra la piattezza di campi-controcampi, alle volte dinamizzati da qualche movimento di macchina, seppur nella norma; ed una convenzionalità (quasi da découpage hollywoodiano classico) nella composizione visiva dei diversi flashback che si succedono all’arco narrativo principale. Analessi, a loro volta, difettose anche per quanto riguarda alcune scelte produttive come, per esempio, il casting improponibile delle controparti giovanili di Dom e Jakob. Il che non sarebbe neanche così un problema (anzi, apprezziamo l’intento reale e controtendenza rispetto ad un’industria hollywoodiana che si sta spostando sempre più sulla tecnologia del de aging), non fosse per l’importanza e, soprattutto, la quantità di frammenti del genere. Un vero attentato all’affabulazione.
Malgrado quanto sostenuto sopra, c’è da dire che neppure sul fronte action Fast 9 riesce ad essere il capitolo più entusiasmante e folle del franchise o, addirittura, un prodotto in grado di rivaleggiare con l'attuale concorrenza (dai Marvel Studios a Mission: Impossible, fino ad arrivare al suo stesso spin-off). Tutto ciò è dovuto, in parte, ad una messa in scena formalmente corretta, ma manchevole di quel guizzo capace di esprimere e rappresentare al meglio l’assurdità e l’illogicità fisica di molti dei momenti frenetici e "svalvolati" qui presenti e presentati (in tal senso, anche solo Fast 8, sempre di Lin, è dieci spanne più in alto).
Unitamente a ciò, una parte della colpa è da imputare anche alla grande assenza di Hobbs e, in particolare, del suo interprete Dwayne Johnson (i suoi sono, a nostro avviso, il volto e il corpo perfetti per una saga come questa), goffamente rimpiazzato da un John Cena che pare voler replicare la fortuna e il successo dell’ex collega, ma che, per noi, non dispone né del carisma né tantomeno della stessa fisicità sfrontata ed insistita per riuscirci fino in fondo (Vedremo come se l’è cavata alle prese con il filone supereroistico in The Suicide Squad di James Gunn.) C'è anche da dire che Cena non è proprio l’unico attore ad essere mal sfruttato dall’istanza narrante del film. Salvo Roman e Tej infatti, tutto il cast appare leggermente sottotono e mai realmente trascinante. Vi basti pensare a grandi ritorni come la Cipher di Charlize Theron o la Magdalene Shaw di Helen Mirren (che evidentemente aveva il mutuo da pagare), oppure ad inaspettate new entry del calibro di un Michael Rooker sacrificatissimo nei panni del meccanico di Toretto senior.
Ultima (ma non per importanza) causa di questa generale monotonia e sciatteria della componente action è data dal fatto che, seppur i nostri debbano compiere azioni folli ed impensabili come scappare da un campo minato e fermare un satellite o riescano a far ribaltare un camion militare, il tutto venga messo in scena e appaia ben presto come una lenta e letargica ripetizione degli stessi tre escamotage (il congegno magnetico, per citarne uno), a cui lo spettatore si abitua immediatamente. Il risultato? L'assenza più completa di quell'effetto sorpresa, di quello sbigottimento e di quella esagerazione sana e godibile che hanno caratterizzato la saga fin dagli inizi. Gli unici momenti che si salvano veramente, riuscendo inoltre a soddisfare le proprie intenzioni originarie, sono quelli, esilaranti, seppur (anch’essi) ripetitivi a lungo andare, tra Roman e Tej. Ne consegue pertanto che, ad esempio, la sequenza spaziale compiace e diverte non tanto per la dinamica action-scifi in sé e per sé, quanto piuttosto per la scelta di porre i due come suoi protagonisti.
Al di là delle numerose citazioni e battute meta cinematografiche, di un ritmo incostante, di una CGI artificiosa, di un commento audio non proprio originalissimo, di una fotografia didascalica e, come sempre, apertissima e di interpretazioni mediocri che fanno collassare tutte le possibilità intrattenenti della pellicola, Fast 9 è la naturale perversione della linea prettamente e quasi unicamente action intrapresa dalla serie a partire dal quinto capitolo. Il che non è necessariamente un bene, se poi sono questi gli esiti.
Mai come adesso, un altalenante punto di incontro tra l’ultima tendenza supereroistica, l'azione impossibile di Mission: Impossible (di cui comunque non riesce a raggiungere l’ambizione, la realisticità coreografica e il cuore produttivo) e l’attenzione per i gadget di un qualsiasi 007, solo sotto steroidi e nel nome di Dio, la saga di Fast & Furious partorisce una nona iterazione di passi falsi, ma di altrettante conferme.
Una su tutte, l’attrito sempre più visibile tra il vecchio e il nuovo corso del franchise: la regola (non scritta, ma utile a compiacere i fan di lunga data) che ogni piano debba fare delle automobili da corsa - morfologicamente e narrativamente equiparabili più a Supercar e ad Hazzard che allo stesso F&F - le assolute protagoniste sta iniziando a diventare un ostacolo ed un’inutile macchinosità per una serie ed un film che, in uno dei suoi tanti flashback, lascia intendere come, al giorno d’oggi, sarebbe alquanto impossibile produrre e fare di un’opera come The Fast and Furious, quello di Rob Cohen, il fenomeno di culto che fu e che è tuttora. Auto o non auto? Questo è il dilemma.
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