TITOLO ORIGINALE: Diabolik - Chi sei?
USCITA ITALIA: 30 novembre 2023
REGIA: Manetti Bros.
SCENEGGIATURA: Manetti Bros., Michelangelo La Neve
CON: Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Pier Giorgio Bellocchio, Massimiliano Rossi, Mario Sgueglia
GENERE: azione, thriller, poliziesco, giallo
DURATA: 124 min
Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023
I Manetti Bros. tornano dietro la macchina da presa per la terza ed ultima avventura del criminale nato nelle pagine a fumetti delle sorelle GIussani. Tornano Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea e Monica Bellucci per una conclusione purtroppo più fedele (come solito, d'altronde) che divertente ed effettivamente stimolante. Il meno riuscito della trilogia, specie perché pare si adagi sull’allure fumettosa ed underground, senza prendersi la briga di ridarsi un minimo di complessità e stratificazione sotterranea.
Niente di nuovo sotto la maschera, in Diabolik - Chi sei?, terzo ed ultimo adattamento della celebre serie a fumetti firmato dai Manetti Bros. Il modus operandi, infatti, è quello di sempre. Quello che gli (ahinoi) pochi spettatori hanno ormai imparato a conoscere, chi apprezzandolo e chi viceversa detestandolo. Un altro more-of-the-same - com’è connaturato alla controparte cartacea e come già era Ginko all'attacco - che traspone per il grande schermo un numero leggendario della storia editoriale del personaggio: quello in cui il mito diventa mitologia, in cui finalmente - a sette anni dalla comparsa nelle edicole meneghine - viene svelato il passato di Diabolik e, con esso, l'origine del suo nome.
Non c'è quindi da stupirsi nel ritrovarsi di fronte gli stessi discorsi estetici di omaggio ed assoluta aderenza tanto alla creatura delle sorelle Giussani, quanto ad un certo cinema di genere. Il riferimento, in questo caso, è al poliziottesco anni ‘70 duro e puro - quello alla maniera di Lenzi, Girolami, Damiani e Di Leo, con evidenti richiami alle sue facce tipiche (Tomas Milian e Maurizio Merli su tutti) - ma anche al thriller all’italiana, sia a quello pop-lisergico di Bava (che già a suo tempo reinterpretò la figura dell’antieroe giussaniano), sia a quello più hitchcockiano di Dario Argento, con tanto di soggettive dell’assassino. Giunti a questo punto, solo gli ingenui (o i masochisti) crederebbero possibile un cambiamento di Diabolik, specie considerato che, se c’è una, forse due cose che non sono mai mancate al duo registico romano, sono proprio la coerenza e la caparbietà con cui hanno sempre portato avanti la cifra specifica e il gusto del proprio cinema, il proprio stile, e la propria idea di cinefumetto all’italiana.
Ciò detto, almeno questa volta, a cambiare, non è neppure chi è dietro la maschera. Memori invero della débâcle (tutta produttiva) dell'abbandono di Luca Marinelli, Manetti & co. hanno imparato a tenersi ben stretti il loro protagonista, girando per giunta il secondo e questo terzo capitolo back-to-back. Un sempre più rarefatto, diafano, ma presente Giacomo Gianniotti torna dunque a vestire i panni e i mille volti del criminale più noto di Clerville, confermando tutte le buone impressioni che chi scrive aveva già registrato nel film precedente, fra cui una maggiore efficienza e funzionalità a quello che è l’approccio pedissequo e quasi feticista degli autori.
Al suo fianco, torna poi una Miriam Leone sempre incantevole e in parte nei panni della complice Eva Kant, la quale ciononostante soffre qui un racconto che arriva a considerarla per davvero solo nei suoi ultimi movimenti. E ritroviamo anche un Valerio Mastandrea anch’egli funzionale e convincente come ispettore Ginko, ed una Monica Bellucci nel ruolo dell’amante di quest’ultimo, la duchessa Altea di Vallenberg, a cui fortunatamente viene invece concessa quell’importanza e quel carisma di cui, nella sua prima e precedente apparizione, non aveva potuto disporre. Di contorno, infine, Diabolik - Chi sei può contare sulla solita squadra di caratteristi sodali dei Manetti e della loro Mompracem [segnaliamo, a tal proposito, la gang di Margini, di cui rivediamo con gioia Francesco Turbanti ed Emanuele Linfatti, immersi nel look, nella vertigine, nel raptus ferino e psicotropo dei poliziotteschi succitati], ma anche di nomi inediti quali Massimiliano Rossi, Max Gazzè, Carolina Crescentini, Barbara Bouchet, che vanno a comporre quel che è forse il cast “più stellare” di tutte e tre le pellicole.
Ma appunto, come scrivevamo, niente di inaspettato sotto la maschera, specie se siete tra i pochi rimasti a vedere come va proverbialmente a finire o, ancora meglio, se fate parte di quella cerchia relativamente più ristretta, composta tanto da lettori più o meno irriducibili del fumetto, quanto da amanti di un certo tipo di atmosfere, di cinema, al di là di quello dei Manetti. Che continua ad essere l'unico target possibile di un'operazione simile.
Allora perché, quantomeno per chi scrive, Diabolik - Chi sei? può essere considerato il meno riuscito della trilogia? Forse perché nel cambio e nel tentativo di variazione del riferimento cinematografico e cinefilo, si perde quella minima complessità e stratificazione sotterranea che ci aveva portato a riconoscere, in Ginko all'attacco, un netto miglioramento della formula. Perché ci si accontenta del mero escapismo, dell’operazione di design, di restaurazione fine a sé stessa. Perché pare ci si adagi sull’allure fumettosa ed underground, senza prendersi la briga di costruirvi nulla al di sotto. Sia esso nuovo o riciclato. Nemmeno quel sottotesto delle mille e più maschere che assume (il racconto del)l’eterno conflitto tra bene e male, tra guardie e ladri, tra luce ed oscurità. Di finzione consapevole e auto-riflessiva, di necessaria sospensione dell’incredulità, di recita volontaria poiché imprescindibile. O ancora, di trasfigurazione e resa soprannaturale, fantasmatica, pervasiva, e quindi temibile della stessa figura di Diabolik.
Infatti, come già anticipa il titolo e il già menzionato numero a soggetto del film, Chi sei? non è solo il capitolo conclusivo dell’odissea manettiana nel mondo delle sorelle Giussani, ma è anche e soprattutto una origin story, come direbbero oltreoceano; un capitolo di domande e risposte. Una, in particolare, che l’ispettore Ginko pone al criminale, entrambi prigionieri di una banda di rapinatori e assassini, mentre attendono che arrivi, inevitabile, la loro ora fatidica.
Ha così inizio un flashback che affronta l’infanzia e la giovinezza del nostro sulla sperduta isola di King, ricettatore d’arte e preziosi e boss incontrastato e dispotico di un’organizzazione internazionale di malviventi; ma anche la sua formazione criminale a diretto contatto con i cinque esperti e tecnici di questo micro-paradiso di delinquenza, e la nascita delle sue leggendarie maschere. Un segmento che i Manetti immaginano con una fotografia quasi del tutto in bianco e nero e fortemente espressionista, con qualche inserto rosso (le gemme, il sangue…) à la Sin City, e che - salvo qualche scivolone di casting (Paolo Calabresi) e di recitazione nella replica giovanile della cadenza catatonica di Gianniotti - permette di immaginare un’altra trilogia di Diabolik. Una trilogia diversa, interamente dominata da questo registro visivo e con protagonista questa versione giovane dell’antieroe, interpretata da un magnetico Lorenzo Zurzolo. Forse, malgrado tutto e malgrado l’ennesimo ripiegarsi citazionista, cultore e postmoderno, avrebbe portato un qualcosa di nuovo e di più fresco all’intero brand di Diabolik.
La domanda - l’ennesima - resta, così come rimane una conclusione affrettata e poco divertente di un progetto centrato ed uniforme, ma non sempre stimolante. Un film che, esaurito il primo segmento - tra il già citato Argento e un heist movie - leggermente più accordato al passo svelto dei tappeti musicali, questa volta più funky, di Pivio e Aldo De Scalzi, sacrifica per forza di cose una decisa virata femminile, un sospirato passaggio di testimone nelle mani dell'unica e sola protagonista dell’intero trittico, per rifugiarsi sempre lì. Negli stessi posti, nel solito cinema, nei soliti trucchi, dietro le solite maschere. Fine… ma la leggenda continua, solo non al cinema.
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