TITOLO ORIGINALE: Margini
USCITA ITALIA: 8 settembre 2022
REGIA: Niccolò Falsetti
SCENEGGIATURA: Niccolò Falsetti, Francesco Turbanti, Tommaso Renzoni
GENERE: drammatico, musicale, commedia
Presentato alla Settimana Internazionale della Critica, durante la 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Niccolò Falsetti, classe 1987, dirige e scrive (insieme a Francesco Turbanti e Tommaso Renzoni) Margini, la storia di tre punk rocker di Grosseto che tentano disperatamente di evadere e sottrarsi ad un contesto provinciale deprimente, discriminante, polverosa, ostile, che sembra fare di tutto per tarpargli le ali, limitarne ogni forma di progettualità, interesse, inclinazione, visione per il proprio futuro, e tenerseli per sempre incollati a sé. Il trio di sceneggiatori riesce a fare quello in cui, normalmente, solo i bei, se non addirittura i grandi film, riescono a fare. Ossia partire dal particolare per arrivare al generale. Oppure, in questo caso specifico, aprire la provincia italiana, la periferia, un posto che "sta sempre a 2 ore da tutto”, il margine, “un buco di culo”, al mondo intero. Uno tra i più coinvolgenti e sinceri colpi di fulmine degli ultimi anni.
È una strana bestia, Margini di Niccolò Falsetti, classe 1987, qui al suo esordio nel lungometraggio dopo anni di militanza nella pubblicità, nel videoclip e nei corti.
Una bestia rara per il cinema italiano, tanto per il territorio narrativo (il film musicale, per nulla praticato dalla produzione italica) che imbraccia e la storia che racconta, quanto per il modo in cui riesce a conciliare la propria natura evidentemente indie, il suo essere una voce dichiaratamente fuori dal coro, il proprio approccio fieramente alternativo ai cliché e agli strumenti tipici della produzione nostrana; con una prospettiva, un obiettivo, orizzonti, discorsi e sentimenti universali, comuni, finanche mondiali.
Ed è proprio qui che sta il segreto del fascino indiscusso e l'indubbia chiave del successo del copione di Falsetti, Tommaso Renzoni e Francesco Turbanti: nella maniera solo apparentemente semplice ed immediata di fare delle vicende di un trio di punk rocker grossetani discoli, sgangherati, rabbiosi, eppure determinati e disposti a tutto (anche a rovinarsi la vita) per portare fino in fondo la propria passione, i propri disegni, i propri sogni, e così sottrarsi ad un contesto provinciale deprimente, discriminante, polverosa, ostile, che sembra fare di tutto per tarpargli le ali, limitarne ogni forma di progettualità, interesse, inclinazione, visione per il proprio futuro, e tenerseli per sempre incollati a sé; una storia che, a differenza della produzione italiana più prettamente indipendente (o meglio, del suo stereotipo), riesce davvero a parlare a tutti, indistintamente ed indipendentemente dalla storia, dal contesto socio-culturale dall’estrazione o, più semplicemente, dalla contiguità di chi guarda con la scena musicale qui tratteggiata.
In altre parole, a fare quello in cui, normalmente, solo i bei, se non addirittura i grandi film, riescono. Ossia partire dal particolare per arrivare al generale. Oppure, in questo caso specifico, aprire la provincia italiana, la periferia, un posto che "sta sempre a 2 ore da tutto”, il margine, o, per utilizzare una formula che piacerebbe tanto ai nostri tre grossetani, “un buco di culo”, al mondo intero.
Come sopra, solo all’apparenza il lavoro del team di sceneggiatori è semplice, immediato, spontaneo, minimo. Infatti, a questa sua estensione, Margini può ambire unicamente a seguito di un processo puntuale, preciso, millimetrico, attento, consapevole e, con tutta probabilità, pseudo-autobiografico di scrittura e conseguente rappresentazione della provincia, e, in un secondo momento, di collocazione credibile ed armoniosa dei personaggi al suo interno e all’interno dei ritmi che questi ultimi andranno inevitabilmente a scombussolare.
La pellicola non cade quindi preda, né si rifugia ed adagia sulla limitatezza produttiva, sulla grossolana ed asciutta funzionalità del suo impianto filmico, o ancora sulla ristrettezza del contesto provinciale - quest’ultimo, una prigione assonnata, disinteressata, silenziosa, inamovibile per il risentito trio punk, che ne percorre, attraversa, invade, conquista, distrugge i luoghi, finalmente e realmente vissuti (e non fuoriusciti da un catalogo d’arredamento o ricostruiti in studio), nonché tinteggiati da personaggi secondari, sì, pittoreschi, stravaganti, anche ridicoli, ma non per questo amarcord, stucchevoli od improbabili, capaci di raccontare una storia, una loro verità, anche solo con un gesto, una maglietta, un dettaglio.
Anzi, tutte queste condizioni e potenziali ostacoli servono a Falsetti & co. come eccellente trampolino di lancio per dare vita a fenomeni più unici che rari - e dunque indispensabili - per il cinema italiano, conferendo inoltre un tocco riconoscibile ad un intreccio che, salvo il finale, si spiega davanti agli occhi dello spettatore secondo blocchi narrativi fissi e perlopiù prevedibili.
Sono perciò invenzioni come il linguaggio (verbale e non) specifico, con termini, dinamiche e atteggiamenti tutti suoi, eppure eloquente e chiarissimo; piccole variazioni sul tema e tradimenti di un filone - quello delle storie di rivalsa attraverso l’arte o, più nello specifico, la musica - in cui sembra scritto che la passione debba essere direttamente proporzionale al talento (cosa che forse solo uno dei tre musicisti può effettivamente vantare); oppure ancora un’inaspettata (ormai pure per il cinema mainstream) perfezione qualitativo-interpretativa da parte di tutto il cast - dagli attori secondari ai meravigliosi ed adorabili protagonisti (gli strepitosi Francesco Turbanti, Emanuele Linfatti e Matteo Creatini) -, a fare di Margini uno tra i più coinvolgenti e sinceri colpi di fulmine degli ultimi anni.
Un controcanto che, con la forza del risentimento, delle paure, delle ansie e dei sentimenti latenti di una generazione intera, preme a più non posso per farsi sentire, amplificare la propria voce, sognare in grande con le possibilità per farlo, evadere da quella marginalizzazione, che è anche e soprattutto cinematografica. Insomma, una piccola perla che compie tutto ciò che si propone, non crolla sotto il peso delle sue ambizioni, ma impone con vitalità un’idea di racconto conformista, tuttavia inedito, autentico, nuovo, punk, forse irripetibile, in un cinema italiano, fatto ormai soltanto di "assoli, cover e gargarismi" sconclusionati ed inconcludenti.
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