TITOLO ORIGINALE: Diabolik - Ginko all'attacco!
USCITA ITALIA: 17 novembre 2022
REGIA: Manetti Bros.
SCENEGGIATURA: Manetti Bros., Michelangelo La Neve
GENERE: azione, thriller, poliziesco, giallo
DURATA: 111 min
Le tigri di Mompracem, Marco e Antonio Manetti tornano dietro la macchina da presa delle avventure di Diabolik con Ginko all'attacco!, intermezzo di una trilogia già interamente definita e prodotta. A differenza del primo, che aveva fatto sorgere qualche dubbio in merito al destino dell'operazione, questo secondo colpo del Re del Terrore sortisce - seppur nei limiti imposti dalle fondamenta concettuali, produttive, estetiche e artistiche dell'operazione - l'effetto desiderato. Merito di alcuni sottotesti interessanti, di un cambio attoriale abbastanza sostanziale, fortuito ma fortunato, di un racconto più compatto e avvincente, di un comparto artistico e artigianale di primo livello. Non farà certo ricredere chi non si è sentito attratto, o peggio, ha disprezzato il prodromo, ma Ginko all'attacco! potrebbe quantomeno soddisfare quella cerchia relativamente più ristretta, composta sia dai lettori più o meno irriducibili del fumetto, sia dagli amanti di un certo tipo di atmosfere, di cinema, al di là di quello dei Manetti.
“Vale sempre la pena aspettare” dice un galvanizzato ed evidentemente eccitato Diabolik all’inizio di Ginko all’attacco!, secondo tentativo dei Manetti Bros. di trasporre e adattare per il grande schermo una delle icone immortali del fumetto italiano. Sembrerebbe quasi rivolgersi a noi, spettatori, prima di imbarcarci ed imbarcarsi nella prosecuzione di un viaggio che non ha (volutamente?) convinto o sedotto del tutto le platee italiane.
In realtà, questa rassicurazione, è rivolta ad una Eva Kant che, portato a termine l’ennesimo colpo (il furto dell’intera collezione di gioielli Armen), vorrebbe finalmente concedersi qualche settimana di vacanza con il suo amante e complice. Purtroppo, questi non ne vuole sapere di abbandonare, anche solo per un periodo, il suo chiodo fisso, la sua ossessione, ed un colpo che ha già in mente da un po’ di tempo. Ma i due non fanno in tempo a proseguire il dialogo che irrompe nel loro rifugio (minimalista e decò, scavato all’interno di una montagna) un altro uomo che, come Diabolik, è uno stacanovista, uno che non sa abbandonare le proprie ossessioni, nemmeno in cambio dell’amore di una ricca ed affascinante duchessa, originaria dello stato immaginario del Beglait (a cui presta il volto, per la prima volta, una Monica Bellucci che fa fondamentalmente sé stessa, solo con un’inflessione est europea del tutto pleonastico).
Quest’uomo altri non è che l’ispettore Ginko, l’acerrimo rivale dello spietato Re del Terrore, e la sua mania è proprio l’uomo nero vestito che, in questo momento, sta già architettando un modo per fuggire da lì. Una recita dai ruoli predefiniti che potrebbe dare finalmente scacco matto al poliziotto.
Come forse avrete intuito, è il rapporto dualistico irriducibile tra il bene e il male, tra il bianco e il nero, tra la legge e il crimine, tra Ginko e Diabolik, ma anche la predestinazione che li accomuna e che, nel rispetto di un piano e di un percorso narrativo ed archetipico premeditato e programmatico, li induce - più o meno apparentemente - a sottovalutare e trascurare le pulsioni, le astuzie, i desideri (anche e soprattutto sessuali) delle (loro) donne, le uniche - vedi anche le fumettose donne poliziotto - capaci di deviare da un destino e da un progetto che sembra già scritto per loro; uno dei due elementi più interessanti di Diabolik - Ginko all’attacco!.
L'altro concerne invece un discorso di finzione consapevole e autoriflessivo, di necessaria sospensione dell’incredulità, di recita volontaria poiché imprescindibile (quale stato reale, infatti, avrebbe mai come "massima priorità" un uomo che va in giro vestito con un passamontagna ed una calzamaglia?), già suggerito nel primo capitolo, ma qui favorito da qualche piccola modifica alla formula e meglio amalgamato nella dimensione testuale. Cosa che permette a questo seguito di raggiungere un grado di coerenza intrinseca ed interna forse di comodo, ma indubbiamente presente e riconducibile ad innumerevoli sue frange (come, ad esempio, il trucco accentuatissimo e fintissimo delle presenze femminili).
Non fraintendete, Diabolik - Ginko all’attacco è comunque un more-of-the-same del primo capitolo. D’altronde, come poteva essere altrimenti? Ricordiamoci che stiamo sempre parlando di un’operazione aprioristicamente dettata da una fedeltà assoluta alla controparte cartacea e che, in quanto tale, da quest’ultima, finisce pure per mutuare quella indistruttibile prevedibilità e quella ripetitività, tipiche del feuilleton ed essenziali per una lettura pensata originariamente per allietare i pendolari milanesi durante i loro spostamenti con i mezzi pubblici.
Ciò nonostante, come già anticipato la visione dei Manetti subisce, volente o nolente, qualche variazione. Tra queste, la più sostanziale è senz’altro il cambio di interprete per il personaggio di Diabolik: lo stralunato e problematico Luca Marinelli ha lasciato infatti il testimone, dietro la, o meglio, le maschere, all’attore italo-canadese Giacomo Gianniotti (conosciuto principalmente per aver interpretato il dottor Andrew DeLuca nella serie Grey’s Anatomy). Un cambio, quest’ultimo, che, soprattutto per merito di una maggior somiglianza grafica e fisionomica e di una facilitata predisposizione mimetica dello stesso interprete (laddove invece la levatura attoriale di Marinelli gli imponeva di dare un segno caratteristico alla sua versione di Diabolik), prima contribuisce a rendere più attinente, fedele e “credibile” (sempre nei limiti concessi dalla produzione) la figura del Re del Crimine, e torna utile inoltre ai fini narrativi e discorsivi della pellicola e del disegno dei Manetti.
Non solo un laconico e sottrattivo Gianniotti funziona nel contesto di un racconto in cui Diabolik, così come nelle pagine del fumetto, è quasi una presenza sovrannaturale, fantasmatica, pervasiva, eppure perlopiù invisibile (e perciò imperscrutabile, misteriosa, affascinante), mentre i riflettori sono tutti puntati sul contrattacco ai suoi danni da parte di un ispettore Ginko sempre più maigrettiano, nuovamente interpretato da un perfetto Valerio Mastandrea (che si riconferma l’ingranaggio meglio oliato del progetto). Ma la predisposizione e somiglianza dell’attore rispetto al segno grafico di Diabolik (più quando è in costume, che “in borghese”) favorisce (e non soffoca, a differenza di Marinelli) e diventa l’architrave su cui si poggia quel lavoro di riproposizione feticistica e pedissequa delle tavole a fumetti. Lavoro che sfocia, a sua volta, nel tratteggio caricato di tutto il mondo diegetico, specie per quanto riguarda la recitazione (consapevole e quindi amatorialissima, sgraziata, assurda, alienata, sopra le righe) di quasi tutto il cast di comprimari e personaggi secondari.
E così prosegue indolente la strenua caccia di Ginko, con tentativo di alleanza con la Eva Kant di una Miriam Leone sempre hitchcockiana e sempre meravigliosa, riproponendo fedelmente, questa volta, un numero intero - ossia il sedicesimo (dal titolo omonimo) della primissima serie - e facendolo, di nuovo, in tutto e per tutto: nella storia, nei trucchi, nelle new-entry (tra cui il poliziotto Roller, un altro uomo che cadrà preda della sua stessa ossessione), negli immancabili e verbosi spiegoni, addirittura in intere linee di dialogo.
In tal senso, trattandosi nientemeno che della naturale e congrua riconferma della filosofia alla base della prima avventura, tornano, talora migliorati, i pregi e tornano, invece immutate, le incertezze dell’esordio. Curatissimo ed incantevole è quindi tutto ciò che riguarda il lato più artistico ed artigianale della pellicola: parliamo allora dei miracolosi costumi di Ginevra De Carolis, dell’effettistica delle maschere ad opera di Simone Silvestri, della cura nella realizzazione dei gadget, che contribuiscono - insieme ai (visivamente caotici) titoli di testa, alla canzone originale di Diodato, al drink caratteristico (con tanto di product placement a Campari) e al finale - a render ancora più bondiana questa versione di Diabolik; così come le location e le scenografie di Noemi Marchica, sospese tra qualche accenno baviano (vedasi il museo nazionale di Ghenf dell’ottima e degna sequenza d’apertura - altro che il saltino con la Jaguar), il decò di cui sopra e i non luoghi di stampo argentiano.
Argentiana, o meglio, gobliniana è poi la colonna sonora, firmata, ancora una volta, da Pivio e Aldo De Scalzi, i quali assecondano definitivamente la deriva progressive che ben si sposa con questa visione del personaggio, contribuendo a donare personalità, ritmo, pathos e corpo a sequenze action e thriller indubbiamente e nuovamente penalizzate, diluite ed irrigidite dal montaggio, sempre presieduto da Federico Maria Maneschi, che è, in fondo, il difetto più lampante di Ginko all’attacco!.
Trasportato pari pari dal film precedente, il montaggio di Maneschi si dimostra, infatti, di nuovo fin troppo indulgente e prolisso nei confronti del girato e sommariamente debilitante rispetto ad un godimento effettivo e generale di una parte seconda che, ciononostante, è addirittura migliore di quello che avremmo temuto, tutt’altro che perfetta od elaborata, ma indubbiamente più avvincente, centrata e meno assonnata della prima.
Un intermezzo che, proprio perché coerente con le proprie fondamenta concettuali, produttive, estetiche e artistiche, non farà certo ricredere chi non si è sentito attratto, o peggio, ha disprezzato il prodromo, ma che potrebbe, al contrario, se non proprio entusiasmare, quantomeno soddisfare quella cerchia relativamente più ristretta (di cui chi vi scrive fa parte), composta sia dai lettori più o meno irriducibili del fumetto, sia dagli amanti di un certo tipo di atmosfere, di cinema, al di là di quello dei Manetti, o anche dai meri addetti ai lavori (altrimenti non si spiega il cameo di Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema?).
I dubbi rimangono quindi, anzi sono qui rivolti anche ad una conveniente rinuncia a quell’allure underground di cui è infuso tutto il progetto a vantaggio di una grande voce e penna dell’attuale panorama musicale italiano e di un popolare attore di serie americane come protagonista. La fuga di Diabolik, come ironicamente titolava la nostra recensione del primo film, è ancora dal cinema italiano e dalla sua incapacità di fare industria, editorialità, saga e (soprattutto) marketing, di parlare davvero al grande pubblico, e non ripiegare, come avviene anche in questo caso, su di un recupero autoreferenziale e, a lungo andare, stantio del vecchio, grande cinema nostrano. Con l’unica differenza che, questa volta, si tratta di una fuga più agrodolce, che un buon ricordo, una qualche luce, un qualche sapore, lo lascia. “Se mi vuoi, questa notte vengo a prenderti”.
Al prossimo (e ultimo?) numero!
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