TITOLO ORIGINALE: Loki
USCITA ITALIA: 10 novembre 2023
PIATTAFORMA/CANALE: Disney+
REGIA: Justin Benson, Aaron Moorhead, Dan DeLeeuw, Kasra Farahani
SCENEGGIATURA: Eric Martin, Kasra Farahani, Jason O'Leary, Katharyn Blair
CON: Tom Hiddleston, Owen Wilson, Sophia Di Martino, Gugu Mbatha-Raw, Wunmi Mosaku, Ke Huy Quan, Jonathan Majors
GENERE: supereroi, azione, fantastico, fantascienza, thriller
N. EPISODI: 6
DURATA MEDIA: 42-56 min
Il Dio dell'Inganno rifà la sua apparizione sul piccolo schermo nella seconda stagione di Loki, che prendendo le mosse direttamente dal finale della prima porta il Marvel Cinematic Universe a riprendere il perduto controllo sul quadro generale e sulla direzione del multiverso e della sua macro-trama. Sei episodi in cui la serie asseconda ed amplifica ulteriormente le proprie specificità, ma ritrova al contempo anche quel respiro avventuroso e fantascientifico che latitava nella stagione precedente, ricordandoci che la cosa più importante è sempre stata il "chi".
“Non si deve mai dimenticare il quadro generale” dice qualcuno in uno dei momenti più significativi ed emozionanti dell’ultima puntata della seconda stagione di Loki. Ed è quanto di più ironico e, al contempo, (in)consapevolmente veritiero il fatto che venga detto nell’ultimissimo prodotto di un uni(o multi)verso crossmediale - il Marvel Cinematic Universe - e di una casa di produzione - i Marvel Studios -, che se c’è una cosa che, in tempi recenti (vale a dire dopo il dittico-epitome Avengers: Infinity War ed Endgame), hanno dimenticato, è proprio il controllo sul quadro generale o, per dirla come farebbero loro, sul bigger picture. Su quel modello narrativo e quella idea rivoluzionaria di interconnessione che non solo ne hanno sancito il successo commerciale, ma con cui essi hanno ridefinito il concetto di cultura pop e nerd, entrando - comunque la si pensi - nella storia del cinema.
Forse però non è del tutto un caso che una simile battuta venga pronunciata proprio sul finale di questa nuova tornata di episodi dedicati all’ormai fu Dio dell’Inganno e primo grande villain della formazione originaria degli Avengers. Infatti, già dalla metà di questa seconda stagione di Loki, si può intuire l’importanza che quest'ultima riveste e rivestirà negli equilibri futuri e nel prossimo troncone di storie marvelliane. Stiamo parlando, più esattamente, del prodotto in cui prima il Dio e, quasi per osmosi, la stessa Marvel sembrano richiamare a sé, riacchiappare e riannodare i fili dei propri racconti. Di un imprevisto mito di rifondazione, di sovrascrittura, di “reincarnazione”, di nuova ramificazione (dalle radici rigorosamente norrene) di un intero mondo, che forse arriva troppo tardi, ma la cui esecuzione è senz’altro appassionante, coinvolgente, oltre che rinvigorita e potenziata.
Lo showrunner Michael Waldron non ha modificato di molto la formula, anzi ha assecondato ed amplificato ulteriormente le specificità e i tratti distintivi della primissima incarnazione della serie, che corrispondono poi a quelli che sono la sua effettiva deformazione autoriale e il suo approccio alla serialità, già messi alla prova in Rick & Morty.
Da un lato, restano perciò invariate la preponderanza e l’importanza (proprio tipiche delle sitcom) della parola, del dialogo, della loro musicalità, ma anche delle loro innumerevoli ambiguità, ai fini del senso ultimo della serie, e non riesce ad evitare, anche questa volta, qualche verbosità di troppo, un paio di siparietti comici superflui, e spiegoni innecessariamente cavillosi. Dall'altro, però, l'effetto combinato di un budget al rialzo, di un production value che imposta quindi un nuovo standard per la carriera marvelliana, della sostituzione in cabina di regia di Kate Herron con un nuovo pool di filmmaker (tra cui figurano i Justin Benson e Aaron Moorhead di Moon Knight) e dell'ottima colonna sonora di Natalie Holt, conferisce a Loki quel respiro fantascientifico, anche un po’ weird comics anni ‘50, perfettamente in linea con l’attuale recupero fumettistico della major; quel senso di meraviglia, di spettacolo e di avventura che - al di là delle atmosfere retrofuturistiche della TVA, del gustoso design di oggetti e props, e di qualche minima escursione in pianeti alieni e dimensioni alla fine del tempo - mancava nei primi sei episodi della serie, spesso sommerso e colmato appunto da fiumi di parole.
In tal senso, di pari passo con una messa in scena finalmente vertiginosa, ciò che allora più convince e rincuora di Loki 2 (nonostante i motivi per perdere la fiducia si annidino sempre dietro l’angolo) è questa sua ritrovata ambizione, il fatto di possedere un peso preciso, un fardello indispensabile nell’equazione incerta dell’universo di cui è e sarà pietra angolare - cosa che, in fatto di serie Marvel, non accadeva dai tempi di WandaVision e di The Falcon and the Winter Soldier. Di non essere banalmente il perditempo, il filler di un’opera di serializzazione più lunga e grande, che va avanti da così tanti anni da aver finito per perdere la propria bussola, i propri punti di riferimento, la formula per gestire al meglio i ritmi, la coerenza, i contrappesi del proprio macro-racconto.
Ciò detto, pur dovendo districarsi tra notevoli domande e risposte, tra (moltissimi) “dove” e “quando”, “cosa”, “come”, “perché” non sempre perfettamente nitidi e comprensibili, ma lo stesso utili a focalizzare e stimolare l’attenzione di chi guarda di episodio in episodio; Waldron e l'head writer Eric Martin mettono sempre al centro di tutto il “chi”. Che, come viene detto nella quinta puntata, è ciò che conta realmente. Del resto, sapete e sappiamo tutti qual è il titolo della serie. Ed è essa stessa - ovviamente tramite il lavoro dei propri autori - a ricordarcelo nei movimenti finali di questa seconda stagione, la quale non a caso torna indietro, sui propri passi fino al pilot stesso, per appurare la compattezza e ponderatezza del proprio affresco.
Sono allora proprio Loki e il suo percorso, il suo cambiamento radicale (tanto da apparire quasi un personaggio ex-novo, che “a volte dimentico che sei uno di loro”), e la sua corsa, la sua spinta di libertà non tanto contro il tempo, quanto piuttosto contro le Storie e contro quel loro predeterminismo che ha sempre inteso ed ammesso il figlio di Laufey nella forma e nei canoni di un cattivo e quindi di un perdente; la chiave di tutto e di tutti, l’atto fondativo di tutte le potenziali diramazioni ed estensioni del Marvel Cinematic Universe post-Endgame.
In una sorta di reminiscenza del mito di Atlantide, la microscopia, le piccole cose: la presa di coscienza riguardo al proprio ruolo ed identità, l’accettazione della propria natura, i rapporti individuali tra un gruppo affiatatissimo di orfani, diseredati, ultimi, obliati o, per rimanere in tema, di varianti, così come la chimica preziosa dimostrata da un cast tanto improbabile quanto dedito ed efficace (a cui si aggiunge un ritrovato Ke Huy Quan perfettamente in linea con la bizzarria e stravaganza fantascientifica del tutto); sono ciò che sorregge il generale, il macroscopico, che informa i dilemmi (etico-morali sul libero arbitrio e il concetto di divinità), ed insieme sorregge i gloriosi propositi del franchise supereroistico per eccellenza.
Il quale, con la seconda stagione di Loki, (ri)dà prova e contezza di una delle sue prime e più brillanti intuizioni (ci riferiamo, neanche a dirlo, al casting di Tom Hiddleston, mai così intenso) ed organizza tutti gli elementi e le variabili necessarie per cambiare l’equazione e riscrivere ancora una volta la (propria) storia.
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