TITOLO ORIGINALE: The Fall of the House of Usher
USCITA ITALIA: 12 ottobre 2023
USCITA USA: 12 ottobre 2023
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
REGIA: Mike Flanagan, Michael Fimognari
SCENEGGIATURA: Mike Flanagan, Emmy Grinwis, Justina Ireland, Mat Johnson, Dani Parker, Rebecca Leigh Klingel, Jamie Flanagan, Kiele Sanchez
CON: Carla Gugino, Bruce Greenwood, Mary McDonnell, Henry Thomas, Kate Siegel, Mark Hamill
GENERE: orrore, drammatico, fantastico, thriller
N. EPISODI: 8
DURATA MEDIA: 57-77 min
Dopo le fulgide e fortunate The Haunting of Hill House, The Haunting of Bly Manor e Midnight Mass, Mike Flanagan torna a rapirci con un'altra serie (elevated) horror (l'ultima prodotta per Netflix), La caduta della casa degli Usher. Egli rivisita e riprende pertanto l'intera opera di Edgar Allan Poe per dar vita ad un'arguta critica nei confronti della contemporaneità, dei suoi dottor Frankenstein e delle sue creazioni, impreziosita da interpretazioni sublimi, una preziosa atmosfera ed una scrittura pregevole ed estremamente scorrevole.
Elevated horror. Un nuovo modo di dire, intendere e distinguere l’orrore, nato e coniato dalla più recente produzione indie (leggasi A24), di cui però spesso si abusa, o lo si adopera giusto per darsi un tono, per farsi notare appunto, per mantenere una certa distanza da un tipo di produzione considerata di bassa lega, triviale, di spaventi a giusto mercato.
Purtroppo, un simile termine è stato utilizzato poche volte in riferimento all’opera di Mike Flanagan. Ciò nondimeno egli, più di tanti cosiddetti autori, meriterebbe di vedersi attribuito finalmente un riconoscimento di qualche tipo. Come abbiamo già scritto altrove e tante volte, non tanto per quello che ha fatto per il e sul grande schermo (tra cui forse solo Oculus e Il terrore del silenzio riescono nei propri intenti), quanto piuttosto per quel che concerne la sua produzione seriale.
Una dimensione, quest’ultima, in cui l’autore e showrunner di Salem è riuscito davvero a liberare una cifra riconoscibile e sfruttare al meglio il proprio potenziale. The Haunting of Hill House, The Haunting of Bly Manor e, in particolar modo, Midnight Mass (che, per chi scrive, è quella che lo ha consacrato) sono alcune delle migliori serie degli ultimi anni e forse di tutti i tempi, nonché alcuni dei racconti horrorifici più appassionanti ed inquietanti mai visti sullo schermo. Prodotti che rendono perfettamente l’idea della declinazione flanaghiana di elevated horror, ma pure il modo ideale di intendere questa tendenza, estranea al saccheggio che il cinema d’autore più borioso e pretenzioso opera nei confronti del genere, per elevarsi a sue spese.
Non più dunque una forma di discorso necessariamente raffinata, enigmatica, imperscrutabile, con una distinta magniloquenza formale ed una predominanza dell’estetica a discapito dell’effettivo e palpabile senso dell’orrore, bensì un modo di portare in scena tematiche, discorsi importanti, elevati, trattati con parsimonia, precisione e rigore, rispettando al contempo il gusto, il respiro, il passo specifico e, soprattutto, il carattere pop(olare) del genere.
Sia chiaro: con questo non vogliamo dire che Flanagan sia un inventore, un preconizzatore, un genio, ma senz'altro un regista di grande intelligenza che si è limitato semplicemente a recuperare la lezione dei grandi maestri dell’orrore (che, quanto avete appena letto, lo facevano già decenni or sono).
Allo stesso tempo, oggi l’horror non può limitarsi a parlare del proprio tempo nei sottotesti, nelle profondità e nelle viscere delle proprie composizioni. Anzi, ha l’urgenza di dire quel che si sente, a gran voce, senza troppe sofisticazioni, semplicemente perché è lo zeitgeist del nostro presente: esasperato, frenetico, inafferrabile e inattendibile; che lo pretende.
Ecco perché La caduta della casa degli Usher, l’ultima (ma davvero l’ultima, prima di passare ad Amazon) serie che Flanagan firma e produce per il catalogo di Netflix, non ci mette molto a dirci quello che sarà e quello che vedremo lungo il corso di otto, magnifiche puntate. Ovvero - neanche a dirlo - elevated horror. Sia nei termini di cui sopra (jump-scare inclusi), ma anche e soprattutto in quelli di un racconto (che, come già era Midnight Mass, diventa il perfetto contenitore e sintetizzatore post-moderno di ennesimi altri racconti) horror (tutti a firma di Edgar Allan Poe, la cui opera diventa perciò cornice, maneggevole tessuto narrativo e citazionistico, ed indubbia forma di nobilitazione) che si scaglia, senza esclusione di colpi, contro gli “elevated”, gli elevati, i ricchi magnati ed imprenditori, i miliardari, i CEO delle grandi case farmaceutiche, delle tech-industries, i finti filantropi…
Nello specifico, contro una delle molte dinastie che hanno solcato la storia dell’America (e, in questo, la serie di Flanagan non è tanto diversa da Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese) e del mondo, preteso un pezzo ed un prezzo dell’umanità, costruito la loro fortuna nel sangue, o fatto valere la loro ricchezza ed influenza per raggiungere meschinamente i propri scopi e - grazie all’intelligenza artificiale, alla coscienza artificiale e all’immortalità virtuale(?) - sconfiggere il baziniano complesso della mummia e diventare realmente immortali. Una dinastia, quella degli Usher, virulenta che ha corteggiato, lusingato, promesso e poi affamato chi stava sotto i loro piedi, sotto i piedi della sua piramide di esibita apparenza, falsità ed opulenza. Che ha manipolato la domanda per creare un’offerta di morte. Che si è approfittata delle sofferenze altrui per diventare divina.
Allo stesso tempo però, nel fare questo, La caduta della casa degli Usher si scaglia, di riflesso, attacca ed interpella pure gli “altrui”; noi che guardiamo. Giacché chiunque di noi avrebbe scelto ugualmente se si fosse trovato di fronte il proverbiale “diavolo all’incrocio”. E perché - come viene detto brillantemente in uno degli ultimi episodi - loro, i ricchi e potenti, sono i dottor Frankenstein del nostro tempo, ma noi, il popolo, siamo le loro creature, i loro mostri. Siamo il parto di un’umanità malata, perversa, abietta, votata alla sofferenza, verso cui non esiste indulgenza ma solo patetismo. Siamo i drogati, gli anestetizzati, le cavie di una folie à deux con un capitalismo che non conosce freni, morale, né tantomeno una speranza di cambiamento e di chiarezza.
A dirla tutta, siamo talmente ciechi che saremmo disposti ad ingurgitare e a farci andare a genio anche la più banale e smaccata delle bugie. Come, ad esempio, un antidolorifico con un’etichetta che ne denuncia fin da subito l’inefficacia - quest’ultima, l’immagine e l’allegoria più forte delle molte proposte dalla serie nel corso delle sue puntate.
Per molti, potrebbe risultare allora un mero incrocio, in salsa horror, di Dopesick e Succession (il che probabilmente non è poi tanto sbagliato), ma per chi scrive La caduta della casa degli Usher è una delle più acute e puntuali rappresentazioni della contemporaneità, alla maniera di Rian Johnson.
Senz’altro (ed intenzionalmente) meno complessa rispetto alla summa-Midnight Mass, forse non del tutto inattaccabile ed intellettualmente onesta a livello extra-filmico (in quanto è prodotta da Netflix, che è uno dei principali emblemi di quello stesso sistema che Flanagan & co. inquadrano, sviscerano con tutti i crismi e prendono di mira), eppure piena di momenti di grande ingegno e, va da sé, di grande cinema.
A partire da una scrittura pregevole, particolareggiata nella scansione e nello sviluppo dell’argomento centrale, estremamente coinvolgente e scorrevole, un casting con ottime intuizioni (vedasi quello di Mark Hamill), una direzione quasi “musicale” ed operistica degli interpreti (tra cui spiccano una Carla Gugino sempre più fine, seducente ed incantevole, squisitamente camaleontica in un ruolo che sembra costruitole su misura, un Bruce Greenwood nella sua migliore prova, ed un Henry Thomas che trova sempre modo di sorprendere qui nei panni di un personaggio subdolo e sfaccettato), fino alla concezione stessa di serialità che Flanagan impiega, recuperando ed uniformando ad una narrazione orizzontalissima ed infine predominante, la forma (demodé, lentamente abdicata dalla complex TV) della trama verticale, del cosiddetto caso della settimana.
In primis, per rendere l’idea dantesca della punizione (per contrappasso) e delle svariate morti che si succederanno di episodio in episodio. Ma soprattutto per fare de La casa della casa degli Usher una di quelle serie che è pressoché un peccato guardare tutta d’un fiato, che bisogna lasciar decantare, scoprire e assaporare pian piano. Ma in definitiva, proprio per questo esatto motivo: per lo stile, lo spirito e l’approccio al racconto; anche il miglior prodotto mai tratto dalle pagine di Edgar Allan Poe. Che qui riscopriamo in tutta la loro perspicacia, modernità e profonda ed inquieta(nte) coscienza dell’uomo, della sua natura e dei suoi fantasmi.
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