TITOLO ORIGINALE: The Haunting of Bly Manor
USCITA ITALIA: 9 ottobre 2020
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
GENERE: drammatico, fantastico, orrore
N. EPISODI: 9
DURATA MEDIA: 42-71 min
Una ragazza di origini americane viene assunta come istitutrice da Lord Henry Wingrave, zio di due orfanelli che vivono, con la sola compagnia della servitù, nel maniero campestre di Bly. Ben presto però, la giovane sarà testimone di una serie di inquietanti eventi che la porteranno a sospettare, in primis, degli stessi bambini. Seconda iterazione della serie antologica Netflix creata da Mike Flanagan, The Haunting of Bly Manor registra una drastica inversione di marcia rispetto a racconto e atmosfere del suo fratello maggiore (Hill House), puntando sui lidi tipici del dramma psicologico e pseudo familiare. Un prodotto dall’intreccio godibile, anche se dallo sviluppo fin troppo annacquato, che, nonostante un comparto tecnico di pregevole fattura, un inizio accomodante (e forse illusorio) e un cast di alto livello, non riesce a reggere il confronto con le proprie origini.
“L’hai definita una storia di fantasmi, ma non lo è. E’ una storia d’amore./Non è un po’ la stessa cosa?”. Dopo l’enorme successo di The Haunting of Hill House (2018), Netflix e lo showrunner e creatore Mike Flanagan (regista di film horror come Hush, 2016 e Doctor Sleep, 2019) ritentano la fortuna, portando su schermo un altro incubo paranormale che, almeno sulla carta, promette ai propri spettatori nove episodi di puro terrore. Purtroppo, come vedremo, non tutte le promesse sono state mantenute fino in fondo. Infatti, se due anni fa Hill House, pur con i suoi evidenti difetti, terrorizzò completamente gli utenti della piattaforma - con le proprie visioni disturbanti, una messa in scena nervosa e un comparto tecnico di carattere cinematografico -, lo stesso non si può certo dire di The Haunting of Bly Manor che, sebbene possa apparire, almeno ad una prima occhiata, come la brutta copia del fratello maggiore, opta per una linea produttiva e concettuale totalmente inversa (e perciò fruttuosa?).
Ciò nonostante, è alquanto innegabile la presenza di alcuni punti di contatto tra le due opere, a partire dall’origine ed ispirazione letteraria. Difatti, se il primo The Haunting trasponeva sul piccolo schermo L’incubo di Hill House di Shirley Jackson - uno dei capolavori del filone ghost story -; questa seconda stagione è tratta da uno dei racconti horror con più adattamenti di sempre (a livello cinematografico, teatrale, televisivo e radiofonico): Il giro di vite di Henry James. Inoltre, così come Hill, anche Bly racconta la vicenda di una famiglia, la cui vita viene completamente travolta da una serie di apparizioni fantasmatiche terrificanti - legate ad un passato oscuro e doloroso - che infestano la loro residenza di campagna. Tuttavia, a differenza della prima serie, Bly Manor non pone al centro del proprio racconto il dramma di una famiglia numerosa e pressoché affiatata, come nel caso dei Crain, bensì quello di un nucleo familiare alternativo e acquisito che risponde ai bisogni di Flora e Miles Wingrave - due orfanelli che, sotto la custodia dello zio Henry, si stabiliscono permanentemente nella villa campestre di proprietà, insieme alla servitù (che diventa per loro una famiglia sostitutiva, a tutti gli effetti). Questo contesto di lutto e perdita si incrocia, ben presto, con la figura e il vissuto di Dani, giovane ragazza di origini statunitensi, assunta da Lord Wingrave per fare da istitutrice ai nipoti. Sfortunatamente, la sua permanenza a Bly non sarà delle più rosee. Difatti, quasi immediatamente, questa sarà testimone di inquietanti eventi che le faranno dubitare, in primis, proprio dei due bambini.
Questa traslazione del fulcro narrativo, tuttavia, non è che una modifica minore e impercettibile, se paragonata al drastico e summenzionato cambio d’atmosfera e di approccio rispetto allo sviluppo di trame e sottotrame e alla gestione dell’elemento horrorifico. Come indicato invero dalla citazione in apertura, The Haunting of Bly Manor è e vuole essere, a tutti i costi, un dramma psicologico e pseudo-familiare dall’essenza romantica ed emotiva, che, facendo suoi gli elementi e le potenzialità narrative di una ghost story tradizionale, affronta tematiche e concetti come il lutto, il ricordo, il lento (o caotico) passare del tempo e l’oblio della mente e del corpo. Dimenticatevi pertanto quell’angoscia e suspense che contraddistinguevano tutti e 10 gli episodi di Hill House: The Haunting 2, di prettamente horror, mantiene soltanto qualche jumpscare disseminato qua e là, inquadrature formalmente angoscianti, dettagli sinistri e un montaggio, alle volte, straniante e ansiogeno. Tali rimasugli tecnici, segni di un’eredità fortunata ma stilisticamente disprezzata da parte di Bly Manor, cozzano però successivamente con un racconto corale-metafora del calvario purgatoriale, fatto di anime spezzate alla costante ricerca di maggior integrità e compimento e in cui l’unico elemento realmente pauroso è rappresentato dall’entità fantasmatica che infesta la casa, determinando le sorti dei suoi abitanti. Di conseguenza, tutto ciò che resta in mano alla produzione è un intreccio che - nonostante una caratterizzazione efficace che si presterebbe a pieghe dark e conturbanti, un inizio promettente (e forse illusorio) e momenti dal ritmo calibrato e tensione sommariamente riuscita - non deborda mai nella paura più viscerale e intensa, accontentandosi piuttosto di semplici, immediati e ridondanti “spaventi”.
Non fraintendeteci, questo cambio d’atmosfera potrebbe essere pure comprensibile e ben accetto, se pensato al fine di non rendere ripetitivo e stagnante il mix inaugurato con Hill House. Posto ciò, il risultato finale dovrebbe però rivelarsi all’altezza di cotante trasformazioni e - poiché continuazione di un progetto dalle tinte originariamente horror - mostrarsi coerente con quanto affermato e rappresentato in precedenza, in quanto si potrebbe rischiare, da un lato, di deludere fan e spettatori della prima ora, dall’altro, di mostrarsi come creazione pretestuosa che sfrutta la propria nomea e successo per rifilare un qualcosa di diametralmente opposto. Sfortunatamente, Bly Manor soddisfa parzialmente questi bisogni, dal momento che - dietro un comparto tecnico di pregevole fattura, un cast di ottimo livello (che vede il ritorno, sul modello di American Horror Story, 2011, di gran parte degli interpreti della scorsa stagione) e una trama, nonostante tutto, intrigante, godibile e con un paio di twist ben assestati - nasconde un attaccamento praticamente inscindibile rispetto alla carta stampata (ci si perde fin troppo in sequenze descrittive e in spiegoni inutili che, talvolta, rovinano il fattore sorpresa e la tensione di certi frangenti); una gestazione eccessiva della vicenda e del suo sviluppo, soprattutto nelle fasi finali; e una ripetitività incessante ed “ingessante” di alcune formule narrative (come quella del salto).
Pertanto, rispondendo alla domanda/provocazione postaci dalla citazione introduttiva, storia di fantasmi e storia d’amore sono la stessa cosa? Se prendiamo come esempio Storia di un fantasma (2017) di David Lowery quasi sicuramente sì. Se invece consideriamo The Haunting of Bly Manor, certo che no. Per rispondere invece ad un’altra domanda che probabilmente vi sarete fatti durante la lettura: la seconda stagione di The Haunting merita la visione? Secondo la nostra modesta opinione e basandoci unicamente sullo spettacolo visivo e suggestivo di alcune sequenze e di alcuni episodi (puntate come la quinta, per esempio), sulla delicatezza di certi culmini narrativi e sulla bravura di ogni singolo interprete; assolutamente sì. Eppure, a fronte di numerosi scivoloni stilistici e di una snaturazione fin troppo marcata, sarebbe ingiusto definire The Haunting of Bly Manor un prodotto di ottima fattura o quantomeno soddisfacente. Pur con i suoi pregi e momenti alti, infatti il serial non riesce ad elevarsi rispetto e slegarsi dal cordone ombelicale del fratello maggiore, della cui bellezza e successo rimane costantemente succube: HIll House e Bly Manor sono due serie così antitetiche da apparire, nonostante qualche aspetto e tratto produttivo comune, come appartenenti a due dimensioni e menti creative totalmente opposte - purtroppo, si sente la mancanza della mano di Flanagan nella realizzazione (in Hill House era regista e scrittore di tutti gli episodi, qui solo del primo). In definitiva, un prodotto piacevole e da salvare, ma nulla di eccessivamente spettacolare o mai visto - guardandolo avrete spesso la sensazione di star vedendo una versione estesa di film come Il sesto senso (1999) e The Others (2001) -; un’opera tanto ambiziosa quanto profondamente sfortunata. Sfortunata poiché, se solo non avesse sfoggiato quel The Haunting nel titolo, avrebbe forse deluso in minima porzione e presumibilmente sarebbe stata giudicata in maniera più lieve.