TITOLO ORIGINALE: Midnight Mass
USCITA ITALIA: 24 settembre 2021
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
REGIA: Mike Flanagan
GENERE: drammatico, fantastico, orrore
N. EPISODI: 7
DURATA MEDIA: 60-70 min
Mike Flanagan conclude il suo trittico seriale con quella che è probabilmente la summa del suo cinema e della sua poetica, nonché la riprova di quella evoluzione del medium seriale che può portare, come in questo caso, a fare di un tris di prodotti televisivi il nucleo più valido, vivo e profondo dell’opera di un regista che deve innanzitutto al cinema il suo battesimo del fuoco. Midnight Mass è un meraviglioso paradosso, ma anche la summa semantica ed argomentativa di un discorso sul tempo e sui suoi processi che Flanagan aveva già impostato nei suoi due precedenti show. Un prodotto ambizioso che riesce a fare metafora, a tracciare parallelismi e a parlare di temi dall'afflato amplissimo, senza mai aver bisogno della provocazione, della dissacrazione o di un atteggiamento distruttivo, cinico e nichilista, anzi condensando il tutto in un racconto che, in fin dei conti, parla dell’amore per il vero miracolo, quello della vita, e di riconoscimento di ciò che si è. Uno dei pochi gioielli che ancora giustificano la sottoscrizione di un abbonamento Netflix.
Per Mike Flanagan, Stephen King è sempre stato un faro nella nebbia. Il riferimento da cui tutta la sua produzione, sia essa televisiva o soprattutto cinematografica, si lascia guidare. L’intesa tra i due sembra un qualcosa di predestinato, il perfetto incipit per il libro di uno o un film dell’altro. Flanagan è infatti originario di Salem, Massachusetts, città nota principalmente per uno dei più grandi e famosi processi per stregoneria della storia e per essere l’ambientazione principale di uno dei lavori più prestigiosi del Re del brivido, Le notti di Salem.
In termini prettamente cinematografici però, questa loro connessione si estrinseca però soltanto nel 2017, quando il cineasta firma l’adattamento de Il gioco di Gerald, uno dei romanzi minori ma anche più angoscianti dell’autore. A questo seguirà poi, nel 2019, Doctor Sleep, con il quale questi è chiamato a confrontarsi non solo con il discutibile sequel di uno dei romanzi cardine del corpus kinghiano, ma anche con il capolavoro di uno dei massimi esponenti del suo ambito (il cinema horror), quale Shining di Stanley Kubrick, di cui il film di Flanagan ne rappresenta una continuazione a dir poco impari.
Tuttavia, in contemporanea a questa sua (a nostro avviso) parzialmente lucente carriera nel cinema, Flanagan è sbarcato e ha iniziato a misurare sé stesso e le proprie capacità di regista e narratore anche con il sempre più contingente mondo della serialità televisiva complessa, tradendo solo in parte questa sua connessione con l’opera di King (che comunque ha sempre funto da lanternino d’orientamento) e portando sul piccolo schermo - stravolti - classici della letteratura fantastico-horrorifica da cui lo stesso Re del terrore dice di essere stato ispirato.
Per Netflix quindi, Flanagan produce prima The Haunting of Hill House, tratto da uno dei racconti più belli di Shirley Jackson - la madre putativa di Stephen King -, che il regista di Salem traduce con grande gusto ed un ambizioso senso dell’orrore. Con The Haunting of Bly Manor invece, questi dirada tutte quelle tinte più graficamente tenebrose, offrendoci una versione più romantica ed emozionale, ma non sempre propriamente riuscita, de Il giro di vite di Henry James, un romanzo già di per sé incentrato maggiormente sui temi della coscienza e della moralità, che non del brivido e della tensione (ciononostante presenti in questa trasposizione seriale). È infine il turno di Midnight Mass…
Iniziamo col dire che se dovessimo leggere la produzione (cinematografica e televisiva) di Flanagan come un percorso fatto di numerose salite e di altrettante discese, i sette episodi di Midnight Mass ne sarebbero sicuramente la vetta più alta. Il primo traguardo vero e proprio, coerente, lucido ed eclatante della carriera del regista. Il compimento di un discorso che questi ha introdotto pian piano, film dopo film, serie dopo serie. Il culmine di una decina d’anni di "servizio". La prima, grande pietra di un già promettente, nuovo maestro del racconto per immagini. L’essenza della sua poetica e del suo cinema, il che parrebbe strano, considerando che ciò di cui stiamo parlando è un prodotto televisivo.
Ma Midnight Mass altro non è che la riprova del lento processo di omogeneizzazione, per non dire di silente attacco, che il medium serial-televisivo e le sue emanazioni, negli anni, stanno operando nei confronti del grande schermo, dei suoi pilastri e della sua vecchia, presunta superiorità. Evoluzione che (perché no?) può portare, come in questo caso, a fare di un tris di prodotti televisivi il nucleo più valido, vivo e profondo dell’opera di un regista che deve innanzitutto al cinema il suo battesimo del fuoco.
Midnight Mass è anzitutto un paradosso, nel senso che, pur trattandosi della trasposizione dell'omonimo romanzo di F. Paul Wilson, potrebbe benissimo essere scambiata con una delle migliori di un qualsiasi romanzo di King. Di quel King interessato a microsocietà che, attraverso una serie di difficoltà ed ostacoli più o meno soprannaturali, si fanno lentamente limpido specchio della società là fuori, oltre le pagine, oltre lo schermo. Del King d’atmosfera, estraneo a quel recupero fanciullesco, scintillante e pop di un altro grande prodotto della N rossa come Stranger Things - che, a sua volta, è un'operazione nostalgia dedicata agli anni ‘80.
Al contempo però, lo show potrebbe apparire anche come una delle più devote traduzioni dell'opera del maestro di Providence, nonché inventore del ciclo di Cthulhu, Howard Phillips Lovecraft, il quale, insieme alla stessa Jackson, è, alla fin fine, colui che ha dato vita e sostanza artistica all’immaginario kinghiano. Non a caso infatti la serie si ambienta in un contesto portuale, tradizionalista, rigidamente credente e talora inconcepibilmente superstizioso, scosso dal risveglio di un orrore arcano, indicibile ed inquietante che ha molto a che vedere con la fede e la religione. Un orrore che ha quindi a che fare con qualcuno o qualcosa che paiono (a noi spettatori, come agli abitanti del villaggio) apparentemente riconoscibili, vicini e quotidiani.
Non solo, Midnight Mass è anche la summa semantica ed argomentativa di un discorso, quello sul tempo e sui suoi processi inesorabili ma non per questo irrevocabili; che Flanagan già aveva introdotto con Hill House, proseguito, in maniera certo più malinconica e sensibile, con Bly Manor, e che qui si cristallizza e si dà in tutto il suo splendore sotto forma di una scrittura lucidissima che, se da un lato sintetizza l’intreccio, dall’altro approfondisce gli strumenti con cui va poi a scioglierlo.
Insieme ad un cast in assoluto stato di grazia su cui spiccano primariamente la feticcia Kate Siegel, un sorprendente e magnetico Hamish Linklater ed un’odiosa (in senso buono) Samantha Sloyan, tale scrittura è, a sua volta, la principale ragione di successo di una manciata di sequenze ineccepibili, travolgenti e cinematografiche nel senso più stretto e puro del termine. Momenti, questi ultimi, nei quali Flanagan trasporta il suo discorso temporale anche sul piano filmico e della messa in scena, trascinando e diluendo il tempo diegetico fino all’inverosimile tramite dialoghi che danno il senso artificioso e sintomatici di una presenza dietro la macchina da presa o al tavolo della sceneggiatura.
Parimenti artificiosi ed indicativi sono inoltre la fotografia di Michael Fimognari, finalizzata alla costruzione di un’atmosfera e di una tensione palpabili (specie nei primissimi episodi), ma anche all’espressione di un’istanza superiore a tutto e tutti, e il trucco prostetico semanticamente rilevante presieduto da Ozzy Alvarez.
Non definiremmo pertanto Midnight Mass come una semplice serie di argomento e dai mezzi orrorifici, dal momento che Flanagan stesso diminuisce nettamente il numero dei fantomatici jumpscares di cui, specie nelle sue pellicole, è noto (ab)usare, giocando tutto su un’inquietudine, un mistero ed un orrore ben più reconditi e viscerali. Centrale nello show è dunque la paura della morte, della fine di tutto, della non vita o, da un altro punto di vista, dell’inizio della vita eterna ed immortale. E chi è che, da secoli, sui concetti di vita prima e dopo la morte, di salvezza e dannazione, di bontà e cattiveria ha costruito altari, fondato imperi e mosso guerra a destra e manca? Ovviamente, la religione. Nel caso di Midnight Mass, ci concentriamo appunto sulla religione cattolica, la più diffusa al mondo insieme all’Islam (che qui riesce comunque a ricavarsi un certo peso dialettico e tematico).
Potremmo vedere quindi lo show di Flanagan come uno dei primi esempi di “postmodernismo biblico” - per citare un perfetto Andrea Bellavita su FilmTV - “[...] una torsione citazione tarantiniana dei testi sacri, che esalta la perfezione della retorica e della narrazione religiosa, riportandola alla sua natura epica, ancestrale, di genere” per farne qualcos’altro. Per farne testo che, su di essa e sui suoi libri (che intitolano gli episodi, riassumendone il contenuto), costruisce un grande discorso sul potere della parola che, attraverso interpretazioni del tutto personali, parziali e funzionali, diventa Vangelo. Quest'ultimo contiene però una parola che non è di Dio, ma di chi si è occupato di verbalizzarla, interpretarla e che poi la metterà in pratica e la professerà. Diciamo quindi che essa è la somma limitata delle credenze, dei conflitti e della natura di un suo vicario, quando non di una sua antitesi inconsapevole ed obliata da una falsa percezione e comprensione di suddetta Parola originaria. Il Vangelo come Parola interpretata, in quanto limitato e affidato alla sensibilità individuale, diventa anche pericoloso se poi viene trasposto in fede cieca, in Guerra Santa, in sacrificio, in timore, o banalmente in tutto ciò che è contrario all'autentico Verbo di Dio.
Nonostante incespichi su un eccessivo didascalismo, un’ostentazione fin troppo tangibile ed una verbosità talora davvero marcata, bisogna inoltre riconoscere quanto brillantemente Midnight Mass riesca a fare metafora, a tracciare parallelismi (tra un prete che è un secondo Gesù, con tanto di flashback, impressi a loro volta in inserti rappresentanti una nuova via Crucis) e a parlare di temi dall'afflato amplissimo, universali e per questo spinosi, senza mai aver bisogno della provocazione, della dissacrazione o di un atteggiamento distruttivo, cinico e nichilista, anzi condensando il tutto in un racconto che, in fin dei conti, parla dell’amore per la vita opposto al timore cristiano della morte e dell’esistenza a lei successiva.
Perché la morte altro non è che una scarica che divide due momenti di un unicum, che inserisce l’io in un quadro più grande, in un cosmo vasto che è poi Dio (sempre secondo la visione di Flanagan, ovviamente). A vincere alla fine non sono coloro che si sono dimostrati dei fedeli ineccepibili nel senso stretto che, di fede e di sua perfezione, si può fare, ma coloro che riescono a riconoscere la propria fallibilità, il proprio essere pieni di peccati, il vero miracolo, quello della vita. O, più sinteticamente, a riconoscere il fatto di essere tutto e, quindi, di essere ciò che si è. Non è forse questo quello che ci insegna la religione?
Una cosa è certa: sono proprio gioiellini come questo - complessi ma tutt’altro che complicati, che sanno andare oltre alle apparenze e portare un qualcosa, un contenuto, qualsiasi cosa esso sia - che giustificano ancora il rinnovo o l’abbonamento ad una piattaforma come Netflix. Peccato che, nel caso della N rossa, prodotti come questo ormai non siano che gemme in un assordante nulla cosmico.
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