TITOLO ORIGINALE: Halloween Ends
USCITA ITALIA: 13 ottobre 2022
USCITA USA: 14 ottobre 2022
REGIA: David Gordon Green
SCENEGGIATURA: Paul Brad Logan, Chris Bernier, Danny McBride, David Gordon Green
GENERE: thriller, horror
Un anno dopo il raptus omicida (anche parodico) di Halloween Kills, arriva nelle sale l'epica conclusione della trilogia sequel/reboot scritta e diretta da David Gordon Green. A partire da un recupero dell'idea epidemica e trasformista de La cosa di John Carpenter, Halloween Ends disorienta inizialmente lo spettatore nel modo in cui instrada lentamente il racconto verso lo scontro definitivo tra Laurie e Michael Myers. Peccato che, proprio all'ultimo, la visione di Gordon Green si sgretoli per convenienza e per non incorrere nelle ire dei fan, e decida invece di ripiegare per uno dei finali più scontati, forzati e conservatori che si siano mai visti nel franchise. Nel complesso, quella dei tre Halloween è un'operazione indecisa, incostante e priva di una linea editoriale e di una personalità ben precise.
“Il male morirà stanotte” si ripeteva e urlava fastidiosamente, ogni tre per due, in Halloween Kills, intermezzo della trilogia sequel/reboot di David Gordon Green, inaugurata nel 2018 con l’ossequioso, filologico, laconico e ricchissimo Halloween, tuttora tra i migliori revival e seguiti spirituali di uno storico franchise horror (e non solo).
“Il male morirà stanotte” dicevano. Tuttavia, se conoscete un minimo la cittadina di Haddonfield e i suoi “simpatici” abitanti, o avete fatto anche solo un giro per il mondo negli ultimi secoli, per non dire millenni, non vi sorprenderà certo sapere che il male non morirà stasera. Il male non muore, semplicemente cambia forma.
Ed è da questa constatazione - che sembra riconoscere la puerilità e sconsideratezza di quel monito ridicolo e, così facendo, calpestare il secondogenito, e che, come solito, è anticipata e raffigurata dalle immancabili zucche nei titoli di testa del film - che prende il via Halloween Ends, l’epica conclusione (o almeno così si dice) di questo viaggio di riesumazione, omaggio, attualizzazione e ridefinizione del capolavoro di John Carpenter e dell'immaginario immortale che questi, insieme a Debra Hill, istituì in quella notte di Halloween del lontano 1978.
A tal proposito, in questo ultimo capitolo, come mai prima d’ora, il legame con il maestro - qui nuovamente impegnato quale eminenza concessoria ed autore della colonna sonora - si arricchisce e viene espresso in maniera più esplicita. Infatti, nel primissimo segmento - l’unico realmente compiuto ed inquietante di tutta la pellicola -, i più attenti potranno scorgere facilmente un frammento de La cosa, altro grande pilastro della filmografia carpenteriana.
Ora, chi ha visto il film in questione, sa bene che il fulcro principale del gioco al massacro che si innesca fra un gruppo di ricercatori di una base scientifica americana in Antartide, alle prese con una parassita extraterrestre, precipitato sulla Terra per chissà quale motivo, è proprio la capacità di quest’ultimo di infettare e assumere le sembianze degli esseri con cui viene a contatto; il suo continuo, ambiguo, ignoto trasformismo.
Un’idea thriller/horror, ma soprattutto perfettamente cinematografica, derivata dal whodunit e dal Kammerspiel, che Carpenter impiegava in maniera eccezionale ed irripetibile nel 1982, e che oggi un sempre riverente David Gordon Green mutua, recupera, traduce e trasfigura sulla figura, o meglio ancora, sull’icona e sul simbolo di Michael Myers, il quale, come abbiamo già constatato negli episodi precedenti, è più di un semplice serial killer turbato, ferito, psicotico e sciroccata. È più simile, diciamo così, all’incarnazione assoluta, congenita (all’esistenza stessa) e necessaria (poiché, in sua assenza, non esisterebbe il bene) di quel male di cui sopra.
In tal senso, più di quella di Halloween Kills (che ripetiamo essere niente più che un capitolo di sospensione e transizione tanto iperbolico quanto futile, che a tratti pare quasi scollegato dal fratello maggiore), l’idea su cui si costruisce Halloween Ends non solo è coerente con tutto l’interessantissimo lavoro di rivisitazione e ragionamento sull’iconografia e simbologia di Michael - tale per cui chiunque, avvalendosi della maschera o, in altre parole, del simbolo, del marchio, del segno, dell’icona, può incarnare ed essere l’Uomo Nero - ma sovverte totalmente le aspettative dell’aficionado rispetto al percorso narrativo del tanto atteso e anticipato scontro finale tra questi e Laurie, cambiando il punto di vista, disorientando.
Il riferimento è ovviamente al personaggio di Corey Cunningham (interpretato da Rohan Campbell, che è simile, forse fin troppo, ad un Ansel Elgort meno angelico e più instabile), ragazzo introverso, tartassato quotidianamente da una madre apprensiva e soffocante e compatito da un padre sottomesso, che viene ingiustamente accusato della morte (avvenuta invece per un fortuito incidente) di un bambino a cui stava facendo da babysitter nella notte di Halloween del 2019 - dunque, un anno dopo i tragici eventi di Halloween (2018) e Halloween Kills. Egli inizia, pian piano, a soffrire Haddonfield e la sua gente, quella città e quelle persone, che, da quando ne è stata riconosciuta l’innocenza, lo passano quotidianamente alla loro gogna privata, pseudo-giustizialista, malevola e per questo incoerente, fatta di calunnia, pregiudizio, insinuazioni, diceria, pettegolezzo e, soprattutto, occhiatacce.
Sarà a seguito di uno di questi episodi di prevaricazione e cattiveria che Corey verrà rapito da uno strano essere mascherato nelle fogne. Un incontro da cui questi uscirà profondamente cambiato…
Ed eccoci arrivati al primo dei tanti scivoloni che, come leggerete, fanno di Halloween Ends un prodotto, sì, più sensato e compatto di Kills, ma tutto fuorché compiuto o riuscito. Perché malgrado la succitata coerenza e coraggio dell’approccio alla conclusione della trilogia sia indubbiamente da premiare, bisogna anche riconoscere come, nella trasposizione filmica di tali intenti, David Gordon Green fallisca nel ritrovare un elemento che, negli scorsi tentativi, non gli è mai mancato: la personalità, sia essa nel nome della restaurazione deferente di Halloween o nel vorticoso e sanguinolento raptus omicida (e parodico) dell’intermezzo.
Haddonfield non è mai stata così poco carpenteriana e, di contro, così tanto kinghiana! E, non fraintendete, non avremmo avuto nulla in contrario ad un eventuale distacco ed apertura dell’immaginario di Halloween verso altri e (soprattutto) nuovi orizzonti, ma rifare IT, con tanto di fogna come “residenza del maligno”, significa non essere consapevoli di ciò che ci circonda e di come funziona la percezione spettatoriale.
E poi, di nuovo, sì, è interessantissimo il cambio di prospettiva, così come una concezione anche epidemica (tanto per non dimenticare la pandemia) del male e tante altre piccolezze (che purtroppo si perdono e dissolvono via via che ci si avvicina al fulcro del racconto, come, ad esempio, lo stress e la difficoltà dimostrata da Laurie nelle relazioni più semplici e comuni, a seguito dei decenni di prigionia autoimposta e convivenza col fantasma di Michael), se solo fossero a servizio di una visione irreprensibile, incorruttibile, nei suoi pro e contro. Una che non spreca così tante forze per stravolgere, traumatizzare, riformare, laddove è poi disposta, per convenienza e per non incorrere nelle ire degli appassionati - che anzi liscia a più non posso, servendogli un’indigestione di strizzatine d’occhio e dettagli feticisti -, a ridurre il tutto ad un detour, ad un capriccio fine a sé stesso, ad un’interruzione a fondo perduto, ad una distrazione sulla falsariga delle locuste nel recente (non a caso, capitolo conclusivo del suo franchise ed anch’esso di casa Universal) Jurassic World - Il dominio.
Il personaggio di Corey diventa perciò l’orpello inutile - oltre che facilmente intercambiabile e neppure così imperdibile - della sceneggiatura più traballante ed artefatta di tutta la trilogia ed insieme di un film che promette lo scontro definitivo, 44 anni dopo, tra due mostri nati nello stesso momento, dalla medesima tragedia, dal medesimo sangue - da un lato, la sopravvissuta Laurie e, dall'altro, (il carnefice/capro espiatorio/demone soprannaturale/ideale contagioso) Michael Myers - e quello, alla fin fine, offre.
Peccato soltanto che, per assistervi e (non) goderselo, ci si debba sorbire prima l’ora e trenta (mai sorprendente come Halloween, mai tanto spassionatamente efferata come Kills) di un banale errore cinematografico, che riconferma, ancora più visibilmente, le incertezze di una trilogia dalle basi senz’altro solide, ma sprovviste di itinerari precisi, di uno sguardo univoco e di una linea editoriale ben definita dal principio.
Che il mito di Michael Myers sopravviva è scontato. Lo ha già fatto e lo farà ancora una volta. Magari assumendo nuove forme, spostandosi altrove, stringendo l’ennesimo sodalizio con il suo unico testamento e la sua unica ragion d’essere, il cinema. Forse visitando un’altra volta il grande (o un diverso?) schermo e la nostra immaginazione per sorprenderci o deluderci nuovamente. Cambiando, per non cambiare mai veramente.
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