TITOLO ORIGINALE: Nostalgia
USCITA ITALIA: 25 maggio 2022
REGIA: Mario Martone
SCENEGGIATURA: Mario Martone, Ippolita Di Majo
GENERE: drammatico
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2022
A neppure un anno dall'uscita dell'ultimo Qui rido io, Mario Martone torna al cinema con Nostalgia, un film in cui il regista torna nel Rione Sanità in cui è nato e cresciuto, confrontandosi con l'omonimo romanzo di Ermanno Rea. Un eccezionale Pierfrancesco Favino interpreta Felice Lasco, un uomo che, dopo quarant’anni di vita all’estero torna a Napoli, proprio nel rione Sanità, il luogo in cui è nato e cresciuto, per ritrovare la madre, che non ha più visto da allora. Sarà proprio la nostalgia a costringerlo nel capoluogo campano più del dovuto e a portarlo lentamente a ripercorrere i propri passi, rivivere i momenti dei suoi primi anni di vita e ritrovare il suo miglior amico di adolescenza, il compagno con cui ha sfiorato il destino della criminalità, che, a differenza sua, è oggi il boss mafioso che tiene in pugno il quartiere Sanità, conosciuto col soprannome di O’ Malomm. Nostalgia è la versione di Cuore di tenebra di Mario Martone, un film sfumato, sospeso ed evanescente, disarmante, magnetico, irripetibile, una delle esperienze cinematografiche più coinvolgenti ed immersive che dovreste(!) avere il piacere di vivere sul grande schermo.
“Ti ha preso la nostalgia” si sente dire al telefono Felice Lasco ad un certo punto di Nostalgia, il film che un instancabile Mario Martone firma a neppure un anno di distanza dall’ultimo Qui rido io. E così, seppur semplicisticamente, si potrebbero riassumere il soggetto tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea, e la trasposizione che, di esso, ne fanno lo stesso Martone assieme a Ippolita Di Majo.
Nostalgia, infatti, segue le orme di un uomo, tal Felice Lasco appunto, che, dopo quarant’anni di vita all’estero, in Egitto, torna a Napoli, più precisamente nel rione Sanità, il luogo in cui è nato e cresciuto, per ritrovare la madre, che non ha più visto da allora.
Sarà proprio la nostalgia a costringerlo nel capoluogo campano più del dovuto, pure dopo l’improvvisa morte di quest’ultima, e a portarlo lentamente a ripercorrere i propri passi, rivivere i momenti dei suoi primi anni di vita e ritrovare - o, almeno, tentare di farlo - il suo miglior amico di adolescenza, il compagno con cui ha sfiorato il destino della criminalità, Oreste Spasiano, che, a differenza sua (uomo benestante, realizzato, di successo), è oggi il boss mafioso che tiene in pugno il quartiere Sanità, conosciuto col soprannome di O’ Malomm.
Si apre con una citazione (in esergo) di Pasolini, il film di Mario Martone: “La coscienza sta nella nostalgia. E chi non si è perso non ne possiede”.
E perdersi è ciò che, dopo quarant’anni di esilio costretto, diventato poi nuova vita, deve fare Felice, interpretato da un eccezionale Pierfrancesco Favino che reimpiega le doti acquisite per portare in scena (a teatro) il monologo di Koltès, La notte poco prima della foresta, nella costruzione e vitalizzazione di un personaggio enigmatico e intrigante che si costruisce e disvela progressivamente di fronte ai nostri occhi; ad un uomo che torna a casa, nel suo paese, nella sua città, nel suo quartiere, da straniero.
Difatti, seppur originario di Napoli, la permanenza al Cairo lo ha trasformato irrimediabilmente: nella cadenza e nell’accento, nel vestiario, nell’atteggiamento, nella fede, nella relazione con l’ambiente a lui circostante, in quei gesti (rivelatori) su cui - lo sappiamo - si fonda tutto il cinema di Mario Martone. Gesti come quello che Felice compie in uno dei primissimi momenti del film e su cui il regista si sofferma esplicitamente.
Il fatto di togliersi l’orologio d’oro e metterlo in cassaforte prima di scendere in strada potrebbe invero sembrare un dettaglio apparentemente superfluo, ma che, da un lato, accentua il livello di estraneità pregiudizievole, quasi turistica di quest’ultimo nei confronti di una città e di un ambiente sociale che, quantomeno all’inizio, non gli appartengono più; e, dall’altro invece, tratteggia la necessità simbolica e figurativa di svestirsi del sé abbiente, emigrato, attuale, per tornare sui propri passi e riscoprire il sé che fu e che, nostalgia permettendo, potrebbe tornare ad essere.
Prende così il via una versione inevitabilmente sensibile, suggestiva, a tratti quasi commovente (la sequenza del bagno è già tra i picchi dell’ultimo cinema italiano) di Cuore di tenebra di Conrad (e annesso Apocalypse Now di Coppola), del quale Martone recupera i concetti riflessi di viaggio e scoperta esteriori, pericolosi, inquietanti, che diventano viaggio e scoperta interiori, biografiche, emotive, unitamente a quello di ricerca e incontro con l’altro come ricerca e incontro dell’altra parte di sé, dell’altro possibile destino, dell’altra faccia della medaglia o, in questo caso specifico, della stessa città, Napoli, che sa - lo scriveva lo stesso Ermanno Rea nel romanzo d’origine - “come da nessun’altra parte di ventre materno, primogenitura, principio di un lunghissimo passato mai passato, silenzio e tumulto di un fuoco che continua a covare sotto la cenere”.
Una Napoli tortuosa e labirintica, elegiaca e pericolosa, talora cupa e spaventosa, altre volte affettuosa ed accogliente, ora osservatrice immobile ed impassibile di fronte agli eventi, ora agente pure sin troppo invasiva. Una Napoli di cui Martone lascia eruttare liberamente tutti gli spigoli e le dolcezze, a differenza di quanto fatto (e chi scrive lo dice da amante del film in questione) da Sorrentino in È stata la mano di Dio, che viceversa rende un’immagine sintetica, pettinata e comprensibilmente “commerciale” del capoluogo campano. Una città multietnica, multiforme, multi storica, nella quale gli opposti si attraggono per volere di una forza invisibile (“credo di doverlo incontrare” dirà, ad un certo punto, il nostro Felice), sussistono a qualche metro di distanza l’uno dall’altro, convergendo infine in un unicum semplicemente disarmante.
E, disarmante, è forse l’aggettivo più azzeccato con cui poter definire Nostalgia di Mario Martone che, nel suo essere racconto umano e politico, sospeso tra tragedia greca e western, di una vita che torna a pulsare proprio grazie al mezzo cinematografico (anche se la scelta stilistica e di messinscena è di per sé puerile e banale), è anche, a suo modo, riflessione meta cinematografica sulla nostalgia e sul potere di quest’ultima di accecare, rassicurare, essere uno spazio ed una condizione confortevole che può eventualmente (e meschinamente) trasformarsi in un amore molesto - per citare l’altro grande film di Martone a cui quest’ultimo fa evidente riferimento - e nocivo, se non nei confronti di Felice, del cinema stesso.
Sfumato, sospeso, evanescente, come ben sottolineano la colonna sonora non originale (dagli alienanti Tangerine Dream agli egiziani Cairokee) e l’epifanica fotografia di Paolo Carnera, Nostalgia è un film meraviglioso, magnetico, irripetibile. Al netto di un finale che tarda ad arrivare, una delle esperienze cinematografiche più coinvolgenti ed immersive che dovreste(!) avere il piacere di vivere sul grande schermo. Non soltanto la prova che si possono mettere in scena racconti a tema mafioso senza incorrere nella retorica, nella proverbialità, nella scolasticità, ma anche e soprattutto la dimostrazione che, smessi gli algidi e orgogliosi abiti di servizio pubblico, il cinema di Mario Martone ha un cuore, un tocco ed uno sguardo preziosissimi, forse unici all’interno dell’attuale panorama italiano.
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