TITOLO ORIGINALE: Army of Thieves
USCITA ITALIA: 29 ottobre 2021
USCITA USA: 29 ottobre 2021
REGIA: Matthias Schweighöfer
SCENEGGIATURA: Shay Hatten
GENERE: azione, fantascienza, thriller, orrore
PIATTAFORMA: Netflix
Dallo zombie movie di Zack Snyder, ecco lo spin-off prequel incentrato su uno dei personaggi più insopportabili e meno carismatici del racconto co-firmato dallo stesso Snyder insieme a Shay Hatten e Joby Harold. Ciò nonostante, Army of Thieves è un film che, per nella sua generale dimenticabilità, riesce a regalare qualche momento di divertimento che il predecessore neppure si sognava, preso com'era dai suoi discorsi pomposi e dalla sua estetica da videoclip. Quello di Matthias Schweighöfer è un film fatto su misura per l'utenza media Netflix che, tra i suoi pregi, vanta senz'altro il modo in cui coniuga un'avventura action thriller con quanto introdotto e antologizzato da Snyder in Army of the Dead.
Il franchise che è nato o, meglio, che sta nascendo da Army of the Dead chi scrive l’ha inteso fin da subito come un tentativo di redenzione dello Zack Snyder regista e (soprattutto) produttore, a seguito dei dissapori avuti con la Warner Bros. rispetto alla gestione dell’universo supereroistico - il fu DC Extended Universe, oggi Worlds of DC - che lui stesso ha inaugurato con L’uomo d’acciaio, cosa che ha poi favorito il nullaosta per il problematico e divisivo Zack Snyder's Justice League.
Netflix ha così accolto il regista sotto la propria ala protettrice, affidandogli letteralmente le chiavi del proprio regno e permettendogli di dare il via ad un progetto - che cita e si rifà, in tutto e per tutto, al suo esordio (Dawn of the Dead) - di cui e all’interno del quale potesse servire tanto da demagogo-industriale, quanto da artigiano-regista.
A distanza di sei mesi circa dal film eponimo - che, come potete ben leggere nella nostra recensione, definimmo “un lavoro esteriormente invitante ma interiormente vacuo e spicciolo” -, ecco quindi fare la sua apparizione sulla piattaforma della N rossa Army of Thieves, la prima costola ambientata in quello stesso universo narrativo in cui Las Vegas verrà colpita da un’invasione zombie e un gruppo di mercenari incaricato di scassinare e svaligiare la cassaforte di un casinò contenente 200 milioni di dollari in contanti.
E scriviamo “verrà” perché Army of Thieves è un prequel che si sviluppa qualche mese prima del film originale, facendo inoltre della questione epidemica e dell’elemento zombesco più che altro un contesto che spinge alcuni personaggi ad intraprendere una determinata avventura. Ciò nonostante, è sempre e comunque sotto l’egida e supervisione di Zack Snyder - che non si esime dal timbrare il cartellino sul finale - che Matthias Schweighöfer dirige e riprende le vesti di Ludwig Dieter, lo scassinatore provetto che Scott Ward (Dave Bautista) e la collega Maria Cruz (Ana de la Reguera) contatteranno per svaligiare Götterdämmerung, la cassaforte posta ai piani alti di un casinò di Las Vegas. Ma non solo.
Infatti, oltre al racconto della storia di origini di Dieter, lo spin-off di Schweighöfer si ripromette anche di esplorare (strano ma vero) il background della stessa camera blindata che quest’ultimo sarà chiamato a scassinare in Army of the Dead. Scopriamo perciò che Götterdämmerung è invero solo la quarta (la più ardua da forzare) di una serie di casseforti forgiate da un fabbro tedesco di nome Hans Wagner, il quale decise inoltre di soprannominare ognuna di queste sue creazioni con il titolo [rispettivamente Das Rheingold, Die Walküre, Siegfried e appunto Götterdämmerung] dei drammi musicali che compongono la tetralogia L'anello del Nibelungo dell’omonimo (in parte) e celeberrimo compositore Richard Wagner, tratta a sua volta dall'epopea tedesca del Nibelungenlied e dalle antiche saghe dell'Edda.
Come intuibile, la missione a cui Ludwig (che nel film scopriamo chiamarsi in realtà Sebastian Schlecht-Wöhnert) dovrà rispondere, inizialmente suo malgrado, sarà appunto quella di decifrarle tutte e quattro e affermare così le proprie abilità di effrazione. Ad accompagnarlo, un team cinematograficamente proverbiale, capeggiato da Gwendoline (Nathalie “Fast & Furious” Emmanuel).
È più forte di lui. Ogni qual volta si ritrovi a scrivere un soggetto, Snyder, chissà perché, sembra rifarsi incessantemente a Il Signore degli Anelli (che, come viene ironicamente fatto notare, tanto riprende dalla mitologia norrena che nomina le casseforti) e, come nel caso di Justice League e delle scatole madri, all’espediente narrativo degli anelli “per domarli, trovarli, ghermirli e nel buio incatenarli”. Espediente che torna anche in Army of Thieves, di cui questi firma la storia insieme allo sceneggiatore Shay Hatten. Le camere blindate che Ludwig dovrà forzare, così come l’Unico, rappresentano una classica sfida a tre livelli che questi dovrà superare per diventare non solo lo scassinatore più abile di tutti i tempi, ma purtroppo anche la figurina fastidiosa che ritroveremo in Army of the Dead (che destino ingrato!).
Peccato che, come potete ben constatare, il paragone tra l’idea di Snyder e le opere di Tolkien e Jackson, in fin dei conti, si risolva poi in un nonnulla che lascia un po’ il tempo che trova (ad onor del vero, quello di chi scrive era giusto un tentativo di rilevare un motivo comune all’interno del corpus snyderiano e nel suo processo creativo). E, ancora, peccato che le casseforti e la mitologia che, di esse, concepisce Army of Thieves, ossia gli unici due aspetti che avrebbero potuto farlo emergere rispetto ai prodotti suoi coevi, siano pure quelli peggio sviscerati dall’istanza narrante, che li abbandona e appiattisce già al secondo episodio di scasso.
Da un lato, lo spin-off di Schweighöfer è quindi un film che pare voler rivoluzionare l’iconografia dell’action-heist movie (esilarante, in tal senso, il segmento in cui un tipico ambiente da corsa clandestina alla Fast & Furious diventa teatro di un’improbabile gara di scassinamento), conducendo per di più un interessante discorso sulla rappresentazione di una Germania opaca, spersonalizzata e americanizzata, ed una riflessione sullo status contemporaneo della figura dell’action hero, evidenziata nel contrasto tra Ludwig - il nuovo canone - e il suo compagno di squadra, tal Bruce Cage - il cui nome è di per sé un indizio più che sufficiente ad esprimere questa sua affinità ad un ideale eroico tradizionale, testosteronico e snyderiano, per rimanere in tema.
Ma, al contempo, quello di Schweighöfer è anche un film che finisce pure per conformarsi a quegli stessi testi - Ocean’s Eleven, The Italian Job o lo stesso Fast & Furious - di cui si prende ripetutamente gioco mediante un approccio postmoderno che, alla lunga, si converte però in un qualcosa di facile, ripetitivo e prevedibile.
Rimuovere gli zombie, lasciando invece solo le casseforti avrebbe permesso ad Army of Thieves di svincolarsi dal suo predecessore, ciononostante quello che ci si para di fronte è essenzialmente un testo più sincero, quadrato e spassoso - malgrado una durata fin troppo consistente - del pomposo e sbrodolato prodotto suo eponimo, ma purtroppo non sempre convincente.
Dove dunque Schweighöfer dimostra un’inaspettata capacità nella direzione dell’action, guidando in maniera funzionale un cast che si fa voler bene e riuscendo, ove possibile, a fondere una serie di tratti palesemente imposti dall’eminenza grigia Zack Snyder - tra questi i ralenti, un’estetica da videogame ed un approccio alla scrittura spesso fumettistico -, tutt’altro discorso è viceversa quello relativo ad una sceneggiatura dai risvolti semplicistici, pedanti e prevedibili, ed un comparto tecnico laccato ma pressoché dimenticabile (su tutti, citiamo una colonna sonora, co-firmata da Hans Zimmer e Steve Mazzaro, che non riesce mai ad erompere in scena).
Per quanto riguarda invece l’ardua sentenza sull’effettiva efficacia dell’operazione o sulla scelta del personaggio a cui dedicarlo, questo spin-off, confidiamo nel giudizio degli spettatori. La risposta di chi scrive è facilmente intuibile, ma la sintetizziamo di seguito. Sì, Sebastian Schlecht-Wöhnert non è o era (pace all’anima sua!) poi un personaggio così tanto carismatico o memorabile da meritare un film tutto suo. E il fatto che ci si sia sprecati per dare una tridimensionalità ad una figura destinata a diventare, in Army of the Dead, niente più che una macchietta vignettistica la dice lunga!
Ma, ora che lo abbiamo visto, tiriamo un sospiro di sollievo (non che fossimo chissà quanto preoccupati, sia ben chiaro): tra parodia e caricatura, Army of Thieves è un film innocuo, perfetto per l’utenza media di Netflix, ma sommariamente dimenticabile. Ad ogni modo, già anche solo il fatto che sia migliore del film da cui prende il via basta a strapparci un sorriso. Certo, passivo ed inerte, ma pur sempre un sorriso!
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