TITOLO ORIGINALE: Black Widow
USCITA ITALIA: 7 luglio 2021
USCITA USA: 9 luglio 2021
REGIA: Cate Shortland
SCENEGGIATURA: Eric Pearson
GENERE: azione, fantascienza, avventura
DISPONIBILE ANCHE SU: Disney+
In seguito agli eventi di Captain America: Civil War, Natasha Romanoff è una fuggitiva a piede libero, ricercata dal generale Thaddeus Ross e dai suoi uomini. Rifugiatasi in Norvegia, l'ex Avenger viene contattata per vie traverse dalla sorella Yelena, che ha finalmente trovato il modo per distruggere, una volta per tutte, la Stanza Rossa.
A due anni esatti dall'uscita nelle sale di Spider-Man: Far From Home, i Marvel Studios tornano ad illuminare gli schermi dei cinema di tutto il mondo con un midquel (poiché collocato tra gli eventi della Guerra Civile ed Infinity War) volto a conferire finalmente un background composito e chiaro ad uno dei personaggi fondativi del proprio universo. Cate Shortland confeziona uno spy-action movie alla The Winter Soldier, registicamente di poco inferiore alla media, che trasla e mette in scena, in modo corretto e funzionale, una sceneggiatura che fa dei rapporti e delle dinamiche interne tra i personaggi il proprio cavallo di battaglia e il palliativo, insieme alle ottime interpretazioni, di alcuni suoi evidenti difetti (tra cui una frettolosità nell'allestimento dell'intreccio ed un ritmo discontinuo). Un popcorn movie soddisfacente a livello affabulatorio, ma fin troppo ordinario e prolisso per lasciare veramente il segno.
Lei aveva famiglia? Sì… noi.
È con questo breve botta e risposta che Tony Stark e Steve Rogers commentano la morte di Natasha Romanoff aka Vedova Nera, arrendendosi dunque all’idea che una delle loro migliori amiche e compagna di lunga data è caduta per servire un bene superiore e “riportare indietro tutti quanti”, in una delle sequenze più emotivamente pregne di quel film storico (nel senso che ha fatto la storia, per molte ragioni che non staremo certo qui ad elencare di nuovo) che è tuttora Avengers: Endgame.
Un’idea di “familia”: vincolata non tanto da un legame sanguigno, quanto più da un rapporto fraterno, compagnesco, basato sulla fiducia e sul mutuo rispetto; molto simile - a scanso di paragoni qualitativo-cinematografici - a quella di una saga molto veloce ed altrettanto furiosa, tutta olio, motori, esplosioni e piani che sfidano le leggi della fisica (manco si trattasse di cinecomics), che risponde ai nomi di Dominic Toretto e Brian O’Conner, per citare i più famosi.
Un’idea di “consanguineità acquisita”, prima lieve cenno di una pellicola [Endgame, per l’appunto] che, a modo suo, già con la sua prima, pessimistica ora, aveva tentato di esplorare maggiormente la psicologia dell’ex spia sovietica; che diventa oggi cardine imprescindibile di Black Widow, la prima produzione targata Marvel Studios ad illuminare gli schermi dei cinema a due anni esatti - tra emergenze sanitarie e lockdown vari - dall’uscita di Spider-Man: Far From Home (e questo è sicuramente un valore emotivo aggiunto), ma anche inserto midquel [si colloca tra Civil War ed Infinity War] all’interno del grande disegno di Kevin Feige & co., volto, come intuibile, a conferire finalmente un background composito e chiaro ad uno dei personaggi fondativi dell'epopea che è (sempre e ancora) oggi il Marvel Cinematic Universe.
Ex-agente del KGB, arruolatasi sotto copertura nello SHIELD di Nick Fury per redimersi dai suoi crimini passati, posizione, quest'ultima, che le ha permesso, in seguito, di diventare una dei Vendicatori originali. Successivamente, doppiogiochista nella scaramuccia morale tra Iron Man e Capitan America nella già citata Guerra Civile, la quale ha portato naturalmente al seguente divorzio e scioglimento del super gruppo.
È questa la Natasha su cui Black Widow e l'universo Marvel tutto posano gli occhi un’altra volta, quasi certamente l'ultima), ed è questo il mondo su cui la macchina da presa di Cate Shortland si affaccia subito dopo un incipit ritmicamente centellinato e dei titoli di testa iconograficamente maturi e peculiarissimi - talora vicini all'estetica del videoclip, altre volte quasi a quella del mockumentary e dello (prendetelo con le pinze) snuff movie - sulle note (riarrangiate) di una convenzionale(?), ma incredibilmente appropriata Smells Like Teen Spirit dei Nirvana.
Un universo, quello di Black Widow, inizialmente considerato nella sua totalità: quindi, nel clima desolato, grigio e pessimista conseguente al divorzio, pubblico e collettivizzante, degli Avengers; su cui però, fin dai primi minuti, si inizia a restringere il campo. Di questo universo infatti, Cate Shortland è interessata ad una porzione ben specifica, per noi inedita e potenzialmente interessante. Una porzione in cui e su cui la regista va alla ricerca, al recupero e al risanamento di un altro divorzio, di una frattura avvenuta molti anni prima e mai rimarginatasi.
È pertanto sulla base e in parallelo a questa rimarginazione (tutt’altro che immediata ed indolore) che la pellicola (ri)contestualizza il personaggio di Natasha e ricostruisce il suo rapporto con gli stessi Vendicatori, introducendo al contempo tutta una serie di comprimari, di nuovi intrecci e di nuovi orizzonti che sfruttano la scia propulsiva e la popolarità da lei acquisita presso il grande pubblico, per affermarsi come nuovi volti e protagonisti del futuro della saga Marvel/Disney.
Personaggi come, per l’appunto, i membri della prima, “reale” famiglia della nostra Vedova Nera, da cui quest’ultima si sentì (e si sente ancora) tradita e che abbandonò definitivamente quando scelse di fuggire dalla Stanza Rossa e sottrarsi così al giogo del generale Dreykov.
Facciamo quindi la conoscenza di Yelena Belova: “sorella” di Nat, anch’essa rapita e addestrata dalla Stanza Rossa, ora Vedova Nera pentita delle proprie azioni ed intenzionata a liberare tutte le sue ex-compagne, tuttora piena di risentimento nei confronti di Black Widow, che non riesce a perdonare per essere fuggita in Occidente ed essere diventata, una volta entrata negli Avengers, una “killer che le bambine chiamano la loro eroina”; di Alexei Shostakov alias Red Guardian: controparte sovietica fallita e decaduta di Capitan America (con cui afferma, mentendo, di aver combattuto negli anni ‘80), unico e solo vero comic relief della pellicola e figura paterna per le due; e, infine, di Melina Vostokoff: la “madre”, una Vedova Nera senior, capo scienziata della Stanza Rossa, tra le fedelissime di Dreykov.
È allora sul ricongiungimento fisico ed emotivo tra questi quattro personaggi che inizia e si basa un film di origini costruito al contrario, poiché anche ritorno alle origini (e ad uno dei periodi più intensi e dolorosi della vita di Natasha, che l’ha resa poi l’eroina che tutti conosciamo).
Un racconto - nato dalla penna di Jac Schaeffer (già showrunner e sceneggiatrice di WandaVision) e Ned Benson, poi sviluppato da Eric Pearson in sede di sceneggiatura - che Cate Shortland trasla e mette in scena in modo sommariamente corretto e funzionale, rispettando quelle che sono le esigenze di una major dal tocco tecnico-estetico ormai (e in molti casi) riconoscibile. Il risultato (almeno dal punto di vista della messa in scena) è un film spionistico d'azione alla The Winter Soldier, registicamente spesso confusionario ed ipercinetico nella composizione, dunque poco inferiore alla media attuale del filone - dai cui maggiori esponenti prende a piene mani.
Una sparatoria vista cortile interno che ricorda fortemente quella di Atomica Bionda, un inseguimento in moto per le strade di Budapest, in cui è impossibile non rivedere - anche solo a livello sensazionale - qualcosa di Mission: Impossible Fallout, l'evasione da una prigione tra i ghiacci con tanto di valanga e poi ancora la distruzione di una base super segreta e tecnologicamente avanzata tra le nuvole sono i principali nuclei action di un popcorn movie che presenta tutti gli scenari del caso e non perde occasione per "acchiappare" lo spettatore.
Tutto ciò è però solo la naturale conseguenza di una visione dell’azione e dei confronti che, in un certo senso, si rifà alla corporeità, all’agilità e all’accuratezza dei combattimenti (prettamente corpo a corpo) delle defunte serie Marvel/Netflix come Daredevil, tuttavia molto più super, anche e soprattutto nel modo in cui Natasha viene stravolta e proposta al pubblico. Quindi, ben più resistente e, per l’appunto, super di quanto invece ci era stato fatto intendere in pellicole come Iron Man 2 o anche solo il primo Avengers [lei e Occhio di Falco sono i due membri più “umani e mortali” del team], ma non solo.
D'altra parte, Black Widow è la logica continuazione di quel processo di maturazione ed inasprimento di toni, atmosfere, dialoghi ed argomenti già introdotto in film quali Guardiani della Galassia, Avengers: Age of Ultron e il già citato Civil War. Di conseguenza, non sono solo gli scontri (più sanguigni e coreograficamente tecnici, seppur immersi nella sospensione dell’incredulità) a maturare, ma anche e soprattutto gli scambi di battute tra gli stessi personaggi: pregni di scurrilità (mai fuori luogo o eccessive, sia chiaro) e di dettagli tutt’altro che consueti, specie trattandosi di Disney (si arriva a parlare di asportazione dell’utero, per intenderci); e l’intreccio in sé per sé, sfruttato neanche troppo pavidamente per toccare - quanto basta e mai in modo invadente - questioni contingenti quali il #MeToo, il maschilismo tossico, il valore di rappresentanza e rappresentazione.
Peccato che Black Widow (nella figura di Cate Shortland) predichi bene e razzoli male, introducendo, sì, la questione delle pose sessualizzate di Natasha ed una critica alla natura “da copertina” degli Avengers (di cui, fino al secondo capitolo, Vedova Nera era un po’ la “quota rosa”), ma dando forma, al contempo, ad un paio di inquadrature visibilmente e sessualmente oggettivate. Veramente un caduta di stile!
Il vero punto di forza (tanto da farne la fortuna) di Black Widow è però la gestione dei rapporti e delle dinamiche interne di questa “familia” incredibile che cita Gli Incredibili (vedi la scena in cui Alexei indossa il costume). Specie per quanto riguarda lo scontro di caratteri, caratterizzazioni ed interpretazioni (concentrato nella prima porzione di film) che sussiste tra la nostra Natasha e la sorella Yelena: la prima più disillusa, rassegnata e “arrivata”, la seconda invece più infantile, incantata, impulsiva, alla ricerca di sé stessa e di legami saldi e sicuri, ma non per questo meno coraggiosa, scaltra e abile; e conseguentemente nel braccio di ferro attoriale (che, a nostro parere, si chiude con un pareggio) tra una Scarlett Johansson che dà tutta sé stessa in queste sue personali dimissioni da uno dei ruoli e dei personaggi che più ne hanno segnato la carriera, ed una Florence Pugh così espressivamente sopraffina da rubare spesso la scena alla collega.
Una chimica e contesa attoriale, ancor prima che di caratterizzazione e di scrittura degli stessi personaggi, che si mostra in egual forza e misura pure nelle varie sequenze tra le due giovani Vedove e Red Guardian (come affermato sopra, unica e assoluta vena comica della pellicola), contraddistinte da quella comicità Marvel tipica ed indolore che strappa una risata e poco più; e che alimenta in maniera sostanziale e decisiva l’affabulazione e l’immedesimazione dello spettatore nelle sorti della Widow family e del loro scontro contro Dreykov, emblema di quella mascolinità tossica sopracitata: un pezzo grosso dell’establishment che gioca a fare Dio, sfruttando, rapendo e compiendo esperimenti su povere ragazze indifese; e Taskmaster, soggetto di uno dei plot twist più intelligenti della pellicola, esteticamente e concettualmente accattivante, ma caratterialmente nella media.
Così come nella media è lo stesso Dreykov, seppur protagonista di uno dei momenti più iconograficamente potenti del racconto. (Il riferimento è al confronto tra lui e Natasha, in particolare quando questi simula un rovescio contro un’eroina che, in questo frammento specifico, si mostra debole, in tutta la sua fragilità ed umanità.)
L’inconsistenza dei villain (aspetto tutt’altro che inedito per il Marvel Cinematic Universe) è però solo la punta dell’iceberg di una pellicola che, dietro un’azione soddisfacente, ottime interpretazioni ed una caratterizzazione dei personaggi con tutti i crismi, rivela un ritmo altalenante e discontinuo (specie tra primo, più dinamico, ipercinetico e globale, e ultimi due atti, ben più introspettivi e calcolati), una frettolosità nell’allestimento dell’intreccio (sia per quanto riguarda la redenzione di Yelena, sia nella casualità dell’attivazione di Taskmaster), una superficialità nell’introduzione di personaggi come Rick Mason (l’amico di Natasha, dato per scontato tanto dal racconto quanto dalla messa in scena) e, per l’appunto, il già citato Taskmaster, un montaggio spesso prolisso ed un didascalismo ed una verbosità fin troppo manifesti di inquadrature, quando non di intere sequenze.
Ciò nonostante, il vero tallone d'Achille di Black Widow appartiene ad una dimensione extra-filmica del prodotto e alla percezione che di esso si ha una volta conclusa la visione. Dunque, quello che ci si chiede (e che bisognerebbe chiedersi) è: sarebbe stato meglio farlo uscire prima? Manco a dirlo, la risposta è sì. A nostro avviso infatti, sapere il destino del personaggio, ancor prima di guardare il film a lui dedicato, ed essere coscienti di star guardando un’”opera postuma” nel vero senso della parola nuoce irreparabilmente al senso ultimo del progetto, all'immagine che, di esso, si crea il pubblico e, ultimo ma non per importanza, al suo valore e peso emotivo (e non solo) nel contesto del grande disegno Marvel.
Non sarebbe stato più logico produrre e rilasciare, subito dopo Civil War, un film che, oltre ad esplorare maggiormente la psicologia di Vedova Nera, funge da ponte tra due grandi eventi (per l’appunto, la Guerra Civile e Infinity War)? Non avrebbe avuto ben più impatto fare uno stand-alone su Black Widow, quindi corroborando l’ipotesi di altri sequel ed illudendo il pubblico, e poi sacrificarla, a sorpresa, in Endgame?
Quel che è certo è che ci troviamo di fronte ad una pellicola che, tolta la sequenza mid-credit (anch’essa penalizzata da una distribuzione tardiva), cerca di illudere invano gli spettatori; ad un film rivolto al futuro, ma che percettivamente risulta più vicino ad un canto del cigno involontario e, in quanto tale, imperfetto, soddisfacente a livello affabulatorio, ma fin troppo ordinario e prolisso per lasciare veramente il segno. Già solo il fatto che (secondo il nostro parere) Negli episodi precedenti, ovvero l’ottava puntata di WandaVision, superi - per gusto, carattere, intuizioni di messa in scena, emotività, pathos - e meglio renda giustizia ad un personaggio complesso e ancor più "sconosciuto" di Natasha (Wanda aka Scarlet Witch), la dice lunga sull’effettiva riuscita di Black Widow: un’opera indubbiamente minore, “nata morta” per davvero.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.