TITOLO ORIGINALE: Snowpiercer 2
USCITA ITALIA: 30 marzo 2021
USCITA USA: 29 marzo 2021
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
GENERE: fantascienza, drammatico, thriller, post apocalittico
N. EPISODI: 10
DURATA MEDIA: 46-52 min
Abolito il sistema sociale classista che vigeva a bordo dello Snowpiercer, Layton, Melanie e soci dovranno allearsi ed unire le forze contro lo stesso creatore del treno, il signor Wilford, che, a bordo della Big Alice, è ora intenzionato a riprendere il controllo di ciò che gli spetta di diritto.
Neanche a distanza di un anno dal finale della scorsa, fa la sua comparsa su Netflix la seconda stagione di Snowpiercer, serie tv basata sulla graphic novel Le Transperceneige e sull’omonimo film di Bong Joon-ho. Seppur sviluppata sulla scia propulsiva di un ottimo cliffhanger, questa nuova serie di episodi si mostra (purtroppo) come un perfetto bilanciamento tra ingegno creativo ed ingenuità disarmanti e terribilmente inspiegabili. Persi la consapevolezza e il metro di paragone con il film originale, Snowpiercer 2 si confronta con momenti di scrittura insipida e svariate cadute di stile che ne minano in parte la generale godibilità. A ristabilire la situazione, sequenze ottime per azione, ritmo ed aspirazioni narrative, alcune ottime new entry, l’evoluzione significativa di un manipolo di personaggi storici ed un paio di interpretazioni degne di nota. Ma la freccia manca comunque il bersaglio.
Dall’ultima volta in cui abbiamo viaggiato sullo Snowpiercer (più precisamente, a luglio dell’anno scorso, ndr), la situazione a bordo sembra essersi drasticamente capovolta. Il sistema segregazionista e pregiudizievole delle classi è stato finalmente abolito, il treno e la sua popolazione sono una cosa sola, non vi sono più confini o limiti invalicabili e la temperatura socio-politica si è sbollita notevolmente, anche e soprattutto grazie all’abbandono delle vestigia totalitarie e repressive e all’instaurazione di una vera e propria democrazia - seppur, a ben vedere (e vista l’attenzione narrativa riposta su alcuni specifici figuri), sarebbe meglio parlare di oligarchia.
Pertanto, fieri delle proprie conquiste (ottenute non certo pacificamente), l’Arca-Snowpiercer e i suoi passeggeri stanno per ripartire alla volta di un pianeta Terra (ricordiamo) condannato ad una nuova, letale e (forse) eterna era glaciale, portando con sé non solo effetti personali e valigie, ma anche l’ultimo barlume di speranza della civiltà umana. Ciò nonostante, come sempre avviene, i nostri eroi e antieroi non fanno in tempo a cantare vittoria e adagiarsi sugli allori dei progressi raggiunti che, all’orizzonte (o, meglio, alle spalle), inizia a palesarsi una nuova minaccia.
Come dimenticarsi quindi del coup de théâtre (totalmente inaspettato e, a nostro avviso, geniale) con cui lasciammo i nostri in quel caldo - ma non così lontano - luglio 2020? Come rimanere indifferenti di fronte al ritorno - in carne, ossa e locomotiva (la Big Alice) - del “compianto” signor Wilford (Sean Bean) - di cui Melanie Cavill (Jennifer Connelly), la “voce” e nuovo capo del treno, aveva professato la morte e sparizione in lungo e in largo tra i passeggeri? Da qui si è interrotta e, sempre da qui, riprende la nostra/vostra avventura sullo Snowpiercer, lungo - per l’occasione - 1034 carrozze.
Per dovere di cronaca, riportiamo qui quanto scrivemmo a proposito della prima stagione di Snowpiercer, che fu, a tutti gli effetti, una delle maggiori sorprese serial-televisive di un 2020 passato agli annali per tutt’altri motivi:
Tanta era la paura che aleggiava attorno al progetto Snowpiercer, forse legata alla qualità della trasposizione di Bong Joon-ho, forse suscitata dal timore che si potesse andare a distruggere ciò che, in fin dei conti, è divenuto un moderno cult. Contro ogni previsione, lo show di Graeme Manson prende tutti in contropiede, imbastendo un racconto corale post-apocalittico coerente, umano, violento e brutale che, ponendo le basi per la nascita di una nuova saga televisiva, potrebbe regalare possibilità narrative tanto sorprendenti quanto appaganti.
Dopo una serie di riflessioni, possiamo infatti affermare con certezza che uno dei più grandi pregi della prima serie di episodi era la consapevolezza di non possedere, oggettivamente e produttivamente parlando, gli elementi necessari per poter equipararsi o, perlomeno, accostarsi alla pellicola a cui faceva riferimento (in termini estetico-visuali) e a cui doveva così tanto clamore. Pertanto, all’occorrenza, riusciva ad autolimitarsi, giocando su e reinterpretando una mitologia ed un'iconografia già presentate e funzionalmente sviluppate e non tradendo mai la propria natura seriale (con tutte le limitazioni del caso, tra cui la CGI). Tutto ciò, a fronte invece di uno sfruttamento della componente più economica, ma efficiente ed efficace di tutte: la sceneggiatura; spesso utile ad elevare la serie su ben alte vette (vedi il cliffhanger finale sopra citato).
Come sempre avviene per le seconde stagioni, i creativi e gli showrunner tentano di alzare ulteriormente l’asticella e di rendere il serial ancor più complesso, stratificato ed elaborato sia in termini narrativi sia (soprattutto) dal punto di vista tecnico. E questo, Snowpiercer 2 lo sa e lo fa. Come? Presentando personaggi nuovi di zecca, moltiplicando le storyline ed intraprendendo percorsi narrativi ed approfondimenti individuali - che vanno poi a collimare nell’intreccio collettivo e principale -, al fine di restituire un mosaico quanto più composito, sfaccettato e vibrante dell’ecosistema sociale ed umano del treno.
Oppure, tentando di esplorare (seppur in minima parte) quello che è rimasto e che sarà del pianeta Terra, con il chiaro intento di affermarsi e mostrarsi come un prodotto (e, trattandosi di quasi 20 ore totali di durata, è quantomeno ovvio) più completo e sensazionalmente arricchente di quelli [il film del 2013 e, ancora prima, la graphic novel Le Transperceneige] a cui fa fede e della loro mitologia. Ma anche introducendo alcuni sottotesti tematico-argomentativi - dalla politica alla religione, dall’ecologia alla morale - potenzialmente nobilitanti, ma estremamente rischiosi se trattati con superficialità (cosa che purtroppo avviene).
Detto ciò, non vorremmo però indorarvi ulteriormente la pillola e lasciarvi all’oscuro un secondo di più. Difatti - e pur con tutti i pregi del caso -, chiuso il capitolo concernente la lotta di classe (che è poi l'input da cui prende il via e su cui si concentra anche la pellicola di Bong Joon-ho) e costretto pertanto a dover approdare su ben altri lidi e pensare ad un proseguo ancor più intrigante ed ambizioso, Snowpiercer sembra quasi perdere la bussola, procedere alla cieca (lo dimostrano i tre, soporiferi episodi iniziali), oltre che con molta insicurezza, in alcuni suoi svincoli di trama. Il che è oltremodo incomprensibile, viste la “potenza di fuoco” (che si traduce in aspettative e attesa) e le possibilità concesse da quel fantomatico cliffhanger e dalla ricomparsa sulle scene di un villain - così affascinante e misterioso - del calibro di Wilford.
Persi la consapevolezza e il metro di paragone con il film originale, Snowpiercer deve così confrontarsi e mostrare il fianco a momenti di lazy writing - come direbbero gli americani - e a svariate cadute di stile che minano in parte la generale godibilità e visione del prodotto. Il riferimento - sulla base delle novità sopra citate - è all’introduzione di personaggi e archi narrativi ex novo, che, se da un lato dispongono del merito di voler rendere più vivida e materiale la vita sui due treni, dall’altro si rivelano totalmente fallimentari, quando non pretestuosi, riempitivi e, alla lunga, deleteri.
Tra le tante storyline esemplificative di cotanta mediocrità compositiva, è sicuramente d’obbligo citare quella concernente gli omicidi dei “tappafalle”, costruita sulla falsariga di quella della prima stagione (che fungeva da giustificazione per l’ingaggio di Layton), ma tutt’altro che soddisfacente in fatto di detection e risoluzione; e la romance tra LJ Folger, la ragazza aristocratica condannata per gli omicidi in prima; e Osweiller, ex membro dei frenatori; i quali, all’infuori dei due capitoli conclusivi, si limitano a qualche comparsata di dubbia rilevanza.
Le ragioni dietro il fallimento degli intenti affabulatori di tali sottotrame sono duplici. Senz’altro - anche se in minima parte -, per la scrittura e la caratterizzazione dei personaggi coinvolti in suddette, ma, e in maniera ancor più evidente, per la totale assenza di segretezza e ambiguità relativa tanto allo scopo (il potenziamento caratteriale e narrativo del villain) e alla destinazione finale (la resa dei conti tra bene e male), quanto alla figura d’interesse di tali intenti e archi.
Come si suol dire, tutte le strade portano a Roma. In questo caso, sarebbe meglio dire che tutte le strade portano a Wilford, new entry villainica che, sulla carta, si prefigurava come il vero e proprio punto di svolta e di ascesa di questa nuova serie di episodi, ma che, purtroppo, all’atto pratico funziona in alcune rare occasioni (soprattutto nei momenti di epilogo). E non per chissà quali fantasmagoriche doti di scrittura. Un magistrale, per non dire superbo Sean Bean (Ned Stark ne Il Trono di Spade e Boromir ne Il Signore degli Anelli) e l’interpretazione che questi offre di Wilford sono infatti i soli e unici fautori del carisma e della riuscita su schermo del personaggio, nonché principale motivazione per cui questa versione (del fondatore dello Snowpiercer) sostituirà, a livello di memorabilità ed immaginario, quella rivestita da Ed Harris nel film del 2013.
Detto ciò, è quasi superfluo aggiungere che probabilmente Wilford sarebbe stato piatto, bidimensionale e macchiettistico - com’è del resto se si presta attenzione solo ed esclusivamente alla caratterizzazione in sceneggiatura -, se al posto di Bean vi fosse stato qualsiasi altro attore. Difatti, il britannico fornisce al villain quel quid in più, complementario all’immagine di cattivo - a metà tra il canone bondiano e quello gangsteristico - un po’ perverso e sessualmente deviato, un po’ esteta e psicopatico, che architetta piani machiavellici ed arzigogolati dopo aver sorseggiato un bicchiere di buon whiskey, prendendosi gioco dei suoi avversari con battute taglienti e sagaci e preferendo delegare violenza e crimini ad adepti e (veri e propri) sudditi.
All’argomento Wilford vorremmo unire un confronto e l'analisi di un ulteriore fallimento della sceneggiatura e - ricollegandoci alle novità elencate sopra - di ogni suo intento sotto testuale. Ad un certo punto infatti, la già citata indagine della mal sfruttata detective Till (Mickey Sumner) porta quest'ultima alla scoperta di una cerchia di persone che venerano Wilford e i suoi feticci come fosse un santone o una figura cristologica, ancor prima che il salvatore dell’umanità. Purtroppo, tale arco narrativo - così come altri prima e dopo di lui - perde quell’iniziale senso di immersione negli anfratti più arcani e innominabili del treno e si perde nel caos e nel rumore di bisogni narrativi ben più grandi e allora rilevanti.
Fascino e affabulazione, quelli legati alla figura di Wilford (ed ecco il confronto anticipato), che, al contrario, non venivano minimamente sacrificati quando era Melanie il “villain” incontrastato della prima stagione; quando ancora vi era il segreto di chi stesse realmente comandando il treno e di che fine avesse fatto Wilford. In questo senso, se solo si ripensa all’intreccio principale dei primi 10 episodi e alla caratterizzazione del personaggio interpretato da Jennifer Connelly (ad oggi, ancora il migliore di tutta la serie), l’unica reazione possibile è il rimpianto. Rimpianto che viene largamente incorporato e diventa, a sua volta, uno dei maggiori difetti di Snowpiercer 2 nel momento in cui, per obblighi di trama, Melanie (e la Connelly) è costretta ad uscire di scena e il serial non si impegna minimamente per sopperire e colmare quella che, a tutti gli effetti, è una sottrazione eclatante che, con il passare del tempo, si converte in una mancanza fin troppo palpabile e dunque controproducente.
Questi - e molti altri - gli addendi di un’operazione che priva Snowpiercer 2 di qualsivoglia effetto sorpresa o twist mozzafiato e, seppur parzialmente, di quella tensione marcata che contraddistingueva e albergava in tutti e dieci gli episodi della prima iterazione. Suspense che, ciononostante, continua ad essere una prerogativa imprescindibile dello show, convergendo quivi in momenti al cardiopalma anche superiori ad alcuni della prima season. Vi basti pensare a Lontano dallo Snowpiercer, sesta puntata e (forse) canto del cigno del personaggio di Melanie - da cui poi prende il via un flashback lungo tre episodi che si ricollega alla temporalità principale soltanto sul finale (il quale, per struttura ed impostazione narrativa, consideriamo come unione di nona e decima parte) -; o al segmento conclusivo de L’eterno architetto. Frammenti ed episodi, questi ultimi, che tuttavia hanno un peso esiguo sulla bilancia di una stagione, come suggerito sopra e a conti fatti, ritmicamente sbilanciata e qualitativamente disomogenea.
Con questo non vogliamo però sostenere che questa seconda serie sia un totale disastro o completamente da buttare. E neanche che tradisca la trepidazione e le speranze di noi spettatori. Questa nuova iterazione dello show riesce infatti a distinguersi dalla precedente principalmente per il coraggio che dimostra nel volersi slegare dal film di Bong Joon-ho, scegliendo di puntare su un intreccio più ampio ed elaborato - che dà respiro a sequenze ottime per “incastro” di eventi e personaggi, energia tensiva, azione, ritmo ed aspirazioni narrative -, su alcune, ottime new entry, sull’evoluzione significativa di un manipolo di personaggi storici (quella di Ruth è forse la più significativa, in tal senso) e su (poche ma buone) interpretazioni degne di nota.
Malgrado ciò e a differenza di quanto visto l’anno scorso, Snowpiercer 2 sembra volersi concentrare sugli uomini (e sui loro destini personali), dimenticandosi però dell’umanità (in quanto passeggeri) e, con essa, del treno come scenografia attiva e simil-Arca di Noe.
Pur non soddisfacendo gli standard qualitativi imposti ed impostati dalla prima stagione - rivelandosi, alle volte, addirittura manchevole e fallace -, questa nuova serie di episodi si mostra dunque come un ottimo divertissement, quasi alla stregua di un guilty pleasure, ma mai così becero e trash da diventarlo in toto. Come un ottimo prodotto d’intrattenimento, di sicuro superiore alla qualità media dei suoi colleghi netflixiani, ma tutt’altro che imperdibile. Come una sufficienza spuntata (purtroppo) perfettamente bilanciata tra ingegno creativo ed ingenuità disarmanti, quando non tremendamente inspiegabili.
Sarà per le aspettative, sarà per il parziale appiattimento di quel micidiale coup de théâtre, sarà che forse pretendiamo troppo, sarà che ci rivediamo in questa umanità obbligata a rimanere rinchiusa in uno spazio esiguo (ironia)... Eppure, se la prima season ci aveva colti in fallo (e con la guardia abbassata), quivi l’incantesimo non ci ha nuovamente e neanche completamente stregati.
E non sappiamo neppure se lo farà nell’immediato futuro. Perché, a differenza di Trenitalia, lo Snowpiercer (e la sua terza stagione) non si farà certo attendere.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.