TITOLO ORIGINALE: Seolgug-yeolcha
USCITA ITALIA: 27 febbraio 2014
USCITA USA: 1º agosto 2013
REGIA: Bong Joon-ho
SCENEGGIATURA: Bong Joon-ho, Kelly Masterson
GENERE: azione, fantascienza, drammatico
Il regista di Memorie di un assassino e Parasite dirige un film eccezionale e coerente con il discorso e riflessione sul conflitto sociale, tipica della sua filmografia. Una regia tesissima ed espressiva, una sceneggiatura profonda, brutale e ricca di spunti, un comparto tecnico rigoroso e ben confezionato ed interpretazioni magnifiche fanno di Snowpiercer la pellicola imperdibile di uno dei più grandi artisti del XXI secolo.
Il treno è umanità. Il treno è vita. Il treno è tutto. Questi i tre dogmi fondamentali di Snowpiercer, sesta pellicola di Bong Joon-ho (Memorie di un assassino, Okja ed il recente premio Oscar Parasite). Tuttavia, sette anni prima di questa vittoria agli Academy Awards 2020, notorietà globale ed importanza cruciale per l’intera storia del cinema, viene distribuito nelle sale il, a tutti gli effetti, primo approdo del cineasta nel panorama cinematografico occidentale. Sotto molti aspetti, Snowpiercer potrebbe quasi rappresentare una sorta di fusione tra due modi di vedere e fare cinema, quello occidentale, in particolare americano, - basato su una continua spettacolarizzazione visiva e freneticità del filmico - e quello orientale - caratterizzato da una concezione opposta, molto più intima e sensibile, ma anche brutale, cruda ed incensurata, di racconto, costruzione dei personaggi ed impianto tematico.
Basandosi sulla graphic novel francese Le Transperceneige, il regista dà origine ad un’opera “fantapocalittica” dal concept originale e rinnovato, imbastendo un ecosistema credibile e filmicamente plausibile nelle meccaniche. Al centro di tutto, vi è infatti questo treno - battezzato appunto Snowpiercer - che, in un mondo devastato da una nuova era glaciale, rappresenta l’unica ancora di salvezza dell’umanità. Nonostante siano visibili alcuni riferimenti a pietre miliari del genere come Alien, Brazil e Blade Runner, il cineasta coreano riesce a fondere tutti questi elementi contrastanti, creando un mix adrenalinico, grottesco, cinico e provocatorio. Il soggetto della pellicola è un continuo scontro/incontro tra miti e stilemi antichi e moderni. Da un lato, vi è la concezione del mezzo come vero e proprio contenitore di vita ed unica possibilità di sopravvivenza - quasi come fosse una simil-Arca di Noé. Dall’altro, abbiamo invece i nuovi miti - quello distopico e fantascientifico - che collegano questo concetto di Arca ad una matrice prettamente umana e razionale. Difatti, questa nuova era glaciale non è altro che il frutto del fallimento, da parte dell’umanità, di prevenire e fermare il riscaldamento globale.
Come da tradizione per quanto riguarda la filmografia di Joon-ho, questo incipit non è altro che la base per lo sviluppo di una riflessione poetica basata sulla lotta e prevaricazione sociale. Infatti, all'interno di questo treno, regna un classismo spudorato: ci sono le persone in fondo - maltrattate, misere ed affamate - e quelle in testa al treno - viziate e confortate. Il mezzo stesso si basa su un equilibrio ed un ordine a cui devono sottostare entrambe le parti per fare in modo che la macchina funzioni a dovere. Malgrado ciò, questa precarietà viene ovviamente sofferta dai poveri in fondo, i quali decidono, dopo anni di insuccessi, di fondare un’ennesima, disperata rivoluzione. Tuttavia, quest’ultima porterà ad una completa eliminazione di concetti come buono e cattivo, giusto e sbagliato, morale ed immorale. Lo spettatore prende certamente le parti dei più deboli, ma più avanza nella visione, più si rende conto che ogni personaggio è colpevole di qualcosa di atroce ed ingiustificabile, fino ad arrivare al ribaltamento finale che annulla e destabilizza ogni certezza.
A completare questo comparto tematico e narrativo così ricco di spunti e riflessioni, una regia angosciante, ricca di pathos e tensione, particolarmente ispirata ed espressiva nelle svariate scene di dialogo e nella costruzione di dettagli e primi piani, ma non per questo priva di qualche, ma sporadica, sbavatura - soprattutto nelle confusionarie sequenze d’azione -, alcuni momenti grottescamente, brutalmente e crudamente memorabili, un ritmo sostenuto ed esasperato, un montaggio puntuale e prestigioso, ambientazioni magnifiche e claustrofobiche, una fotografia dinamica, polimorfa e vibrante ed un cast internazionale veramente splendido, che ultima una costruzione narrativa profonda, duplice ed accattivante dei personaggi - su tutti, spiccano un Chris Evans irriconoscibile e smunto in uno dei suoi primi ruoli realmente drammatici, un Song Kang-ho che oscura metà degli interpreti occidentali, un Ed Harris assolutamente calzante ed un’ottima ed euforica Tilda Swinton.
Con Snowpiercer, Bong Joon-ho trasporta su un piano prettamente fantascientifico e post-apocalittico, nonché maggiormente plateale, rappresentativo e visivo, la trattazione della tematica del conflitto sociale che, un paio d’anni dopo, gli farà vincere ben quattro premi Oscar. Sia, questa riflessione, condotta sullo sfondo di una villa aristocratica o in un treno sfrecciante tra neve e ghiacci, il risultato è sempre lo stesso: non vi sono buoni o cattivi, la società è il morbo ed archetipo da rivoluzionare. Una pellicola - feroce ed inedita, esplosiva e leggermente malata - su contrasti e rivalse, accomunati però da una profonda e viscerale umanità. Semplicemente, l’opera più “orientalmente hollywoodiana” di uno degli artisti più sorprendenti ed eccezionali del XXI secolo.