TITOLO ORIGINALE: Romulus
USCITA ITALIA: 6 novembre 2020
PIATTAFORMA/CANALE: Sky Atlantic/NOW TV
GENERE: drammatico, avventura, azione, storico
N. EPISODI: 10
DURATA MEDIA: 60 min
La storia, l’unione e il contrasto di un popolo boschivo e selvaggio e di uno civilizzato ma classista, dai cui esponenti nascerà l’impero più grande e importante di sempre: Roma. Dopo aver diretto Il primo re e aver reinterpretato il mito fondativo di Romolo e Remo, Matteo Rovere veste i panni dello showrunner televisivo, producendo un serial che presenta tutte le carte in regola per scalzare Gomorra e il proprio dominio incontrastato dal trono della serialità italiana. Un comparto tecnico-estetico che vanta alcune delle migliori maestranze del cinema italiano allo stato attuale sottolinea e paga pegno di fronte ad una sceneggiatura dalla struttura e progressione calibrata e armoniosa, fondata su una caratterizzazione coerente e dettagliata dei personaggi e sulla creazione di un immaginario e un mondo tutto scoprire, tuttavia contraddistinta da alcune gravi croci che ne minano la qualità complessiva.
Negli ultimi quindici anni, la TV italiana è riuscita a liberarsi dai canoni progressivamente annichilenti degli sceneggiati RAI (che, seppur nati con buoni intenti qualitativi e produttivi, col tempo si sono parzialmente convertiti in una catena di montaggio senza personalità alcuna) e delle fiction Mediaset, rivolgendo lo sguardo verso una dimensione internazionale e spogliandosi di tutti quegli aspetti campanilistici - da un punto di vista tecnico e narrativo - che la rendevano inferiore a tutto ciò che proveniva da oltreoceano o oltremanica. Una delle prime forme di disincanto e disillusione collettivi risale al lontano 2007, anno di produzione e distribuzione di Boris, la “fuori serie” italiana; il racconto satirico, dissacrante e caricaturale del set e dietro le quinte di una fiction, il cui nome - Gli occhi del cuore - è già un programma e in cui tutto è “fin troppo italiano”, per citare Stanis La Rochelle. Ancor oggi, il regista René Ferretti e la sua troupe di scapestrati e disagiati suscitano scrosci di risate, ma, allo stesso tempo, riescono a scrollare lo spettatore italiano medio dal torpore della realtà televisiva nostrana, mostrandogli, seppur in maniera esagerata, uno spaccato di ciò che spesso è e comporta il lavoro e la vita all'interno di questi set e produzioni che si accontentano di un lavoro operaio e mediocre.
Facciamo un salto in avanti e arriviamo al 2008, annata durante la quale, su Sky, fa la sua prima apparizione Romanzo criminale - La serie, seconda trasposizione (questa volta, televisiva) dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo ideata, scritta e diretta da Stefano Sollima. Ed è proprio qui si registra la svolta definitiva per la produzione televisiva nazionale, dal momento che La serie, con la sua pregevole fattura, la sua non convenzionalità tecnico-narrativa, il suo carattere rivoluzionario - nonostante racconti una storia che appartiene alle radici della moderna criminalità italiana - e il suo successo, aprirà poi la strada ad opere del calibro di [in ordine di uscita] Gomorra - La serie (sempre prodotta da Sollima per Sky, ispirata al romanzo di Roberto Saviano e trasmessa, dopo un primo passaggio italiano, anche negli Stati Uniti con grandissimo clamore mediatico), The Young Pope (in cui non si distingue quasi più il confine tra cinema e televisione), Suburra - La serie (un altro gangster serial ispirato ad un romanzo di De Cataldo, importantissimo poiché primo approccio vero e proprio da parte di Netflix nei confronti della serialità nostrana) e il recente Diavoli (l’esperimento televisivo forse più atipico tra i prodotti appena citati, un crime thriller con elementi finanziari che, pur essendo interamente made in Italy, potrebbe essere facilmente scambiato per il prodotto di un’emittente o streaming service statunitense).
Ultimata questa doverosa premessa, è dunque giunto il momento di analizzare e trattare ciò che, ora come ora, rappresenta l’attualità e il presente televisivo del nostro paese. Ed è quasi contraddittorio il fatto che, nel farlo, si debba compiere un excursus cinematografico all'indietro di qualche mese e contemporaneamente un viaggio nel tempo di qualche migliaio d’anni (visto il setting della serie in questione). Prima di tutto e ai fini di una consapevolezza maggiore e più completa nei riguardi del progetto, è bene aver presente quale sia il ruolo e l’importanza rivestiti da Il primo re (2019) di Matteo Rovere all’interno dell'odierno panorama cinematografico italiano. Proponendosi di narrare le origini di Roma da un punto di vista mitologico, fantastico ed epico - umanizzando e reinterpretando quanto scritto da storici dell’epoca come Plutarco ed Ennio -, il film recupera il vecchio e il primordiale (lampante, a tal proposito, la scelta di fotografare tutto con luce naturale e di far parlare ai personaggi un intenso ed espressivo protolatino) per dare vita (non è ironico?) ad un qualcosa di nuovo e completamente inedito. Ed è proprio da una costola di questo Il primo re (e dalla mente innovativa di Matteo Rovere, qui in veste di showrunner) che nasce Romulus, serial originale Sky di dieci episodi che, così come la pellicola d'origine, intende narrare la nascita dell’Impero più vasto e potente della storia, discostandosi però da ogni forma di leggenda o mito primigenio e fondandosi, per contro, su radici storicamente, archeologicamente e antropologicamente comprovate. Ciò nonostante, la serie non vuole affatto rinunciare (e con cognizione di causa, diremmo) alla creazione di una nuova epica televisiva, contraddistinta da tutte quelle forme superstiziose, barbariche e animalesche che componevano e arricchivano miracolosamente il film del 2019.
Un rituale preparatorio, un segno degli Dei, un allontanamento, un tradimento, un’usurpazione, un giovane schiavo destinato ad incontrare e abbracciare il proprio destino di nome Wiros, un re che fu promesso e poi scalzato dal trono di nome Yemos e Ilia, la figlia dell’usurpatore che, guidata da una cieca vendetta, troverà forza nel dio Marte e nella dottrina della guerra. Questi gli elementi e i personaggi chiave, utili ad una prima introduzione nel mondo di Romulus. Un mondo in cui Roma non è che il sogno di una popolazione primitiva che abita i boschi. La civiltà è un’altra e risponde al nome di Alba Longa, città che, titolare della Lega latina, riunisce sotto il suo potere e influenza i trenta popoli/regni del Lazio del VIII secolo a.C. Già da queste prime righe di soggetto (e in confronto alla linearità e sintesi de Il primo re), è ben visibile come il team di sceneggiatori Rovere-Gravino-Iuculano si sia adattato e abbia valorizzato le intrinseche opportunità narrative e rappresentative offerte dal medium televisivo. Ciò che ne consegue è un vertiginoso ampliamento focale del “campo di gioco” e l’adozione di una struttura corale, fatta di personaggi e realtà diversi tra loro, quando non profondamente antitetici. Nello stesso episodio, possono quindi coesistere civiltà che, seppur avanzate e socialmente composite, appaiono ancora legate alla fede cieca e alla giustizia divina e popolazioni barbare e arretrate, ma non per questo arrendevoli di fronte alla vastità e potenza territoriale e militare dei loro soverchiatori (quelli di Alba). Il modo in cui queste due forme di vita, di pensiero, di culto verranno a scontrarsi, incontrarsi, unirsi e dividersi rappresenta il fulcro del racconto di Romulus che, come vedremo, purtroppo non sempre riesce a dare il meglio di sé e rispettare gli altissimi standard imposti dal proprio predecessore su pellicola.
Fin dal trailer e dalle immagini promozionali, Romulus è stata soprannominata e additata da molti come “il Game of Thrones italiano”. A tal riguardo, ci sentiamo di dissentire in toto, giacché i due serial, fin dalle proprie radici creative, si presentano come prodotti alquanto divergenti per contesto, intenti rappresentativi, atmosfere e (per il momento) longevità. Ci sembra infatti alquanto scorretto mettere a confronto una serie composta da otto stagioni con una appena esordita e non ancora oggetto di un forte e appropriato richiamo internazionale. Tuttavia, tale paragone acquisisce ragion d’essere, se ricondotto ad una questione di audacia e struttura narrativa. Invero, con questa prima serie di episodi, la serie Sky (e il suo universo) mostra tutte le carte in regola per affermarsi in qualità di nuova regina della televisione italiana, in seguito al tuttora corrente ed incontrastato dominio della pluripremiata e blasonata Gomorra. Inoltre, con Il trono di spade - in particolare con la sua prima stagione -, Romulus condivide un racconto che prende il via in modo abbastanza caotico, per poi trovare una quadra e crescere sempre più da metà stagione in poi. Lo spettatore dovrà di fatto attendere il quinto episodio prima di iniziare a comprendere realmente dove voglia andare a parare l’odissea fondativa di Wiros, Yemos, Ilia e dei personaggi loro collegati (per motivi politici, tribali o sanguigni). Malgrado questa confusione e caos (di nomi, luoghi e parentele), i primi episodi non appaiono affatto come meri riempitivi, quanto piuttosto come un concentrato di sequenze - storicamente plausibili e accertate - volte ad espandere la percezione del pubblico nei confronti della vastità e pluralità del Lazio arcaico e dei popoli che lo componevano (malgrado molti di questi regni e culture vengano relegati ad una mera citazione), mostrandone usi, costumi e credenze; un tessuto narrativo incentrato su una caratterizzazione calibrata e coerente dei personaggi e su un’ottima ed intrigante esposizione di eventi e fatti (primari e secondari) che comporranno e determineranno per intero il mosaico seriale.
Nonostante l’innovazione rappresentata dalla scelta (ripresa da Il primo re) di far recitare gli attori in protolatino - rendendo il tutto ancor più verace e coinvolgente - e dal pregevole lavoro di ricerca e ricostruzione storica, la scrittura di Romulus si dimostra, d’altro canto e in maniera lampante, profondamente derivativa e in debito con film, opere letterarie e mitologie precedenti e ben più note. Tuttavia, questa pare giungere ad un punto di svolta nel modo in cui riesce a rielaborare e contestualizzare tali ispirazioni e archetipi, costruendo pertanto un intreccio complesso e multiforme, ma sempre armonioso e congruente che, pur trattando temi e argomenti reiterati e tradizionali del genere storico e apparendo conseguentemente scontato e prevedibile in molti suoi risvolti, ne riabilita in toto qualità e valori. Tutto ciò, tolti gli ultimi due episodi, sia ben chiaro.
Dopo un nono capitolo abbastanza vacuo, utile solo ad un "riscaldamento" tensivo ed emotivo degli animi e alla preparazione di una mastodontica battaglia campale, gli autori optano per la strada più coraggiosa, che però si rivela essere anche la più fallace, dando origine ad un epilogo anticlimatico che sembra comprimere in 50 minuti risicati le storyline e gli eventi di due/tre puntate piene. Tra svolte semplicistiche, banali e forzate, cambiamenti troppo repentini dei personaggi e delle loro convinzioni, una sovrabbondanza di monologhi e dialoghi fin troppo inverosimili - a sfavore della resa dei conti promessa e imbastita nell’episodio prima - e una regia non sempre al massimo delle proprie capacità, Romulus si conclude con quello che pare essere un incubo su schermo, un’ora di contenuti costretti a forza, di tempi sbagliati e di pathos assente che, con un cliffhanger tanto scontato quanto nocivo, lascia aperta la porta ad una seconda stagione che speriamo cancelli cotanta mediocrità e approssimazione in sede di sceneggiatura.
Nonostante sulle note finali, Romulus si sbizzarrisca forse un po' troppo - tentando la strada della diplomazia ed incappando in una delle sue croci più gravi - non bisogna comunque trascurare gli innumerevoli e vigorosi pregi che, insieme a quanto citato sopra, ci aiutano a chiudere un occhio (uno solo però) su una lettera d’addio che non è proprio delle migliori. A tal proposito, è d’obbligo citare il lavoro di Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale, i quali, accompagnando e sostenendo Matteo Rovere in cabina di regia, inaugurano e assemblano un ricettacolo di sequenze visivamente e tecnicamente sensazionali. Infatti, malgrado alcune imprecisioni, scelte casuali nell’uso della camera a mano e una costruzione non sempre chiara dei momenti più action e concitati, queste colpiscono nel segno, riuscendo a sorprendere lo spettatore e mantenere la tensione sempre su livello medio-alti. Tale sorpresa e tensione è ribadita e sostenuta, in secondo luogo, dalla restante porzione del comparto tecnico-estetico, il quale vanta alcune delle più grandi maestranze del nostro cinema allo stato attuale. Unitamente al lavoro della macchina da presa, riescono dunque a ritagliarsi un proprio spazio di eccellenza e virtuosismo, una fotografia sublime - anche se molto più abbottonata e “artificiale” rispetto all’opera filmica di partenza -, una colonna sonora incalzante e sfruttata in modo oculato e funzionale e un ammirevole (e incoraggiante per il futuro dell’industria) parterre di interpreti, qui in alcune delle loro migliori performance.
Tra boschi minacciosi, caverne recondite e luogo di riti inconfessabili e città ancora lontane dai fasti della futura Roma Caput Mundi, Romulus racconta (come nel caso de Il primo re) una storia di genesi prima d’ora sconosciuta all’obiettivo della cinepresa e, di conseguenza, all’occhio dello spettatore - abituato da sempre a “partire dal capitolo successivo”, a ritrovarsi catapultato in una Roma che è già Impero, che è già civiltà, che è già Storia. Tuttavia, se il film del 2019 raccontava questa fondazione in base al mito e all'archetipo della lotta tra fratelli - reinterpretata e resa ancor più sporca e selvaggia -, il neonato serial opta invece per un’altra verità, forse più attendibile storicamente parlando, ma basata lo stesso sugli ideali di lotta sanguinaria, fede cieca e superstiziosa e fratellanza dualistica, che si converte poi in unione di popoli (uno boschivo, bestiale, animale che preme per stanziarsi ed evolversi; uno invece già civilizzato ma culturalmente arretrato e socialmente classista). Con Romulus, Matteo Rovere vede finalmente l’avverarsi di un sogno, il compimento - non senza qualche stortura - di un progetto transmediale, frutto di un immenso coraggio e forza di volontà che, secondo noi, ha ancora moltissimo da offrire e dimostrare al pubblico italiano. Non ci resta quindi che consigliarvi di prendere in mano il telecomando e riscoprire le v(n)ostre origini. Le origini dell’imperialismo. Le origini di Roma.