TITOLO ORIGINALE: Suburra - La serie
USCITA ITALIA: 30 ottobre 2020
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
GENERE: azione, drammatico, gangster
N. EPISODI: 6
DURATA MEDIA: 40-62 min
Sullo sfondo di un Giubileo Straordinario, Aureliano e Spadino devono scontrarsi contro l'ombra imponente di Samurai e il risveglio dal coma di Manfredi - intento a riprendere in mano il potere sottrattogli. Giunta alfine alla sua terza e ultima stagione, Suburra è pronta a sorprendere fan e spettatori con colpi di scena esplosivi ed una evoluzione strabiliante dei propri personaggi, assumendo inoltre una posizione chiara e diretta nei confronti sia del film di Sollima, sia dell’omonimo romanzo di Bonini e De Cataldo. Una stagione violenta, intensa e malinconica che, oltre a portare a compimento tutte le varie storyline aperte precedentemente, tratteggia una crisi del modello di gangster, un'emancipazione della figura femminile ed una sottotrama omosessuale mai invadenti ed estremamente interessanti. Un ottimo epilogo, nonostante gli evidenti difetti.
Solo Roma è eterna, nessuno vive per sempre. Questo è il concetto fondamentale su cui si fondava il magnifico Suburra (2015) di Stefano Sollima e con cui spettatori e fan di Suburra - La serie - prima produzione italiana originale Netflix - hanno imparato a convivere. Giunta alfine alla sua terza ed ultima stagione, quest’ultima è pronta a sorprendere il proprio pubblico, prendendo decisioni drastiche e dimostrando, ancora una volta e ancor meglio che nelle sue precedenti iterazioni, i vantaggi intrinsechi - a livello di affiliazione, identificazione e partecipazione alla vicenda e al percorso dei suoi personaggi - del medium televisivo, rispetto al racconto cinematografico (obbligato ad esaurirsi e dare tutto ciò che ha da offrire in un paio di ore). Non fraintendetemi, ciò non presuppone alcuna preferenza o importanza maggioritaria nei confronti di nessuno dei due tipi di approccio alla scrittura. Tuttavia, è quasi lapalissiano affermare che, se paragonato al cinema, lo streaming seriale disponga di più calma e respiro nell’imbastitura e sviluppo di una storia. Tutto ciò presenta, però, anche degli svantaggi, poiché, se, al cinema, la trama deve essere elaborata e definita obbligatoriamente nella maniera più densa e piena possibile, lo show televisivo e il suo racconto possono correre il rischio di convertirsi in un “allungamento del brodo” dispersivo e pretestuoso.
Fortunatamente, non è questo il caso di Suburra - La serie - vero e proprio vanto italiano nel mondo, insieme ad altri prodotti come Gomorra, The Young Pope e L’amica geniale - che, fin dalle prime puntate della scorsa stagione, ha sempre cercato di aggiungere qualcosa di nuovo a quanto consolidato precedentemente. In questo processo di addizione e costante rinnovamento, è compresa anche l’uccisione di personaggi importanti come Livia e Lele, che - sacrificati, in modo abbastanza brutale e psicologicamente violento, nella stagione precedente - rappresentano in pieno proprio quella dicotomia eternità-mortalità, illustrata in apertura d’articolo. Dicotomia che, mai come in Suburra 3, è stata tanto evidente. Dopo una prima stagione dagli intenti e atmosfere ammirevoli, ma ancora narrativamente acerba, e una seconda che - con colpi di scena sbalorditivi, un ritmo indiavolato ed un finale promettente - alzava ulteriormente l’asticella qualitativa generale; con questa terza serie di episodi, gli autori dello show non si sono smentiti, conformandosi ed intensificando egregiamente gli standard imposti dai 18 capitoli precedenti. Ciò nonostante, questi hanno conservato per sé un paio di sorprese e stravolgimenti formali e narrativi, che attendono soltanto lo spettatore per palesarsi in tutta la loro forza o fragilità.
In questa terza manche di intrighi e tradimenti (di potere) tra Mafia, Stato e Chiesa, l’alleanza appena costituitasi fra “er criminale de Ostia” Aureliano Adami (Alessandro Borghi), lo zingaro Spadino (Giacomo Ferrara) e il politico Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro) dovrà scontrarsi, da un lato, con l’ombra imponente di Samurai (Francesco Acquaroli) - criminale freddo e calcolatore, appartenente alla fu banda della Magliana e garante dei rapporti tra le varie famiglie malavitose di Roma e quelle del sud Italia -, dall’altro, con il risveglio dal coma (in cui era finito dopo lo scontro con Aureliano) di Manfredi (Adamo Dionisi) - ex-capo degli zingari, nonché fratello di Spadino. Il tutto, sullo sfondo di un Giubileo Straordinario indetto dal Papa che potrebbe portare un sacco di introiti nelle casse di Roma e, di conseguenza, delle organizzazioni criminali locali. Premesse esplosive e dagli esiti potenzialmente brutali sono il punto di partenza di una stagione conclusiva peculiare - per numero di episodi (solo sei, rispetto ai canonici otto o dieci) e ritmo atipico, talora intimista - che, come da tradizione, fonda gran parte della propria riuscita su un parterre variegato e composito di caratteri, indoli e personalità in costante evoluzione. Personaggi come Spadino, Cinaglia, Angelica, Nadia, addirittura il cardinale Nascari, in Suburra 3, registrano infatti uno sviluppo coerente, inaspettato e, spesso, veramente strabiliante, imponendo pertanto una continua transizione del punto di vista e conseguentemente dell’immedesimazione del pubblico. In questo modo, lo spettatore si potrebbe ritrovare dapprima (magari) a spalleggiare Spadino e detestare Cinaglia, per poi ritrovarsi, a metà o fine stagione, ad abbracciare posizioni completamente invertite.
Tale dinamismo di focalizzazione è però figlio, innanzitutto, di un processo, presente e attivo fin dai primi episodi della serie, di apparente standardizzazione caratteriale e costruttiva dei personaggi: in Suburra, tutti sono criminali, tutti hanno dei lati oscuri, nessuno è un santo, nemmeno la Santa Chiesa; Suburra è un mosaico di criminalità che non conosce pudore o umanità. Ciò nonostante, già dalla scorsa stagione, la serie ha imboccato un bivio narrativo che, mediante un’introspezione psicologica ed esplorazione dei vari background, ha condotto ad una progressiva umanizzazione di ogni singola pedina del racconto (culminante nella conversione “al lato oscuro” - da manuale - di Cinaglia e nello stesso finale di questa terza stagione). Questa crisi del modello del gangster coincide ed è completata da un discorso emancipatorio, insolito e mai troppo ingombrante, nei riguardi della figura femminile nel genere crime-gangster - quasi sempre relegata al ruolo di femme fatale o di personaggio di contorno come, per esempio, “la donna (mia)” del malavitoso -; e da una sottotrama omosessuale, con toni da bromance, tra Aureliano e Spadino - già introdotta precedentemente - che, in questa tornata di episodi, raggiunge il suo vero picco emotivo. A ciò si unisce, in ultima battuta, la trattazione di tematiche quali il rapporto padre-figlio - naturale, acquisito o celato -, il significato di fratellanza - sanguigna o amichevole -, la distinzione tra equilibrio e sete di potere e il dominio del nuovo, del giovane a scapito del passato, del vecchio.
A metà tra prequel e reboot, la terza stagione di Suburra, dopo anni di incognite e dubbi in merito alla propria parentela ed eredità, assume finalmente una posizione chiara e diretta nei confronti sia del film di Sollima, sia dell’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, configurandosi come prodotto autonomo, distaccato e totalmente indipendente. Ciò che ne consegue è una libertà decisionale smisurata, in merito tanto all’evoluzione caratteriale dei personaggi, quanto allo sviluppo delle loro rispettive storyline. Tale libertà ha inoltre, come beneficio primario, l’ipotesi e la genesi di colpi di scena sbalorditivi e sconvolgenti, che sarebbero praticamente insostenibili, se inquadrati e contestualizzati nella continuity e negli avvenimenti di libro e pellicola.
Tuttavia, questa sequela di stravolgimenti narrativi e pregi fattuali deve pagare pegno di fronte a qualche piccolo e innocuo scivolone che, alle volte, rischia di rovinare complessivamente l’esperienza di visione. Lacune quasi impercettibili, anche se reiterate, come, ad esempio, l’incostanza ritmica che, di tanto in tanto, imperversa tra un episodio e l’altro - soprattutto nella sezione centrale -; la mancanza di momenti di raccordo e comprensione delle varie dinamiche (più volte si ha l'idea di uno svolgimento frettoloso e meccanico) e l’inutilità di certi personaggi secondari, spesso liquidati troppo frettolosamente. Malgrado ciò, sarebbe ingiusto definire Suburra 3 un prodotto problematico, dal momento che suddetti difetti - se confrontati con un racconto solido e sfrontato, che intrattiene e solletica a più riprese le corde emotive del pubblico, e, in particolar modo, con una caratterizzazione consapevole e strepitosa - non sono che gocce di superficialità in un mare di sensibilità e coscienza. Ultimi, ma non per importanza, un comparto tecnico all’altezza delle recenti produzioni Netflix - seppur abbastanza subordinato all’istanza narrativa - e un cast eccezionale compongono ed elevano ancor più la qualità di una terza stagione violenta, attuale, intensa, coraggiosa, quasi cinica e nostalgica in chiusura. In definitiva, Suburra 3 è il canto del cigno di una delle serie che, ispirata da successi come Romanzo criminale e i sopracitati Gomorra e The Young Pope, ha mostrato all’Italia - prima che al mondo intero - la plausibilità di una dimensione seriale “all’americana” anche nel nostro panorama televisivo. Dunque, non mi rimane nient’altro da dire, se non “ammazza che finale”!