TITOLO ORIGINALE: Mulan
USCITA ITALIA: 4 settembre 2020
USCITA USA: 4 settembre 2020
REGIA: Niki Caro
SCENEGGIATURA: Elizabeth Martin, Lauren Hynek, Rick Jaffa e Amanda Silver
GENERE: drammatico, azione, avventura
PIATTAFORMA: Disney+
Il remake live action del classico d’animazione del 1998, ispirato alla leggenda cinese di Hua Mulan. In seguito ad un processo distributivo abbastanza travagliato e pieno di controversie, è ora disponibile su Disney+ - in Accesso VIP a 21,99€ - il tanto atteso Mulan di Niki Caro che, volendo sia soddisfare i nostalgici sia celebrare uno dei racconti più famosi della tradizione cinese, segna una sorta di primo verdetto sull’utilità e necessità di questa prima serie di rifacimenti moderni. Una sceneggiatura claudicante e approssimativa - caratterizzata dall'eliminazione di personaggi amati come Mushu e della componente musical del film originale - sostiene un’impalcatura filmica non proprio ottimale, composta da una regia riconoscibile ma ridondante, un montaggio fin troppo dinamico ed un ritmo snervante ed irregolare. Un wuxia in salsa disneyana superfluo e pretenzioso che delude, annoia ed esaurisce la propria memorabilità poche ore dopo la visione.
“Il re leone (2019), a parer mio, non è altro che una mera trovata commerciale per far ritornare in sala fan e amanti del cartone e sbancare il botteghino. [...] L’effetto nostalgia funziona? Sì, ma in parte. Superati i primi brividi, ci si confronta infatti con una CGI asettica che raggiunge i propri scopi, ma non incontra il cuore dello spettatore - il quale uscirà dalla sala, chiedendosi inevitabilmente se ciò che ha appena visto non fosse nient’altro che l’originale camuffato dietro una veste grafica moderna”. Ciò che avete appena letto sono le ultime righe della recensione che realizzai, nel lontano settembre 2019, a proposito del remake in live action di Jon Favreau del classico d’animazione con protagonisti Simba & co. L’articolo si concludeva però con una domanda strettamente legata all’argomento in oggetto e riguardante la rimozione del simpatico ed esilarante Mushu nell'allora futuro rifacimento dell’altrettanto noto Mulan (1998). Nonostante abbia all'attivo due visioni dell’ultima fatica Disney, vi confesso però che questo quesito non ha ugualmente trovato risposta. Iniziamo dunque a parlare, in modo concreto e approfondito, del film che, succedendo all'adorabile e piacevole Lilli e il Vagabondo (2019), segna una sorta di punto di non ritorno e primo verdetto sull’utilità e necessità di questa prima tranche di remake.
Dietro la macchina da presa, la neozelandese Niki Caro - già regista di pellicole come La signora dello zoo di Varsavia (2017) -, qui al suo primo approccio con un prodotto di casa Disney. Allo stesso modo dei suoi predecessori, anche in Mulan, la visione registica viene completamente subordinata e votata alla creazione di un’esperienza narrativo-centrica, in cui la macchina da presa dispone di pochissime, se non nulle, possibilità di emergere. Tuttavia, a differenza dell’approccio citazionista e profondamente affettivo di Favreau nel summenzionato Il re leone (2019), nella direzione del racconto dell’eroina guerriera, Niki Caro riesce ad arricchire la propria costruzione filmica con un’impronta personale sommariamente riconoscibile e pulsante. Ciò nonostante, alcune sequenze appaiono paralizzate da soluzioni registiche e post-produttive che hanno, come unico risultato, la più totale e confusionaria dispersione. Mi riferisco, in particolar modo, ai vari frammenti action che, tra rallenti casuali e fuori luogo, ridondanze nei movimenti di macchina e un montaggio fin troppo cinetico, rappresentano, in tutto e per tutto, il cuore intrattenente ed “emozionante” su cui si fonda l’intera pellicola. Suddetto cuore viene però minato da una caratterizzazione generale così semplice ed accomodante da sfociare nella più annoiata e monotona indifferenza nei confronti sia degli eventi che del destino stesso dei personaggi.
Con l’eliminazione di Mushu e delle sequenze riservate agli spiriti degli antenati e alle parti cantate, la pre-produzione di Mulan sembrava voler staccarsi - almeno parzialmente - dalla pellicola d’animazione del 1998, adottando, come fonte di ispirazione primaria, la leggenda dell’eroina guerriera narrata nel famoso poema cinese La ballata di Mulan. Ad una prima occhiata, il film di Niki Caro si configurava pertanto come un’opera matura e di impronta storico-realistica che, facendo leva sulla notorietà del film originale, intendeva sia compiacere fan e nostalgici sia celebrare e trasporre su schermo quello stesso racconto che, sul finire del secolo scorso, ispirò il tanto amato classico Disney. Peccato soltanto che ogni parola soprascritta non rispecchi minimamente ciò che, in realtà, è Mulan, il quale, affetto da una sceneggiatura claudicante e approssimativa, si mostra al pubblico come un prodotto instabile che non riesce a bilanciare correttamente tutte le proprie componenti. Infatti, contrariamente agli intenti iniziali, questo realismo e storicità sono soltanto il punto di partenza di un racconto fondato quasi unicamente sull'elemento fantastico - centrale nel Mulan del 1998 - e su una continua sospensione dell’incredulità.
Fenici svolazzanti, streghe mutaforma, superpoteri innati e combattimenti dalle dinamiche surreali sono soltanto alcuni dei cambiamenti che la pellicola apporta tanto al classico d’animazione quanto all'originaria leggenda cinese. Tuttavia, narrativamente parlando, queste modifiche sono così casuali ed ingiustificate da convertirsi ben presto in una mera banalizzazione di crismi e principi della cultura e tradizione cinese e in una giustificazione pretestuosa di esistenza ed utilità del remake in questione. Ad affondare definitivamente la buona riuscita del prodotto, una trattazione ridondante e fin troppo trattenuta della tematica femminista - portata avanti mediante un appiattimento caratteriale ed evolutivo di quasi tutti i personaggi maschili ed una sottotrama dagli sviluppi inverosimili che coinvolge la stessa protagonista e la “malvagia” strega Xian Lang -, villain praticamente inesistenti, molteplici forzature ed un combattimento finale anti-climatico e dalle meccaniche imbarazzanti.
Non bastano perciò la riproposizione, in forma strumentale, di temi musicali storici e caratteristici che tutti amano e ricordano, un cast in parte e complessivamente ispirato, ambientazioni suggestive e d’atmosfera ed una fotografia senza infamia e senza lode a riabilitare e fare di Mulan un film riuscito. Infatti, nonostante i lati positivi, la pellicola fatica a decollare e spiccare il volo, immobilizzata sotto il peso di una scrittura squilibrata che, volendo, al contempo, innovare e soddisfare il pubblico, finisce per venir meno alle proprie intenzioni originali, sequenze d’azione ridondanti e prive di guizzi creativi degni di nota, inutili mancanze di personaggi iconici ed un ritmo snervante ed irregolare. Un film scialbo ed insipido che vi farà venir voglia di rivedere - o vedere per la prima volta - il classico d’animazione da cui prende (solo) il titolo. L’ultimo di una lunga serie di remake live action che, pensati come costose e nostalgiche macchine del tempo, raramente raggiungono le stesse vette emotive, oltre che qualitative, dei leggendari prodotti di animazione che tentano di trasporre. Un wuxia in salsa disneyana superfluo e pretenzioso che delude, annoia ed esaurisce la propria memorabilità poche ore dopo la visione.