TITOLO ORIGINALE: Shutter Island
USCITA ITALIA: 5 marzo 2010
USCITA USA: 19 febbraio 2010
REGIA: Martin Scorsese
SCENEGGIATURA: Laeta Kalogridis
GENERE: thriller, noir
Due agenti federali vengono inviati al complesso psichiatrico criminale sull’isola di Shutter per indagare sulla strana scomparsa di una figlicida estremamente pericolosa. Pur partendo da ottime premesse narrative e avendo dalla sua un comparto tecnico di tutto rispetto, composto da una regia solida, un montaggio nervoso, una fotografia saturata ed una colonna sonora ansiogena, Shutter Island si perde in labirinti narrativi ridondanti e sminuenti, configurandosi come la pellicola più dimenticabile della produzione scorsesiana recente.
1954. Al largo del porto di Boston. Due agenti federali, Edward Daniels e Chuck Aule, vengono inviati al Ashecliffe Hospital, ospedale psichiatrico situato sulla rocciosa e imponente Shutter Island. Su quest’isola e, nello specifico, nel complesso di Ashecliffe, vengono presi in cura assassini e persone violente malate di mente. Appena arrivati, i due notano che il personale dell’isola è con i nervi a fior di pelle. Questo perché, di recente - ecco il motivo per cui i poliziotti si trovano lì -, è scappata dalla sua stanza e svanita nel nulla Rachel Solando, una paziente estremamente pericolosa, colpevole di aver affogato i suoi tre figli. Le meccaniche della fuga e la morfologia e posizione dell’isola appaiono fin troppo inverosimili all’agente Daniels che, fin da subito, rileva, sia nel personale che negli internati, una certa riluttanza a fornire risposte e a parlare dell’argomento. Tutto ciò, unito al consiglio di fuggire il prima possibile dall'isola, al sospetto di spietate operazioni mediche effettuate all'interno del complesso e a tanti altri piccoli dettagli, iniziano ad insospettire Edward che, giunto sul posto per ragioni tutt’altro che professionali, tenterà a tutti i costi di scoprire (e rendere pubblica) la verità disumana e oscura che si cela nei meandri di Shutter Island.
Quattro anni dopo aver diretto l’infiltrazione di Billy Costigan nel clan mafioso di Frank Costello e aver trattato, come da tradizione, la primigenia ed arcaica lotta tra bene e male in The Departed, Martin Scorsese, con Shutter Island, riprende toni ed atmosfere maggiormente introspettive e psicologiche, ma non per questo meno esplosive. Oltre che su un intreccio - di cui tratteremo tra qualche riga - che fa del twist il suo mantra principale, la pellicola fonda gran parte della propria riuscita su una costante e lacerante tensione che accompagna ed intrattiene lo spettatore per tutta la sua durata. Come da tradizione, anche una regia poco ispirata di Scorsese è una direzione al di sopra di qualsiasi standard o convenzionalità. Nel caso di Shutter Island, parliamo di una visione registica quasi unicamente fondata sulla caratterizzazione visiva ed espressività dei personaggi e sulla resa delle ambientazioni che, insieme, sorreggono e puntellano suspense e fini narrativi dell’opera. Come se non bastasse, fin dal primo istante, il cineasta riesce a gestire sapientemente e in modo preciso i tempi e la scelta delle inquadrature, atti ad instillare nel pubblico quanta più tensione e claustrofobia possibile.
Un plauso speciale è da dedicare inoltre alle scenografie e alla loro efficacia - al limite del reale, con rimandi al cinema di Carpenter e al filone noir, composte da interni soffocanti ed esterni opprimenti trattati come interni - che da sé fanno metà dell’impatto del film. Tornando alla regia, oltre che a Carpenter, Scorsese torna, almeno a livello di inquietudine ed angoscia, alle atmosfere del sottovalutato Cape Fear, dando vita a sequenze che lasciano campo libero ad influenze da horror classico e disturbante, ma, proprio per questo motivo, forse fin troppo scontate. Chiudono un comparto tecnico degno di nota, una fotografia saturata e volutamente finta per sottolineare il costante gioco di realtà e finzione su cui si costruisce tutto il racconto, un montaggio discontinuo nervoso e tormentato ed una colonna sonora - composta da brani di musica classica e contemporanea - efficace e coerente con le atmosfere della pellicola.
Sfortunatamente, le reali problematiche del film iniziano a palesarsi analizzando la sceneggiatura di Laeta Kalogridis, basata sul romanzo L’isola della paura di Dennis Lehane. Una caratterizzazione solida dei personaggi, un prologo accattivante che mette moltissima carne al fuoco, una disamina - fin troppo marginale - di temi etico-morali e religiosi che potrebbero rientrare in pieno nella poetica del cinema scorsesiano, un twist che, all’epoca dell’uscita originale, fece saltare non poche persone sulla poltroncina e dialoghi sommariamente memorabili arricchiscono un racconto incentrato fondamentalmente sull’esperienza dello stress post-traumatico e sulle conseguenze che può avere sulla mente umana.
Credete che la follia sia contagiosa?
Edward Daniels (Leonardo DiCaprio)
Se la follia è uno dei nuclei tematici della narrazione, allo stesso tempo, sono quantomeno folli alcuni degli scivoloni e cadute di stile che compongono la sceneggiatura di Shutter Island. Tra questi, alcuni momenti fin troppo artefatti, letterari e didascalici, basati sostanzialmente sui tanto odiati “spiegoni” - andando così a bloccare temporaneamente e completamente il fluire della tensione e il ritmo certosino con cui vengono inanellati gli eventi -, un gigantesco buco di logica legato al vero motivo per cui Edward si trova su Shutter Island e un paio di soluzioni narrative, alla lunga, ridondanti ed ampollose che non fanno altro che abbattere vertiginosamente la qualità e la riuscita finale dell’intero progetto. A bilanciare questa scrittura, costantemente divisa tra luce ed ombra, un cast ben assortito, capitanato da un Leonardo DiCaprio perfettamente calato nel ruolo.
In definitiva, pur partendo da ottime premesse, ricollegandosi al tema dello specchio e del contrasto tra realtà e finzione, verità e bugia - centrale inThe Departed - e avendo dalla sua un comparto tecnico ed attoriale di tutto rispetto, purtroppo Shutter Island non presenta quella solidità ed ingegno che hanno fatto del suo predecessore un poliziesco/dramma/thriller così incisivo e graffiante. Al contrario, il film cade di continuo in discontinuità ritmiche tangibili, forzature ingenue che spezzano la magia del racconto e frammenti che ricordano fin troppo la poetica ed estetica nolaniana. Recuperando atmosfere e tensione dall’ottimo Cape Fear, rimanendo però bloccato nell’anima da blockbuster di The Departed, Shutter Island si configura quindi come l’opera più dimenticabile della produzione scorsesiana recente.