TITOLO ORIGINALE: The Exorcist: Believer
USCITA ITALIA: 5 ottobre 2023
USCITA USA: 6 ottobre 2023
REGIA: David Gordon Green
SCENEGGIATURA: David Gordon Green, Peter Sattler
CON: Leslie Odom Jr., Lidya Jewett, Ann Dowd, Jennifer Nettles, Ellen Burstyn
GENERE: horror, thriller
DURATA: 121 min
Dopo aver resuscitato e messo in discussione la leggenda e il maligno Michael Myers nella trilogia requel di Halloween, David Gordon Green tenta di fare praticamente lo stesso con un'istituzione horror ancor più importante ed epocale per la storia del cinema. L'esorcista - Il credente si pone a giusta distanza dal capolavoro di William Friedkin, comprende quello che, in termini filmici, ne ha sancito la potenza e il successo, e dà vita ad una pellicola che tratta di un male soprannaturale per smascherare il vero volto del male. Il vero male, più insidioso e concreto di quel che pensiamo.
A volte, “per andare avanti, bisogna tornare indietro” si dice, ad un certo punto, ne L’esorcista - Il credente di David Gordon Green. Che dopo aver resuscitato Michael Myers e la sua altra faccia, Laurie Strode, nella trilogia requel (il bel Halloween e i deludenti Halloween Kills e Halloween Ends) del cult horror di John Carpenter, intende fare praticamente la stessa cosa con un caposaldo forse ancor più grande, importante, epocale per la cinematografia del brivido e del terrore, e non solo.
Stiamo parlando, appunto, del 2001: Odissea nello spazio del genere horror; della pellicola che ha nobilitato questo filone, che gli ha permesso finalmente di disfarsi della nomea di cinema di secondo livello, di serie B, di bassa lega e portarlo ad essere una realtà artistica ed estetica capace di ambire e, pur limitatamente, di vincere degli Oscar. Banalmente, senza L’esorcista di William Friedkin - un capolavoro senza se e senza ma che, rivisto oggi, con la consapevolezza della sua lavorazione, di quello che è stato e di quello che ne sarebbe seguito, pare davvero l’opera, il parto, la macchinazione di qualcosa di soprannaturale, inspiegabile, inquietante, evanescente, sia esso il destino, il diavolo o che per loro - non esisterebbe Halloween di John Carpenter, così come non esisterebbero tutte le serie e i franchise dell’orrore che hanno infestato e continuano ad infestare la fucina hollywoodiana dagli anni ‘70 fino ad arrivare ad oggi.
Il lavoro dietrologico e filologico che compie Gordon Green è quindi doppio e rivolto, in primis, proprio verso la sua filmografia e la storiografia del cinema di cui egli, come tutti, è un incallito appassionato. In secondo luogo, sceglie di omaggiare il film di Friedkin - nel cinquantenario dell’uscita e, ahinoi, nell’anno della scomparsa di quest’ultimo - non tanto con un’operazione di blando remixing, di mera nostalgia o, più precisamente, di una riproposizione facile e lusinghevole di citazioni, di luoghi comuni e di situazioni note.
No, con L’esorcista - Il credente, il regista dimostra di aver compreso che quel che ha reso unico ed irripetibile il capolavoro di Friedkin è il suo assetto totalmente realistico (per quanto possibile), il suo sguardo metodico, razionale, logico di fronte alla massima espressione dell'irrazionalità. In altre parole, non si possono scindere gli effetti tensivi, emotivi, sensibili de L’esorcista dalla maniera in cui il cineasta li ha costruiti, voluti e cercati. Gordon Green dà vita quindi ad una pellicola fedele, filologica, calligrafica, rispettosa, restaurativa, nel senso di un rifacimento preciso e puntuale del passo, dei ritmi e della scansione narrativa dell’originale.
E quindi: il prologo in un paese tropicale (lì l’Iraq del Nord, qui le Hawaii), culla di credenze assimilabili a superstizioni e di forze occulte ed esoteriche, e poi la liberazione di un male recondito dai riecheggi biblici (in questo film meno intellettuale e più grafica, effettistica, esplosiva), ellissi, la descrizione dell’ambiente domestico, i sintomi di un alito maligno che si infila subliminalmente nella quotidianità, la possessione, l’indagine (non più solo di un genitore) sulle possibili soluzioni, gli esami e i consulti di medici e psichiatri, fino ad arrivare alla soluzione finale - ovvero all’accettazione dell’esistenza di un ultraterreno che perturba e tiene in assedio le nostre vite in attesa di un nostro momento di debolezza - e all’esorcismo vero e proprio. Ciò detto, potreste pensare allora che L’esorcista - Il credente sia solo ed esclusivamente una copia-carbone del film titolare, magari efficace ed efficiente nel seguire un itinerario già prestabilito, dotato giusto di qualche variazione - come il fatto che, ad essere possedute questa volta, siano ben due bambine - per non apparire del tutto come un plagio.
Al contrario, Gordon Green fa qualcosa di simile nello spirito e negli intenti, seppur diametralmente diverso nella profondità, a quanto sperimentato nel suo primissimo Halloween, il quale, prendendo in prestito le parole di Francesco Alò, è un film che ragiona sul mito e sulla leggenda inserita nell’attualità diegetica alla stregua di quanto fece John Ford ne L'uomo che uccise Liberty Valance. Egli infatti sveste, ma non per questo priva il male della sua aura più fantastica ed extra-ordinaria, al fine di calarlo e renderlo pressoché il “male minore” utile a smascherare quella che è la vera faccia del male, il vero male. Molto più umano, più concreto, terreno, vicino a noi di quel che pensiamo. Un male che informa il nostro vivere sociale e quotidiano, che si insidia, peggio di qualsiasi demone di sorta, nei piccoli gesti, anche in una stretta di mano, nel dubbio, nelle sottili forme di discriminazione, nella scelta di indossare qualcosa di estraneo al collo.
Giocandoci su, L’esorcista - Il credente inserisce quindi la mitologia fondata da William Peter Blatty - poi amplificata, impressa e consacrata definitivamente da Friedkin nell’immaginario collettivo - in un contesto di comunità, di microcosmo à la Twin Peaks, rappresentativo di un paese, di una nazione e dei suoi nodi tutt’oggi irrisolti. E si dovrà ritornare indietro, alle origini, si dovranno riscoprire principi, cause ed effetti di quel male, per esorcizzarlo - si spera - una volta per tutte.
Sulla base di questa visione e di questa idea, l’atto dell'esorcismo perde i suoi codici rituali, la sua punteggiatura, la sua aura di pratica esclusiva, riservata a pochi, autentici esecutori, trasformandosi in qualcosa di condiviso, collettivo, democratico, trasversale, laico, fondato sull’interdipendenza, sull’interconnessione e sulla fede incondizionata dei partecipanti, e che prescinde dalla religione, dal credo, delle sovrastrutture, dai costrutti, dai nomi e dalle fedi che gli uomini hanno costruito, in cui hanno creduto e da cui si sono sentiti confortati (come ricorda uno scambio di battute dagli intenti quasi teologici).
È questa la particolarità più interessante e forse anche l’unica, assieme alla direzione molto politica che sembra intraprenderanno i prossimi due capitoli, di una pellicola che si pone alla giusta distanza dall’originale, perché sa che è praticamente impossibile ripeterne la grandezza, la potenza e il carattere rivoluzionario. Un'opera, Il credente, certo non perfetta, che allunga a dismisura il finale, che, a differenza di Halloween, indugia fin troppo sul suo essere serializzato e sulla costruzione di un cliffhanger, in fondo, abbastanza elementare, e che soprattutto ha un rapporto poco stimolante nel legame con una delle vecchie protagoniste del capolavoro di William Friedkin.
Pur riuscendo a malapena a muovere qualche passo, Ellen Burstyn torna invero a vestire i panni di Chris MacNeil, la quale, nel frattempo, è divenuta nota per un libro in cui racconta la sua esperienza di madre ed è ora tra le maggiori esperte della pratica dell’esorcismo nel tempo, nelle culture e nelle religioni. Purtroppo, la sua presenza e questa profonda conoscenza sono a malapena valorizzate da L’esorcista - Il credente. Anzi, sembrano materia di un altro film, una costola inserita a forza (come alcune battute che pronuncia) più per giustificare il proprio sforzo o semplicemente per opportunità, dopotutto irrisorie, trascurabili e nemmeno così utili ai fini del rito. Quasi più un pretesto per permettersi ed innescare le iconiche ed immortali melodie minimaliste di Tubular Bells. To be continued…
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