TITOLO ORIGINALE: Mission: Impossible Dead Reckoning - Part One
USCITA ITALIA: 12 luglio 2023
USCITA USA: 12 luglio 2023
REGIA: Christopher McQuarrie
SCENEGGIATURA: Christopher McQuarrie, Erik Jendresen
CON: Tom Cruise, Hayley Atwell, Ving Rhames, Simon Pegg, Rebecca Ferguson, Vanessa Kirby, Henry Czerny, Frederick Schmidt
GENERE: azione, avventura, thriller, spionaggio
DURATA: 163 min
Tom Cruise torna nei panni dell'agente segreto Ethan Hunt nel settimo capitolo di una delle saghe più importanti, celebrate, mature e teoriche. Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte Uno riprende il filo di Protocollo fantasma, Rogue Nation, Fallout, ma soprattutto Top Gun: Maverick e dà vita ad un'altra, adrenalinica corsa in giro per il mondo e contro il fluire beffardo ed indolente del tempo che ritrova e celebra nuovamente il perfetto ossimoro alla base del franchise sin dai tempi del primissimo film di Brian DePalma.
Prende il via dallo “stato dell'arte della guerra” lo stato dell’arte del blockbuster contemporaneo. Sì, mettiamolo subito bene in chiaro: Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte Uno è per chi scrive uno dei massimi, più nobili ed affascinanti vertici mai lambiti dal cinema di larghissimo consumo.
L’ultimo passo di una lunga sequenza di opere tutte riconducibili, devote e consacrate ad un’idea di cinema che pone sempre al primo piano la sua missione (che, vista la saturazione e ridondanza del mercato e della proposta audiovisiva odierni, è ardua, se non proprio impossibile) di affabulazione, intrattenimento, spettacolo e divertimento, ma che, all’interno e nei confini estetici ed espressivi di questo impegno ed autoinvestitura, riesce a librarsi e concedersi vezzi, ossessioni e discorsi tipicamente (anacronisticamente?) e maggiormente riportabili a terreni più autoriali.
Per riassumere tutto questo, basterebbero un nome ed un cognome: Tom Cruise, che, film dopo film, in parallelo ad una progressiva ed attenta autoanalisi della propria immagine divistica, ad una comprensione e presa di coscienza profonde della sua forza di attrazione nell’immaginario collettivo; è assurto alla figura rara e allo sfaccettato ruolo di “prodauttore” [Roy Menarini].
Egli non solo è ed è stato, sin dai tempi (non sospetti) dei primi Mission: Impossibile, un cauto ed attento produttore dei testi e dei progetti che meglio e più sono ed erano capaci di valorizzare la propria cifra espressiva (come corpo e corpus cinematografico), ma pian piano si è trasformato anche, a tutti gli effetti, in una delle personalità decisive ed imprescindibili per ogni produzione che ne adotta il volto e che - va da sé - ne sfrutta l’aura divistica.
Cruise è infine riuscito (specie dopo l’inatteso riconoscimento della Palma d’oro alla carriera) ad affermare questa sua presenza proteiforme negli equilibri e nei destini della macchina hollywoodiana, trasformandosi pertanto nel regista e nello sceneggiatore di sé stesso e della sua maschera pubblica, e focalizzandosi, in particolare modo, nella riproposizione ostinata, senza grandi aggiustamenti, variazioni od adattamenti di sorta, di un modello eroico straordinariamente ordinario, come scrive Marzia Gandolfi, “perfezionato per la prodezza e il successo”. Così facendo, è diventato eccezionale “agli occhi del pubblico, il quale ha compreso che non c’è più differenza tra quello che accade sullo schermo e quello che è avvenuto sul set, che Ethan Hunt non esiste davvero, che dietro a lui c’è soltanto Tom Cruise”.
Una statura spettacolosa, questa, che il divo mantiene con precisione ed irreprensibilità ogniqualvolta decide di sostenere, proporsi e sottoporsi ad un rapporto con l’occhio (del) pubblico, indipendentemente dalla circostanza, dal luogo e della forma.
Superando però l’interessante fenomenologia di colui che, oggi a maggior ragione, figura quale il vero Last Action Hero che Hollywood può o, meglio, sembra possa permettersi, torniamo allo “stato dell’arte” e a Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte Uno, settimo addendo dell’ultradecennale corsa dell’inossidabile Ethan Hunt. E torniamo perciò alla sua stretta parentela non tanto con i due capitoli precedenti, Rogue Nation e Fallout, entrambi a firma del (di Cruise) amico, prezioso complice e sodale collaboratore Christopher McQuarrie; quanto piuttosto con Top Gun: Maverick - che è poi la pellicola grazie a cui il nostro “prodauttore” ha potuto sfilare sulla croisette cannense, stabilendo e stabilizzando un percorso creativo e produttivo che aveva già qualche natale sulle spalle.
Difatti, è con quel film che quest’ultima iterazione della serie dimostra più elementi in comune. È nello stesso contesto distributivo, di esercizio ed esperienza cinematografica incontrovertibilmente stravolti e ridefiniti dalla pandemia, che fa la sua comparsa questo settimo episodio. Ed è quindi da esigenze del tutto compatibili ed intercambiabili che hanno origine e a cui rispondono ambo i progetti, a riconferma del fatto che è la coerenza teorica e tematica di fondo quel che contraddistingue, definisce tutte le pellicole “di (e non solo con) Tom Cruise”, che, di padri, ne hanno tanti, ma, di mente e filosofia, una sola.
Scritto e prodotto, non a caso, anche dallo stesso McQuarrie, Top Gun: Maverick metteva infatti al centro di un’eccellente e fortunatissima Mission: Nostalgia un discorso sfacciatamente e romanticamente umanista sull’importanza del corpo, della sua presenza e delle emozioni uniche, autentiche, inimitabili ad essi (e alla visione sul grande schermo) annessi e connessi, in un mondo (e in un’industria) che predilige e sta sostituendo questi stessi corpi con l’automazione. O, in termini più prettamente cinematografici, che sta operando una standardizzazione concettuale, ancor prima che estetica; che sta lasciando campo libero ad un’invasione sempre più massiccia ed inquietante degli effetti visivi digitali.
Viceversa, in Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte Uno, la presenza, se non proprio l’infiltrazione, del freddo ed apatico artificio tecnologico è ancora più intensa, profonda ed intelligente. Al centro di tutto, troviamo infatti un’intelligenza artificiale creata per prendere il posto di spie ed agenti sotto copertura (un po’ come avveniva appunto con i piloti nel sequel del cult movie di Tony Scott), che tutt’a un tratto diventa senziente, si ribella alla propria programmazione e si rivolta contro i propri creatori, assumendo la forma e i comportamenti di un parassita digitale e sfruttando la nostra “dipendenza da una realtà digitale ben realizzata” per avere il controllo dei servizi di intelligence di tutto il mondo.
Meglio conosciuta come l’Entità, essa comincia così ad infiltrarsi nei sistemi informatici del pianeta, e a controllare, contraffare, falsificare quanto di più prezioso ed inestimabile esiste oggi. Ciò in cui si misura e viene misurata la nostra vita nell’era digitale. La sostanza virtuale che determina e compone le nostre nuove identità: i dati, le informazioni e le comunicazioni, cruciali nella definizione della verità o di quella che ormai è la post-verità.
Neanche a dirlo, una volta venute a sapere dell’esistenza incontrollata e del moto spontaneo di questa potente IA, le grandi potenze mondiali tentano a tutti i costi di metterci le mani sopra, ovviamente al fine di utilizzarla a loro uso e consumo, come nuovo tipo di deterrente di fatto post-nucleare. Per farlo, hanno però bisogno di una chiave cruciforme e bipartita che diventa immediatamente l’oggetto del contendere di un intrigo internazionale in piena regola. Ethan Hunt e la sua squadra/famiglia sono chiamati a recuperarla e, a differenza di quello che desidererebbe il loro governo, puntano a silenziare ed annientare per sempre questa Entità.
Ciò detto, per l’ennesima volta, la saga di Mission: Impossible, ma forse, come abbiamo visto, sarebbe meglio dire l’epica cruisiana, intercetta, se non addirittura anticipa (quest’ultimo capitolo era già nei piani ed è stato scritto a cavallo tra 2018 e 2019 e la produzione in sé e per sé è avvenuta in pieno Covid) un tema - quello dell’intelligenza artificiale - tra i più caldi e dibattuti tanto, in termini di etica artistica e lavorativa, ad Hollywood [dove, in questo stesso istante, sta avendo luogo uno sciopero di sceneggiatori ed attori, nato, tra le altre cose, anche dal timore e dall’inquietudine legate all’utilizzo sempre più incontrollato di simili tecnologie], quanto dall’opinione pubblica e generalista.
A questa vertigine virtuo- e tecno-fobica da fine del mondo - che riguarda e tocca lo stesso divo in prima persona (hanno fatto il giro del web i deep fake che, non fosse per l’evidente segno artificiale, ne ritrarrebbero indistinguibilmente fattezze e voce) -, Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte Uno somma ed accosta, in un raddoppio ideale di Top Gun: Maverick, l’urgenza data da un’altra (ahinoi) più che probabile fine, quella del “cinema al cinema”, dell’esperienza in sala, alla quale Tom Cruise e tutto il team produttivo regalano una nuova boccata di ossigeno, un altro possibile fascio di luce, “del tempo” che, come si dice nelle fasi finali della pellicola, non è abbastanza, ma che è probabilmente l’unica cosa che conta.
Perché non si può sfuggire al proprio destino, perché il futuro è assicurato ed è stimabile con un “semplice” calcolo delle probabilità, perché è dead reckoning: nel vocabolario nautico, una localizzazione approssimativa e stimata appunto, ma, più letteralmente, una resa dei conti tra persone, individui, personaggi, maschere - vere o false che siano - lanciati, senza alcun apparente e possibile detour, verso un qualcosa di definito e definitivo, di già scritto, di incontrovertibile; verso un dilemma temuto (ad un certo punto, a qualcuno verrà chiesto “hai paura di morire?” e lui risponderà “certo che sì”), verso un che di mortifero ma, allo stesso tempo, di malinconico.
Sospinti dalla gravità (un aspetto centrale dell’ultimo atto) del proprio passato, Ethan, Benji, Luther, Ilsa e l’ultima arrivata Grace (quest’ultima, un’abile ladra che si ritrova invischiata, a sua insaputa, in una trama più grande di quanto potesse mai immaginare) oppongono o, meglio, cercano di opporre una strenua, ma forse vana resistenza a quella che è in fondo la naturale evoluzione di quel gioco spionistico sempre più sfuggente, labile, fantasmatico, omogeneo, post-muro di Berlino, che il franchise ha descritto e raccontato fin dal suo capostipite.
Lo stesso ha fatto e continua a fare qui, del resto, Tom Cruise, “mentalista mutaforma incarnazione del caos”, contro l’effetto deleterio, logico, sistematico della pandemia sull’illusione primigenia, originaria del cinema. Sull’illusione che è il Cinema. Una tanto falsa da diventare vera, analogica, umanista, romantica (nel senso di sentimentale), ingenua, magari retorica e didascalica, di cui Cruise e McQuarrie ci ricordano, in continuazione, l’esistenza e l'entità.
In primis, grazie al lavoro volutamente e teoricamente imperfetto del montatore Eddie Hamilton, volto a rompere le regole grammaticali di continuità. In secundis, attraverso una scrittura enfatica e verbosa dei frammenti dialogati e di raccordo. Ma anche, più semplicemente, disseminando l’intreccio di autentici trucchi di magia e giochi di illusionismo, come già avveniva nel film originale di Brian DePalma. Pellicola, questa, con cui Dead Reckoning - Parte Uno ha un legame che va oltre la mera e semplice autocitazione o il facile fan service. Il tentativo infatti è quello di inserirsi con precisione chirurgica in un dovuto ritorno a ciò che è stato, ad un necessario ripiegarsi e ripercorrere i propri passi per sfidare le probabilità dell’incombere e dall’incedere inquieto di un domani contraffatto, manipolato, incerto, falso.
Tornare indietro per essere finalmente e poeticamente - come nel caso del sorprendente pre-finale di Indiana Jones e il quadrante del destino - fuori dal tempo.
E quindi: un profluvio di maschere e di piani olandesi, una Venezia trasfigurata in Praga, l’inspiegabile ed inspiegato ritorno, 27 anni dopo, del direttore dell’IMF Eugene Kittridge, ed infine il treno. Che, oltre ad essere il mezzo su cui Cruise pretese avvenisse lo scontro finale in quel primissimo film, e il simbolo per antonomasia del progresso scientifico-tecnologico (pre-digitale!) e del cinema in quanto esponente di quello stesso progresso; viene reso dalla sceneggiatura di Christopher McQuarrie ed Erik Jendresen lo spazio ideale per questa spasmodica ricerca. L’ultimo luogo intriso ed avvinto ad una grande mitologia cinematografica (senza contare che stiamo parlando dell'Orient Express) in un film pieno zeppo di location cinegeniche (Roma, la già citata Venezia, Abu Dhabi, il Deserto arabico, i sottomarini). Ma anche, com’era il qui omaggiato Titanic per James Cameron, l’espressione dell’equilibrio idealmente ossimorico ed atemporale che Mission: Impossible ha sempre cercato di trattenere in sé.
Da un lato, vi è allora il classicismo dell’intrigo internazionale, della vertigine e del meccanismo di suspense hitchcockiana (e poi pure bondiana), con un’orchestrazione che pone sempre lo spettatore in una dimensione di piena consapevolezza degli elementi e delle parti in gioco. O, in alternativa, quello dell’ossessione, del cieco atto di fede nel vero e nel reale che porta Tom Cruise ad alzare, ad ogni nuovo inserto, l’asticella della spettacolarità, al fine di esprimere le piene potenzialità e la versatilità (qui anche comica e ai limiti del cartoon) del suo essere uno dei migliori, più puntuali (si pensi ai suoi meravigliosi reaction shot), dediti, convinti e convincenti corpi-cinema ad aver mai riempito il grande schermo dai tempi di Buster Keaton - che Dead Reckoning - Parte Uno cita palesemente proprio in quella fantomatica sequenza su rotaie. (In tal senso, la titubanza, l’esitazione, il timore, la fragilità che questi, come i suoi compagni di squadra o, come li chiamano, “fenomeni da baraccone”, dimostrano nell’approcciarsi ad una qualsiasi di queste adrenaliniche e pericolose acrobazie - sia essa guidare ammanettati per il centro di Roma o buttarsi con una moto da un precipizio -, è solo l’ennesima dimostrazione di quel senso mortifero che accompagna quest’ultima avventura e che guida le scelte emotive ed umane del nostro Ethan.)
Dall’altro lato, troviamo viceversa l’attualità del discorso e la modernità della conformazione che la saga ha abbracciato e perfezionato a partire da Protocollo fantasma, e del contesto (a)politico in cui si dipana questa inarrestabile corsa spionistica, condotta e retta con grande maestria ed abilità, ritmata davvero ai limiti dell’impossibile, salvo qualche inevitabile momento di stanca.
Inutile dire che il prodotto di questo eccellente ossimoro è, una volta ancora, un mix tanto inebriante ed adrenalinico da diventare quasi esilarante. Lo stato dell’arte, appunto, la cui croce e delizia è però proprio lo sguardo, il suo impellente “bisogno di occhi”, come sollecita Ethan Hunt nel febbrile segmento veneziano.
Occhi che servono a Mission: Impossible Dead Reckoning per la salvaguardia, la protezione di quella vecchia, (stra)ordinaria illusione, l’attestazione di appartenenza a quell’idea di cinema, di blockbuster, di action movie fieramente ed incondizionatamente analogico. Ma che, al contempo, sono forse gli unici e soli a poter riconoscere e certificare il lento ed indolente compiersi di un tempo, di una sorte, di un futuro che - per quanto si tenti di contenere, osteggiare, sopprimere - mostrano sintomi inconfutabili, appaiono sempre più incombenti e, così facendo, schiudono un’umanità, una tensione intima, una vulnerabilità che il cinema (blockbuster), altrove, sembra essersi scordato.
Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte Uno non è l’inizio, non sarà certo la fine (del franchise - lo hanno affermato gli stessi Cruise e McQuarrie), ma è semplicemente il tempo. Quello che si deposita sulle cose, modificandone il valore, quello che scorre gelidamente, logicamente, indifferentemente, quello in cui bisogna credere per vederne davvero l'inganno. Il primo ed ultimo fantasma di un mezzo, un linguaggio, una macchina, un’invenzione, il cinema, che da sempre ne è stato l’arte e la forma, del tempo.
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