TITOLO ORIGINALE: Elemental
USCITA ITALIA: 21 giugno 2023
USCITA USA: 16 giugno 2023
REGIA: Peter Sohn
SCENEGGIATURA: John Hoberg, Kat Likkel, Brenda Hsueh
CON LE VOCI DI: Valentina Romani, Stefano De Martino, Serra Yilmaz, Hal Yamanouchi, Leah Lewis
GENERE: animazione, commedia, sentimentale, avventura, fantastico
DURATA: 103 min
Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2023
Dopo il deludente Lightyear, la Pixar torna sul grande schermo con quella che è la sua 27ª fatica, Elemental di Peter Sohn. Una tipica storia d'amore proibito tra due assoluti opposti come il fuoco e l'acqua è, in realtà e più in profondità, la storia dell'incontro tra una ragazza, figlia di immigrati, ed un tenero ed empatico ragazzo che appartiene ad un ceto sociale decisamente più abbiente. Immigrazione ed amore si fondono e suggestionano vicendevolmente in un abbraccio caloroso ed avvolgente con cui lo studio pare quasi scusarsi e, al contempo, imporre una nuova formula sintetica di sé e del suo cinema, passato, presente e futuro.
Nel bene e nel male, l’acqua ha sempre rivestito un ruolo importante nella vita della famiglia Lumen, il cui elemento di appartenenza è - neanche a dirlo - il fuoco. È infatti attraverso un’imbarcazione ed un corso d’acqua, che i signori Lumen, Bernie e Cinder, arrivano ad Element City, imponente metropoli ricca di promesse, opportunità, sogni e speranze di una vita nuova, di una vita diversa, di una vita migliore, dopo che un disastro naturale ha distrutto la loro rigogliosa terra d’origine.
Una volta approdati, però, i due Fochesi si imbattono presto in una città, popolata da abitanti d’acqua, terra ed aria, che ha da tempo trovato un equilibrio interno, tra i vari elementi e tra i vari cittadini (come esemplificano gli affreschi che decorano le pareti della dogana), e che, proprio per questo, non vede proprio di buon occhio l’arrivo e l’integrazione di un nuovo elemento, o, se preferite, di una nuova etnia, di un nuovo gruppo e ceto sociale, meno fortunato ed abbiente.
Sono proprio gli Acquatici, più di tutti, a sbeffeggiare e a discriminare i coniugi Lumen, i quali, dopo tanto peregrinare in cerca di una casa, scoprono una parte della metropoli abbandonata a sé stessa, un sobborgo in rovina. Un quartiere di periferia che la coppia di immigrati decide così di riparare, ricostruire, dando origine di fatto ad un ghetto, seppur felice e tranquillo, in cui altri come loro avrebbero potuto e verranno, anch’essi in cerca di un nuovo inizio e di un sogno che appare sempre più un’utopia, un abbaglio, un qualcosa di irraggiungibile.
(Nella sua accezione positiva,) l’acqua torna a bussare alla porta della famiglia Lumen, quando la figlia dei due esuli, la devota ma facilmente irascibile Ember, viene a contatto e fa la conoscenza, per pura coincidenza, di Wade, un giovane Acquatico socievole, tenero, empatico, arrendevole, impegnato come messo ed ispettore al municipio di Element City. Quella che inizia quasi come una relazione fortuita ed amichevole, assume pian piano contorni più seri, importanti, finanche sentimentali ed amorosi.
Ebbene sì, con sorpresa di tutti - in primis, di chi vi scrive -, è una storia d’amore tra le più dolci, candide e smielate (ne è un indizio il corto introduttivo su L'appuntamento di Carl, direttamente dall'universo di Up) quella attorno a cui si compone Elemental, l’ultima fatica animata (la 27ª, per esser precisi) targata Disney Pixar.
Una Pixar che, raggiunti gli apici massimi della sua prima, eccellente ed unica (per il panorama occidentale!) incarnazione poetica, come dice proprio l’acuto copione di John Hoberg, Kat Likkel e Brenda Hsueh ad un certo punto, ha alterato la propria chimica; ha subìto un passaggio di stato, una trasformazione, un’evoluzione per molti, un’involuzione ed uno snaturamento per altri.
Invero, dopo Inside Out e Soul, e posti la difficile situazione pandemica che ha penalizzato un po’ tutti i settori e i contesti (non solo quello dell’intrattenimento), e l'uscita imposta direct-to-streaming; gli autori e i team creativi dello studio hanno trovato la propria voce, hanno assecondato e, in qualche modo, si sono rifugiati in storie più semplici, lineari, formulaiche, dallo spirito quasi più disneyano.
Storie con un fondamento (auto)biografico molto forte, il cui interesse e sguardo (appartenente, in prima istanza, a firme registiche nuove ed esordienti) erano rivolti perlopiù al ritrovamento di una spontaneità, di una leggerezza e d'una naïveté che hanno rappresentato, agli occhi del pubblico, una sorta di croce e delizia. Tolto Lightyear, che partiva da un presupposto produttivo, artistico ed editoriale tutto suo e dagli intenti più ambiziosi e larghi, seppur vani - parliamo allora di Onward, di Luca, di Red, ed infine proprio di questo Elemental.
Già, perché anche questo 27° lungometraggio Pixar trova un germoglio nel vissuto del suo regista, Peter Sohn (irresistibile voice actor di creature dello studio come Émile di Ratatouille e Sox del già citato Lightyear, ed autore del dimenticato e dimenticabile Il viaggio di Arlo). Più specificatamente, lo trova nelle sue origini coreane, nel suo essere quel che si definisce un “seconda generazione” (ovvero figlio di immigrati), così come nella sua relazione, per i genitori molto controversa, con una italoamericana.
Al centro del film, vi sono pertanto due tematiche che si vanno a completare, attrarre, suggestionare, che conversano tra loro e si aprono l’un l’altra (un po’ come succederà prevedibilmente nel decorso della relazione tra Wade ed Ember).
Da un lato, abbiamo l’immigrazione, le sue motivazioni e i sogni che ne favoriscono l’origine, i sentimenti ad essa annessi e connessi, le sue numerose difficoltà, opposizioni, indigenze, ma anche il suo retaggio di pregiudizi, stereotipi, risentimenti, tradizioni, illusioni, che viene rovesciato inevitabilmente, appunto, addosso a quelle “seconde generazioni” di cui sopra.
Dall'altro, invece, il tipico amore proibito che è tale proprio a causa di questo bagaglio di superstizioni, credenze, trappole, categorie di pensiero - come il mantenimento della propria essenza, identità, natura o, ancora meglio, del proprio elemento - anacronistiche e dettate soltanto dal timore e dalla paura del diverso, dell’altro. Ed è nella predominanza narrativa di tali categorie che l'opera di Sohn aderisce all'ultima scuola disneyana di estrema idealizzazione del villain.
Elemental non è allora - per la conoscenza di qualcuno e il dispiacere di molti - un ritorno alla Pixar per antonomasia, sofisticata, maggiorenne, adulta, audace, sempre tesa al massimo grado di astrazione, né ai livelli inarrivabili di capolavori come Toy Story, Alla ricerca di Nemo, Wall-E, Ratatouille, o ancora dei più recenti e menzionati sopra Inside Out e Soul.
Ci troviamo di fronte piuttosto ad una prosecuzione coerente con entrambe le incarnazioni pixariane, una sorta di incrocio, di sintesi capace di tenere conto e tenere unite queste due vie: quella della prima ora, più amata, e quella, viceversa, più contestata, confortata e confortevole. Sarà da questa intersezione di spirito, ancor prima che di elemento ed elementi - come afferma coerentemente la pellicola stessa - che si originerà una nuova formula, una nuova avventura, un nuovo sogno.
Ciò nondimeno, c'è una sostanza, un’essenza che permane, impassibile, intramontabile, imperturbabile, a dispetto di ogni trasformazione lo studio prenda e possa prendere. Vale a dire la capacità della Pixar di apportare sempre un tocco personale, riconoscibile e, per certi versi, non replicabile anche ai più formulaici e proverbiali degli intrecci e delle storie (i riferimenti più spontanei sono ad Indovina chi viene a cena? e a Stregata dalla Luna).
O anche, al più potenzialmente derivativo dei mondi (d’altronde, Element City non è altro che un’ibridazione palese della disneyana Zootropolis e di una qualsiasi delle metropoli e città fiabesche di un film qualsiasi del Ghibli, a cui lo studio è sempre stato legato) e dei design (quello, quasi volutamente incompiuto, dei Fuochesi, nello specifico, è ripreso pari pari da quello del demone Calcifer, personaggio del sempre ghibliano Il castello errante di Howl.
Una genialità, dicevamo, che trova nell’apparente semplicità, nella naturalezza, nell’immediatezza, la chiave per distinguersi. Che risiede al di là della diegesi, della morale, del racconto, dell’umorismo, delle allegorie, delle metafore e dei doppi sensi [tutte peculiarità, queste ultime, che, ahinoi, si perdono abbastanza nell’adattamento italiano]. Che vive di soluzioni visive, del modo di tratteggiare e rendere vivo e denso un universo e i suoi abitanti, dell'irremovibile primato di sintesi di concetti di fatto complessi in (di)segni ed immagini disarmanti nella loro limpidezza, dell’intuizione di per sé intelligentissima di affidare il processo di world-building a sketch ed esercizi miniaturistici da pura situation comedy.
Ed è vero: qui, a differenza di altri film, l’ecosistema, l’humus culturale, l’habitat animato (che i due protagonisti arrivano addirittura a rivoluzionare dalle fondamenta col loro amore), oppure le diversità che lo compongono e contraddistinguono, rimangono un mero sottofondo, rimanendo schiacciati dalla trama romantica.
Eppure, come sempre, il tutto - questo abbraccio caloroso ed avvolgente con cui la Pixar pare quasi scusarsi e, al contempo, imporre una nuova versione sintetica di sé e del suo cinema, passato, presente e futuro - è portato avanti con una dedizione, una convinzione, una precisione (di tempi e ritmo), una coerenza interna ed un cuore, ché è impossibile non trovare il proprio posto. Il proprio battito. Il proprio elemento.
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