TITOLO ORIGINALE: Enola Holmes 2
USCITA ITALIA: 4 novembre 2022
USCITA USA: 4 novembre 2022
REGIA: Harry Bradbeer
SCENEGGIATURA: Jack Thorne
GENERE: drammatico, giallo, avventura
DURATA: 130 min
PIATTAFORMA: Netflix
Dopo il successo del primo capitolo, torna l'investigatrice ribelle e pasticciona interpretata da Millie Bobby Brown, questa volta alle prese con una cospirazione parzialmente tratta da fatti realmente accaduti. Enola Holmes 2 conferma la formula consolidata del predecessore e getta le basi per un franchise potenzialmente infinito, migliorando la confezione e rendendo l'avventura più divertente, compiuta ed appagante. Il problema è uno solo: l'ingombranza dello Sherlock Holmes di Henry Cavill, che l'istanza narrante asseconda e sostenta, invece che arginarla.
Al di là della naturale simpatia (rottura della quarta parete permettendo) e della scrittura del personaggio di Enola Holmes, le due cose che più convincevano, nello scombiccherato fenomeno Netflix tratto dai romanzi per ragazzi di Nancy Springer, erano l’analisi moderna e per nulla scontata dell’icona di Sherlock Holmes e dell’immaginario a lui legato, e il ribaltamento dei canoni del giallo, specie per quanto riguarda l’identità (sociale) del colpevole.
Tratti e pregi, questi ultimi, che ritornano amplificati nel seguito, nuovamente diretto da Harry “Fleabag” Bradbeer, in cui, nel tentativo di professionalizzarsi, di trovare una propria strada, una propria voce ed una luce che non sia quella del fratello superstar; la nostra investigatrice ribelle e pasticciona si ritrova invischiata in una cospirazione forse più grande di lei, in parte tratta da fatti realmente accaduti, come ci avvisa il cartello che inaugura il film.
Il riferimento è allo sciopero delle fiammiferaie datato 1888 e alla storia di Sarah Chapman, che scoprì l’intossicazione da fosforo bianco a cui le povere lavoratrici erano sottoposte tutti i giorni in fabbrica, e, come ripete più volte il copione di Jack Thorne, accese una piccola fiamma che poi divampò in un incendio. Uno che, a sua volta e nel suo piccolo, provocò e permise un cambiamento; compì il primo passo verso una simil parità di genere ed una maggiore equità, essenziale per il successivo movimento sindacale.
Risultare credibile, esprimere le proprie ragioni, farsi ascoltare, essere il proprio cambiamento all’interno di un mondo e di una società maschilista, patriarcale, turbo-capitalista e discriminatoria: è questo che ha fatto e che ancora oggi continua ad ispirare Sarah Chapman in tutte le voci e i volti (fondamentali per una società dell’immagine come quella attuale) che ne hanno raccolto il lascito, sia nella realtà (come non citare quindi Greta Thunberg), che nella finzione.
È allora dalla ridefinizione, enunciazione e drammatizzazione di questo fil rouge che sussiste - quantomeno nello spirito e nei valori - tra la giovane fiammiferaia e la ancor più giovane (ed anacronistica pro-#MeToo) detective-for-hire, interpretata da una Millie Bobby Brown sempre divertita nella sua costante (ancora troppo) e cartoonesca rottura degli schemi cinematografici e rappresentativi, eppure mai davvero centrata e definita - o almeno non come quando interpreta Undici in Stranger Things -; che prende il via l’idea alla base di Enola Holmes 2, che, come anticipato poco sopra, amplifica e rende ben più incisivi i pregi del primo capitolo.
Impostata la storia di origini ed accordate le regole del proprio mondo diegetico, Harry Bradbeer e Jack Thorne si cimentano infatti nella creazione e composizione di un prodotto di intrattenimento più succulento e consistente del già commercialmente ottimo primo capitolo. Un film più divertente e (relativamente) violento, più ambizioso e stratificato, più rutilante e fulgido, (come detto) ancor più femminista, che possiede la sorprendente capacità di sembrare evoluto e maggiorenne pur rimanendo, di fatto, sempre e comunque fedele e adeso al primo capitolo, ai suoi meccanismi, a quell’estetica ibrido della revisione ritchieana di Sherlock Holmes e del romanzo illustrato per ragazzi, ai suoi intrighi, alla sua scrittura, ai suoi discorsi. Di rendere, pertanto, un potenzialmente aleatorio more-of-the-same, una pellicola che riprende e porta avanti a malapena un percorso già presente nell’originale, qualcosa di inspiegabilmente nuovo, nonché di decisamente più appagante.
E questo, malgrado tutti i limiti che, volente e nolente, la firma degli stessi Bradbeer e Thorne mutua dal precedente tentativo e che rimangono evidenti, nonostante la patina i migliore fattura.
Parliamo dunque delle deduzioni che sfidano apertamente la sospensione dell’incredulità dello spettatore, la già citata ridondanza di soluzioni come la fumettosa rottura della quarta parete, le analessi della sua infanzia e formazione (presieduta dalla madre Eudoria - di nuovo portata in scena da una Helena Bonham Carter qui semplicemente di cortesia) per chiarire, commentare, tracciare parallelismi, ampliare in tempo reale ciò che sta avvenendo nel presente diegetico, o ancora l’uso semplicistico e puerile dell’alternanza da parte di un montaggio che torna a mostrarsi incerto (leggasi i numerosi scavalcamenti di campo) e non sempre intonato con le esigenze rappresentative, o infine dell’ingombranza della figura di Sherlock Holmes nell’economia del racconto e della caratterizzazione del personaggio di Enola.
Sì, perché questo sequel, ancora di più del predecessore, ha il cuore residente al 221B di Baker Street e accasato col suo (ancora unico e solo) inquilino, sempre improbabilmente, ma vivacemente interpretato da un Henry Cavill col capello sbarazzino, in un intreccio che non si limita ad un galvanizzante fan service, ma che ne prevede una maggiore permanenza e centralità scenica. Il che finisce per essere abbastanza controproducente per un film i cui presupposti editoriali e produttivi consistono proprio nella desacralizzazione di un immaginario e di un’iconografia multimediali (qui rappresentati come frustrati, incerti, arruffati, alticci) a beneficio di un’altra definizione femminile, di una nuova dimensione femminista, di una sovversione giovanile.
Ebbene, se di una narrazione che vuole promulgare questi concetti, ciò che coinvolge e attizza di più è la ricostruzione e rimodulazione feticistica (dall’aiutante alla nemesi) di un mito già mitico come Sherlock e non la nascita di una nuova icona come Enola, allora significa o che si è sbagliato qualcosa. Oppure, più semplicemente, che non si è intenzionati a portare alla luce il giusto, o meglio, la giusta Holmes, ed inevitabilmente a fare di un discorso di rivendicazione collettiva ed emancipazione sociale qualcosa di vero e sentito, qualcosa di più di una mera e comoda cartina tornasole per un colosso (Netflix) figlio di quello stesso turbocapitalismo che Enola, Sarah Chapman e le piccole fiammiferaie vorrebbero rivoluzionare. Elementare, Watson.
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