TITOLO ORIGINALE: The Adam Project
USCITA ITALIA: 11 marzo 2022
USCITA USA: 11 marzo 2022
REGIA: Shawn Levy
SCENEGGIATURA: Jonathan Tropper, T. S. Nowlin, Jennifer Flackett, Mark Levin
GENERE: azione, fantascienza, drammatico, avventura
PIATTAFORMA: Netflix
Shawn Levy (regista di alcune delle commedie per famiglie più brillanti degli ultimi anni e produttore esecutivo di Stranger Things) ci ricorda, con il suo The Adam Project, che, per quanto noi possiamo pure aver chiuso con gli anni '80, sono probabilmente gli anni '80 a non aver chiuso con noi. Forte di un budget di 116 milioni di dollari, The Adam Project è un’altra di quelle pellicole che invero dimostra l’annullamento di qualsiasi tipo di differenza tra i prodotti nativi streaming (esce infatti su Netflix) e i grandi pop corn movie destinati prioritariamente alle sale, sfoggiando un impianto spettacolare ed effettistico ed un cast che nulla hanno da invidiare a quelli di una produzione hollywoodiana media. Ciò che manca davvero all’ultimo film di Shawn Levy è però un racconto che, in qualche modo, rifletta le ambizioni del soggetto e le dimensioni dello spettacolo proposto dal portafogli di mamma Netflix, invece privo, così come la stessa messa in scena, di una vera ispirazione e di un vero spirito d'avventura.
Se è vero che l’ormai opprimente nostalgia verso gli anni ‘80 e le sue icone pop-culturali, rivitalizzata da Stranger Things, ha ormai dato i suoi frutti - anzi, probabilmente è proprio arrivata alla frutta -, è anche altrettanto vero che forse sono proprio gli anni ‘80 e i suoi simboli a non aver chiuso del tutto con noi.
Lo dimostra, nel bene e nel male, The Adam Project, primo film nato dall’accordo che Netflix ha stipulato con il regista Shawn Levy, che, oltre ad essere l’artefice di alcune tra le più esilaranti e spassose commedie per famiglie del nuovo millennio (Una scatenata dozzina, Una notte al museo, Gli stagisti e il recentissimo Free Guy), è, non a caso, anche uno dei produttori esecutivi di quello stesso, rivitalizzante Stranger Things.
In questa tradizionalissima avventura sci-fi sui viaggi nel tempo, nella quale Levy ribadisce ancora una volta la propria discendenza ed intramontabile fede spielberghiana, trafugando e recuperando, a proprio uso e consumo, cliché, modelli, elementi tipici, addirittura pose e coreografie, degli ultimi cinquant’anni di fantascienza; un Ryan Reynolds nel ruolo che gli riesce meglio (sé stesso) interpreta Adam Reed, un pilota di jet del futuro (il 2050, ndr) che si imbarca in un viaggio indietro nel tempo per ritrovare la moglie Laura (una splendida Zoe Saldana), scomparsa misteriosamente durante una missione di salvataggio nel 2018.
A seguito di un combattimento con le forze dell’ordine della sua linea temporale, questi finisce però nel 2022, dove incontra per sbaglio sé stesso dodicenne, ancora distrutto dalla morte del padre (un Mark Ruffalo che viceversa non splende particolarmente), scontroso e acido con la madre (una Jennifer Garner funzionale), costantemente bullizzato a scuola poiché “più piccolo di come dovrebbe essere”. Per una serie di motivi, i due saranno costretti a fare squadra e spingersi ancor più indietro nel tempo per fermare le mire di Maya Sorian, ex-finanziatrice del padre, ora perfida e dispotica detentrice del progetto Adam, quello stesso acceleratore di particelle che ha permesso o, meglio, permetterà agli umani di viaggiare nel tempo.
Ed è proprio da lei - dal villain mediocre interpretato da una Catherine Keener che salva il (poco) salvabile - che hanno origine tutti i problemi di The Adam Project. Concentrati come sono a mescolare coerentemente e fondere assieme rimandi, citazioni ed echi di Ritorno al futuro, Guerre Stellari, Arma Letale, Terminator, Faccia a Faccia, 30 Anni in 1 Secondo, oppure lo stesso e più recente Guardiani della Galassia [anzitutto nell’uso jukebox delle musiche non originali, ma anche solo nella scrittura del personaggio di Zoe Saldana], Shawn Levy e il quartetto di sceneggiatori, che risponde ai nomi di Jonathan Tropper, T. S. Nowlin, Jennifer Flackett e Mark Levin, si dimenticano infatti di affiancare a questo ennesimo revival/omaggio nostalgico una trama avvincente o quantomeno contraddistinta da una minaccia credibile e proporzionale all’indubbio sforzo produttivo esibito.
Forte di un budget di 116 milioni di dollari, The Adam Project è un’altra di quelle pellicole, insieme a Red Notice e Army of the Dead, che invero dimostra l’annullamento di qualsiasi tipo di distanza o differenza tra i prodotti nativi streaming e i grandi pop corn movie destinati prioritariamente alle sale, sfoggiando un impianto spettacolare ed effettistico perfettamente allineato, se non addirittura superiore a quello di un qualsiasi film che, della grandeur scenica, della potenza visiva e dell’immersione, ha fatto il proprio mantra, ed un cast che nulla ha da invidiare a quelli di una produzione hollywoodiana media.
Peccato che manchi però un racconto capace di riflettere le ambizioni del soggetto e le dimensioni di uno spettacolo che è merito non tanto dei creativi dietro il progetto (che, specie nell’oggettistica, si limitano a riproporre qualcosa di già pensato altrove), ma, con grande probabilità, del portafoglio di mamma Netflix. Non solo, a mostrarsi trascurata è pure una messa in scena che, del divertimento, della genialità e della brillantezza di Free Guy, non ha praticamente nulla, anzi sembra procedere indolente in un compitino che neppure sembra voglia portare a termine, dove ogni scambio di battute sa di avariato e forzato, ogni combattimento è modestissimo e soprattutto non vi è ispirazione, non vi è spirito, non vi è gioia, se non quella essenziale all’indolente incedere dell’intreccio.
Viene quindi spontaneo chiedersi dove siano stati spesi quei 116 milioni o, meglio, se, oltre al cachet degli attori, al ringiovanimento digitale della Keener e a qualche astronave, non vi fosse proprio modo di finanziare anche un team di sceneggiatori che, proprio come Guy nel film quasi omonimo, riuscisse a combattere e ribellarsi alle pretese e agli ordini di un algoritmo.
Ma d’altronde, è la prima regola dei viaggi nel tempo: mai incontrarsi con il sé di un altro tempo. E non solo perché si rischia di interferire con il continuum spazio-temporale, bensì perché ancor più spesso si rischia di produrre film come The Adam Project.
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