TITOLO ORIGINALE: Free Guy
USCITA ITALIA: 11 agosto 2021
USCITA USA: 13 agosto 2021
REGIA: Shawn Levy
SCENEGGIATURA: Matt Lieberman, Zak Penn
GENERE: commedia, fantastico, avventura
Guy è il PNG (personaggio non giocante) di Free City, uno dei videogiochi più famosi di sempre. Impiegato di una banca periodicamente rapinata, amante del “caffè medio”, proprietario di un appartamento che sembra essere uscito direttamente da un catalogo Ikea, questi vive le sue giornate seguendo alla lettera o, meglio, ripetendo incessantemente la programmazione che è stata pensata appositamente per lui. Un giorno però, a seguito dell'incontro di quella che vede come la donna della sua vita (una player di nome Millie), inizia a venir meno alla sua routine.
Shawn Levy, regista della trilogia di Una notte al museo, Real Steel e Gli stagisti, dirige un Ryan Reynolds in una delle sue interpretazioni più convincenti in quello che è, a tutti gli effetti, il nuovo film rivelazione dell'estate (dunque, scalzando Jungle Cruise dalla vetta). Un concept originale e fresco è solo il primo dei tanti pregi di una pellicola che, questo concept, lo sviluppa e mette in scena in maniera follemente lucida e ordinata, riuscendo a dar vita ad un mondo che non viene affatto sommerso, anzi gode delle innumerevoli citazioni e “strizzatine d’occhio” che lo compongono, e ad un'avventura deliziosa, dall'intrattenimento sano e genuino, pensata appositamente per i teenager o, in linea di massima, per tutti coloro che hanno nostalgia per gli strani e - purtroppo o per fortuna - indimenticabili anni '80.
Ma quanto si sono divertiti Ryan Reynolds, Shawn Levy & co. a produrre Free Guy? Spoiler, tantissimo. Il che ha e ha avuto un evidente effetto benefico sul risultato finale, vale a dire una deliziosa avventura fatta a misura di teenager (vedasi l’uso spropositato di neologismi videoludici come “skill”, “niubbo” o “troll”), ma rivolta anche a tutti quei nostalgici degli anni ‘80. Un tripudio di citazioni ed easter eggs che faranno letteralmente impazzire tanto gli appassionati di cinema, quanto i videogiocatori. Un film per famiglie scanzonato (o, meglio, inaspettatamente sboccato) e con la sola pretesa di divertire ed intrattenere per due ore (di cui talora, purtroppo, si sente la gravità). O, più semplicemente, una delle migliori e più convincenti prove attoriali di Ryan Reynolds (anche produttore). Ma andiamo con ordine.
Tra gli ultimi film prodotti dalla 20th Century Fox e dunque tra quelli acquisiti (e, in questo caso, ultimati) dalla Disney in seguito all'acquisto della stessa Fox, Free Guy segue, neanche a dirlo, le gesta di Guy, uno dei PNG (personaggio non giocante) di Free City: videogioco open world estremamente popolare ed universalmente riconosciuto, a metà tra Grand Theft Auto e Fortnite, in cui ai giocatori è permesso fare tutto ciò che gli passa per la testa… incluso prendersela con i “personaggi sullo sfondo”.
Impiegato di una banca periodicamente rapinata, amante del “caffè medio”, proprietario di un appartamento che sembra essere uscito direttamente da un catalogo Ikea, amico di Buddy, una guardia di sicurezza affabile ed arrendevole (nel senso che non fa proprio bene il suo “lavoro”) e di Goldie, il pesciolino rosso/animale domestico, Guy vive le sue giornate seguendo alla lettera o, meglio, ripetendo incessantemente la routine e la programmazione che sono state pensate appositamente per lui. Come tutti gli altri PNG, del resto.
Svegliarsi, salutare Goldie, vestirsi, fare colazione, giocare con le tende, ritirare il caffè preferito (suo e, a quanto pare, di tutta quanta Free City), condividere il tragitto per la banca insieme a Buddy, affrontare le innumerevoli e solite rapine e infine tornare a casa, andare a letto e ricominciare tutto quanto da capo. È questa la precisa sequenza di azioni (e di interazioni con i giocatori) che, insieme alla catchphrase (anch’essa parte della programmazione) “oggi non sarà una giornata come le altre: sarà una splendida giornata”, contraddistinguono e rendono Guy... Guy, per l’appunto.
Un giorno però, questi confida all’amico (quello “umano”) di non sentirsi pienamente realizzato, di sentirsi manchevole di qualcosa. Quel qualcosa o, meglio, qualcuno altri non è che la ragazza dei suoi sogni. Ebbene, il suo desiderio sembra avverarsi, quando, quello stesso pomeriggio, incrocia per strada tale Molotov Girl, l’avatar emancipato e cazzuto di una player alla ricerca di un videoclip che potrebbe svelare una verità scomoda per la Soonami (il riferimento è palese), la software house - gestita da un dispotico, eccessivo e strafottente hipster di nome Antwan - che ora possiede e gestisce il videogame.
La creazione del concept di Free City o, come si intitolava inizialmente, Life Itself, infatti, non è propriamente dell’azienda, quanto piuttosto del lavoro di squadra di Keys e Millie, due giovani universitari e brillanti programmatori che, loro malgrado, sono costretti ben presto ad "affidarsi" allo studio. Ciò nonostante, se il primo pare essere andato oltre e continua tuttora a lavorare per Antwan - che, a detta della stessa Millie, “gli ha rubato il gioco” -, la seconda è decisa a dimostrare questa appropriazione illecita da parte di Soonami.
Ecco svelata quindi l’identità della giocatrice dietro Molotov Girl, la quale, in questa sua missione, riceverà un aiuto sostanziale proprio dalla sua creazione. Tuttavia, nel tentativo di dimostrare il suo amore per la ragazza (e per una serie di coincidenze), Guy finirà per scoprire la reale faccia di questo suo mondo - più simile ad una prigione che ad un "paradiso" - e comincerà pian piano a tradire la sua programmazione…
Come si suol dire, chi ben inizia, è a metà dell'opera. Certo è che, in alcuni casi (soprattutto, sia per quanto riguarda il cinema di genere. sia in materia di grandi blockbuster), poter contare su un concept originale e fresco può pregiudicare in maniera decisiva l’appeal, l’affabulazione e la generale riuscita di un determinato prodotto. Ancor meglio, se suddetto concept - ad opera di Matt Lieberman, qui impegnato anche in sceneggiatura insieme a Zac “Ready Player One” Penn - viene presentato, sviluppato e messo in scena in modo così follemente lucido e ordinato da uno Shawn Levy che, con Free Guy, riesce a trovare una quadra all’interno della propria filmografia, riunendo in un'unica pellicola tutte le varie tendenze che egli ha abbracciato da Big Fat Liar (suo primo lungometraggio) in poi.
Vi sono dunque le tinte tipiche da commedia romantica alla Big Fat Liar appunto, Oggi sposi… niente sesso o Notte folle a Manhattan (in cui ritroviamo la questione dell’identità), le atmosfere calorose e appassionate da film per famiglie con cui Levy si è già (talora anche brillantemente) cimentato con la trilogia di Una notte al museo, la fantascienza “caciarona” di un altro grande soggetto, Real Steel, la nostalgia anni '80 che ha infuso, insieme ai Duffer Brothers, nella produzione di quell'inaspettato miracolo che era(!) Stranger Things ed infine quella commedia più smaliziata e goliardica già vista ne Gli stagisti e in This Is Where I Leave You.
La vera forza di Free Guy non è però la composizione registica e visiva di un universo e di personaggi che, seppur immaginari, citazionisti e, appunto, virtuali, man mano che si prosegue nel racconto, appaiono sempre più vivi e autentici - così come sempre più valida e condivisibile appare la loro missione. Non lo è neanche il modo accorto con cui regia e messa in scena armonizzano gli effetti digitali, dall’estetica artificiosa (com'è giusto che sia, trattandosi di un videogioco), con quelli in live action.
E men che meno lo è una sceneggiatura divertita e divertente, che fa il suo dovere, regalando inoltre qualche bella intuizione ed un paio di risvolti interessanti (anche sul fronte semantico ed “intellettuale”), in cui Zak Penn concentra e fonde tutto il meglio della propria filmografia: dalla parodia dell’eroe action per antonomasia così come visto in Last Action Hero, al lavoro fatto su cinecomics come X-Men 2, X-Men - Conflitto finale e The Avengers, fino ad arrivare al recente discorso sui videogiochi intrapreso, insieme all’autore Ernest Cline, nell’adattamento spielberghiano di Ready Player One (di cui, qui, riesce a far meglio per quanto concerne il rapporto tra reale e virtuale).
Invero, come nel caso di Jungle Cruise (film dai simili intenti affabulatori), la vera forza di Free Guy risiede nelle sue interpretazioni, il vero aspetto che distingue la pellicola dalle sue predecessore o da tutte quelle da cui prende chiaro spunto, che le permette di non essere “un blockbuster come tanti altri” e che la porta e porterà al successo, sia di pubblico, sia di critica.
A guidare la ciurma, un Ryan Reynolds nella sua prova migliore e/poiché più appassionata. Pur essendo principalmente (ri)conosciuto come il volto (o sarebbe meglio dire la voce?) di Deadpool - che è innanzitutto il suo prolungamento malato e feticista -, questi riesce infatti a discostarsi, anche se in parte, dall’irriverenza, scorrettezza e dalla comicità nera del mutante (e di sé stesso) e a dar vita ad un personaggio del tutto nuovo, nella cui costruzione mostra un altro lato di sé.
Un bambinone muscoloso ma non muscolare (in cui è quindi facile immedesimarsi), impacciato ma amorevole nella sua ingenuità, il Guy di Ryan Reynolds è il cuore vero e proprio, il pilastro affabulatorio del film di Shawn Levy, la chiave di volta e il modello esemplare ed esemplificativo dell’approccio recitativo scanzonato e della linea goliardica e beffarda che caratterizzano tanto le interpretazioni del resto del cast - su cui spicca un Taika Waititi estremamente convincente e parimenti detestabile nei panni del deprecabile Antwan - quanto il casting (dalla forte valenza semantica) in sé e per sé.
In definitiva, pur essendo nient’altro che l’ultimo addendo di una lunga tradizione di opere che vedono, come protagonisti, degli eroi che scoprono di vivere in una menzogna o in un “paradiso artificiale”, portata all’apice da film del calibro di The Truman Show e Matrix (che incrociava questa idea con la filosofia platonica), poi virata verso il gioco e il videogioco e verso una concezione di protagonista più illuso o avventato, con grandi pellicole d’animazione quali Ralph Spaccatutto e The Lego Movie; e pur recuperando molte delle intuizioni delle più recenti (che sono anche le migliori) pellicole incentrate sul mondo videoludico come il già citato Ready Player One - da cui Levy & co. prendono a piene mani, specie quando sono chiamati a dar vita ad una, tanto inaspettata quanto godereccia, estasi nerd (in questo l’acquisizione del film, da parte della Disney, ha fatto il suo in maniera indiscutibile), Free Guy riesce a farsi ricordare per l’amore che infonde in un mondo che non viene affatto sommerso, anzi gode delle innumerevoli citazioni e “strizzatine d’occhio” che lo compongono, imbastendone la travolgente personalità.
Infatti, comicità a parte (talvolta troppo puerile e gratuita), quasi nulla appare visibilmente eccessivo o fuori luogo in questa avventura deliziosa e dall’intrattenimento sano e genuino che, anche solo per l’originalità del suo universo diegetico e per il modo in cui questo viene elaborato ed incluso in un intreccio tanto semplice quanto efficace, potrebbe scalzare il succitato Jungle Cruise ed imporsi come nuovo film rivelazione dell’estate.
Tuttavia, Free Guy non è solo un’avventura usa e getta, uno spettacolo che vale pienamente i soldi del biglietto ed una lettera d’amore letterale e allegorica, mai svenevole, smancerosa od obbligata al videogioco, al suo potere aggregante e al suo impatto sulle vite di ognuno di noi; ma, tra i suoi interstizi, costituisce anche un tentativo di portare lo spettatore alla consapevolezza che Guy altri non è che tutti noi. Noi che, annoiati da una vita routinaria e monotona, ci rifugiamo e ci siamo rifugiati in mondi nuovi e scintillanti in cui ci è permesso di fare tutto ciò che desideriamo, ma che nel mondo reale non potremmo mai fare.
Con il tempo però, tra azioni ripetute, missioni formalmente simili e quella ricerca di ricchezza e successo propria della società capitalistica dalla notte dei tempi, abbiamo fatto dell’evasione e di questo apparente libero arbitrio virtuale una nuova routine. La metafora è chiara: i personaggi non giocanti, quelli finti e virtuali, grazie ad un’intelligenza artificiale, arrivano ad essere quasi più veri e vivi dei giocatori. Il videogioco diventa pertanto una palestra "sicura" ed una seconda iniziazione a quella che è la vita vera, scevra di programmazione, con tutti i suoi misteri, i suoi imprevisti, ma anche le sue specificità e le sue bellezze.
A tutto ciò si collega, in ultima istanza, una denuncia, tutt'altro che velata, nei confronti di quei “capoccioni” - siano essi editori di videogames o produttori cinematografici - che scelgono la strada del denaro, del guadagno facile, del “vivere di rendita”, della capitalizzazione di questa nuova routine virtuale, attraverso prequel, sequel e spin-off, piuttosto che intraprendere e creare storie originali, sentite ed autentiche, ossia quelle programmate o prodotte con (e per) amore. Una denuncia ovviamente innocua, poiché interna a quello stesso sistema che si sta criticando (basti pensare alla fame di remake live action di quella stessa Disney che lo distribuisce, il film), ma di cui si percepisce la sincera ironia.
Sempre che, con un futuro secondo capitolo, tutto ciò non si converta in ipocrisia. Per il momento però, rimane il cuore e tanto basta per fare di Free Guy non solo uno dei migliori testi sui videogames, ma anche e soprattutto un viaggio assolutamente da non perdere!
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