TITOLO ORIGINALE: Ambulance
USCITA ITALIA: 23 marzo 2022
USCITA USA: 8 aprile 2022
REGIA: Michael Bay
SCENEGGIATURA: Chris Fedak
GENERE: azione, drammatico, thriller, poliziesco
La possibilità di vederlo (e ascoltarlo) al cinema ed una svolta verso una tensione imperante ed un'azione più centellinata sono ciò che rendono Ambulance un'ancora di salvezza per il cinema di Michael Bay, che si era ormai ridotto ad una vacua ed inutile ostentazione di muscolarità. Jake Gyllenhaal e Yahya Abdul-Mateen II sono due fratelli-rapinatori che, dopo un milionario colpo in banca, diventano protagonisti di un frenetico inseguimento tra le strade di una Los Angeles tortuosa ed inestricabile, che diventa, a sua volta, unico teatro di una delle pellicole che più e meglio si avvicinano al concetto odierno di “esperienza audiovisiva”. Pur non rinunciando a qualche suo solito capriccio, Bay dà forma ad un thriller ad alta intensità che sa valorizzazione il dinamismo e l'ipercinesia del mezzo cinematografico. Un film in cui ogni singolo elemento di messa in scena è finalizzato al coinvolgimento sensoriale dello spettatore in un intreccio semplicissimo, che il regista sa però fare indiscutibilmente suo.
Due cose distinguono l’ultimo Michael Bay, quello di 6 Underground, dal nuovo, quello recentemente approdato nelle sale con Ambulance, remake apocrifo dell’omonimo thriller danese di Laurits Munch-Petersen.
multiplex. La seconda, non meno cospicua, è una sostanziale sterzata dall’action bollito e svogliato, dall’inutile e sterile fiera dell’eccesso - abbracciata sia dall’ultimo capitolo della serie Transformers (per chi scrive una delle visioni più sofferte da molti anni a questa parte), sia dal già citato film Netflix con protagonista Ryan Reynolds -, a favore di un thriller più misurato e ragionato nelle spinte di azione pura, tutto giocato su un buon bilanciamento di ritmo e tensione e sul coinvolgimento adrenalinico dello spettatore, che ciononostante non ripudia i soliti marchi di fabbrica, gli immancabili luoghi comuni e quegli affronti più o meno volontari alla grammatica cinematografica, tipici del cinema di Bay.
Pur scansando termini già abusati come “sperimentale” o “geniale” - che appartengono a filmmaker ben più ragguardevoli del nostro Michael -, potremmo comunque definire Ambulance una delle pellicole che più e meglio si avvicinano al concetto odierno di “esperienza audiovisiva” o “esperienza sensoriale”.
Infatti, ci troviamo dinanzi ad un film in cui, a differenza di alcuni dei suoi antenati più prossimi, ogni singolo elemento di messa in scena è finalizzato e rivolto appunto ad una compartecipazione profonda e complice rispetto a quanto mostrato su schermo. Un coinvolgimento che, sia beninteso, prescinde da una volontaria e tacita indulgenza e condiscendenza nei confronti di un cinema che persegue la sua natura eccezionalmente nervosa e schizofrenica di instancabile produttore spettacolare.
Lo testimoniano e ribadiscono, da un lato, i folli, spesso audaci, altrimenti superflui movimenti della macchina da presa, la fotografia esagitata e scalmanata di Roberto De Angelis, il montaggio famelico e talora fin troppo prolisso di Doug Brandt, Pietro Scalia e Calvin Wimmer, dall’altro, la posizione di quella stessa cinepresa (ma dovremmo usare il plurale) e, dunque di Bay, a cui, come sempre lui stesso ci ricorda, piace il lato pratico, concreto, anche fisico del mezzo cinematografico; piace stare in prima linea nel momento in cui è chiamato a mettere in pratica la propria visione.
Ecco perché, nelle sue follie più o meno lucide, lui e i suoi vari prolungamenti ottici sono sempre interni, immersi, compromessi in ciò che stanno filmando, impegnati ora in assurde ed insensate dimostrazioni o esercizi di stile della muscolarità cinematografica, oppure, come nel caso di Ambulance, in spericolate e rocambolesche valorizzazioni del dinamismo e dell’ipercinesia del gesto cinematografico, alla cui base risiede sempre l’assoluto ed imprescindibile bisogno di controllo e supervisione del film e di ogni sua singola variabile.
Un aspetto che, se, in precedenti occasioni, veniva palesemente tradito da volontà, desideri, sfizi non più al servizio del film, ma a cui il film si asserviva totalmente [l’esempio più eclatante, in tal senso, è l’uso scriteriato, frenetico e rozzo dei molteplici aspect ratio, che faceva sembrare Transformers - L'ultimo cavaliere niente più che uno stress test autodistruttivo della macchina-cinema], in Ambulance ritorna nella funzionalità dell’esposizione, della messa in scena e del racconto di una storia che riesce nei suoi intenti, tanto per la sua linearità e relativa semplicità, quanto nel modo in cui Bay riesce a farla distintamente sua, pur non rinunciando a qualche suo solito capriccio (come dimostra un impiego dei droni di per sé insopportabile).
Di per sé infatti, il pretesto alla base del film, la fiamma che innesca questo inseguimento sfrenato per le strade di una Los Angeles davvero protagonista, figlia di Grand Theft Auto, tortuosa, labirintica, inestricabile, grande regolatrice delle dinamiche di potere tra criminali e poliziotti; è uguale a tante altre: la storia di due “fratelli diversi” (non solo nel colore della pelle, ma soprattutto nello spirito) che, per motivi di diversa caratura etico-morale, si riabbracciano e tentano un colpo milionario che naturalmente li metterà a dura prova e potrebbe, chissà, costargli la vita; e pertanto avrebbe potuto correre il rischio del già visto, del ridondante, sia all’interno del Bayhem, sia contestualmente ad un genere, il thriller ad alta intensità (e velocità), che è già stato ampiamente esplorato e sdoganato da firme registiche di certo più imperdibili.
Tuttavia, Ambulance rimane comunque uno sforzo da non sottovalutare o, meglio, da accogliere positivamente in quanto (di nuovo) svolta inaspettata, improbabile, ma ancora parziale di uno dei narratori più proverbiali dell’America splendente, sognante, estasiata, fanciullesca, che qui torna, sì, agli anni ‘90, dunque sui passi dei suoi film più amabili - in primis, Bad Boys e The Rock, tra l’altro citati esplicitamente -, ma lo fa per raccontarci, anche con un’ironia traballante ed assurdità, un paese che lo ha deluso, dove a vincere è ormai solo l’eroismo e l’umanità del singolo - e, in questo, Bay pecca forse dell’eccessiva retorica e del sentimentalismo spicciolo che sempre gli sono stati (giustamente) imputati.
Eppure è innegabile l’intenerimento di un regista che oggi gira sequenze per lui impensabili anche solo dieci anni fa, rende così tanto drammatici la violenza, il conflitto, pure le stesse sparatorie, e lascia spazio a personaggi come quello di una Eiza González quadratissima o di Yahya Abdul-Mateen II, che, se nei primi due atti soffre moltissimo la presenza di Jake Gyllenhaal - mutevole e bizzarro in un’interpretazione che vorrebbe essere insieme l'ennesima reincarnazione del Joker e il netto controcampo del suo stesso personaggio in The Guilty -, negli ultimi quaranta minuti ha tempo e possibilità di imporsi nel fotogramma.
Che vi piaccia o meno, Ambulance potrebbe davvero portare in salvo il cinema di Michael Bay dalla piega quasi auto parodica in cui stava affondando. Per chi scrive, lo ha già fatto. Del resto, come spesso (o sempre) accade, il punto non è tanto il cosa, ma il come, il quanto, il perché. E lo è anche in questo caso. Per fortuna.
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