TITOLO ORIGINALE: 6 Underground
USCITA ITALIA: 13 dicembre 2019
USCITA USA: 13 dicembre 2019
REGIA: Michael Bay
SCENEGGIATURA: Rhett Reese, Paul Wernick
GENERE: azione
PIATTAFORMA: Netflix
Il padre della saga di Transformers torna a far parlare di sé con la produzione Netflix più costosa di sempre. Un film fedele allo stile del regista, frenetico, rocambolesco, scatenato, eccessivamente lungo e confusionario con un cast ispirato – a differenza della sceneggiatura e della regia
Caro Michael, 150 milioni di dollari?! Sicuro di non star osando un po’ troppo? Sì… ecco quanto è costato 6 Underground – ultima fatica del regista della celebre, proficua, ma estremamente ridondante saga di Transformers -, diventando subito la produzione originale di Netflix più costosa di sempre. E, diciamo, che il budget speso si nota tutto durante la visione dell’action sotto acidi di Michael Bay. Il “film” è così malvagio come sembra? Sì, se si apprezza il buon cinema. No, se si è fan del regista. Sicuramente non è tra i suoi migliori (ricordo ancora con molto piacere Pearl Harbor) e tutt’altro che perfetto da un punto di vista tecnico e narrativo. 6 Underground è un grandissimo parco giochi, pieno di esplosioni e di ostentazioni estremamente narcisiste. Se, con questo lungometraggio, il signor Bay voleva dimostrare di saper sfruttare tutta la somma offertagli… beh, si può dire che ci sia riuscito. L’apprezzamento personale di questo film, citando il sito Rotten Tomatoes, dipende da che relazione si ha con lo stile e con la filmografia del regista. Se si guarda 6 Underground aspettandosi un classico action alla Michael Bay che intrattenga e diverta per un paio di ore, allora è il film adatto. Al contrario, rimarrete estremamente delusi. Ma parliamo un attimo della cosiddetta trama che, in questo film, non è altro che un pretesto per buttare lo spettatore nella pazzia action più improbabile ed assurda. L’incipit, messo in mano ad un cineasta un po’ più dotato ed attento, sarebbe potuto risultare molto interessante nella sua trattazione. In poche parole, un miliardario misterioso e dal passato oscuro, che chiameremo “Uno” – interpretato da Ryan Reynolds -, mette in piedi una squadra di fantasmi. Non fantasmi alla Ghostbusters, ma fantasmi veri e propri, perché ritenuti morti da tutti. E’ la prima regola e la prima condizione a cui sottostare per entrare in questa operation squad che ricorda, in modo molto banale e scontato, qualsiasi team abbia solcato lo schermo in questi ultimi dieci anni. Una volta parte di questo gruppo, la persona perde tutto, a partire dal proprio nome, diventando un numero. Quindi, abbiamo “Uno”, “Due”, “Tre” e così via. E qual è la missione di questi sei ghosts? In maniera molto infantile ed anonima, rendere il mondo un posto migliore. E qui, aggiungerei volentieri il meme di Ryan Reynolds “Sweet Jesus Christ”. Veramente, tra tutti gli scopi e gli obiettivi possibili, avete scelto salvare il mondo dalle ingiustizie? Chissà dove l’ho già sentito? Beh, in altri duecento film usciti fin dall’inizio dei tempi. Un qualcosa di più specifico? No, eh? Va bene… Il film si apre con la prima missione di questa sgangherata squadra, ambientata a Firenze, location anticipata da numerosi video dal set e dal poster stesso della pellicola. Diciamo che la spedizione non va a buon fine e i nostri eroi perdono il loro “Sei”, interpretato da Dave Franco. Come rimpiazzo, “Uno” trova un cecchino ormai stanco e disilluso dai metodi dell’esercito statunitense che fingerà la sua morte e diventerà “Sette” (non so ancora bene perché non “Sei”, ma facciano pur loro). Ciò che li aveva condotti a Firenze era il collegamento di un capo mafia locale con Rovach Alimov, il dittatore dell’inventato stato di Turgistan – il villain e l’obiettivo principale della pellicola, il bersaglio da eliminare. I nostri 6 si imbarcheranno, perciò, in un viaggio senza ritorno, per rovesciare la dittatura di Rovach e rimpiazzarlo con il più democratico e aperto fratello, Murat.
Due anni dopo l’orribile Transformers – L’ultimo cavaliere – un flop su tutta la linea, sia da un punto di vista degli incassi che qualitativo -, il regista, garanzia di esplosioni e CGI a profusione, Michael Bay, torna dietro la macchina da presa con risultati tutt’altro che rosei. La regia di 6 Underground è fondamentalmente sbagliata, sia come direzione atta ad intrattenere che a raccontare una storia. Da dove iniziare? Ovviamente, dalle sequenze fondanti questa produzione Netflix: le scene d’azione e d’intrattenimento. In due parole, sono confuse, per non dire confusionarie. Nonostante abbia tentato di guardare questo film, passando oltre agli evidenti errori, grammaticalmente e cinematograficamente parlando, di questa regia – che sapevo ci sarebbero stati -, ogni scavalcamento di campo, ogni jump cut, ogni raccordo sbagliato, ogni sbaglio rappresentativo saltavano ai miei occhi come fossero insegne al neon. Anche lo spettatore più attento e più riposato, troverà estremamente difficoltoso approcciarsi alle inquadrature e alla regia di Bay in questo film. Certo, si sa a cosa si va incontro se si decide di guardare un film del “maestro”, però non mi aspettavo una tale confusione nella progettazione e nella realizzazione delle differenti sequenze. Alla fine dei giochi, ogni scena action di questo 6 Underground si converte irrimediabilmente in un spara-spara, ammazza-ammazza, esplodi-esplodi con qualche schizzo di sangue qua e là (lo splatter, qui, è ancora più caricato rispetto al solito e alla saga con i robottoni, decisamente per famiglie). Tutto ciò accentua ulteriormente il pericolosissimo fattore ripetitività, che per un film action come questo rappresenta la morte. Oltre che estremamente sbagliata, la regia di Bay risulta monotona e priva di idee nuove o comunque di un guizzo intrattenente efficace, elemento presente almeno nel primo capitolo di Transformers.
Caratteristica frequente nella filmografia di Bay è l’utilizzo di supporti di ripresa diversi tra di loro come droni, GoPro e camere classiche e normali. Anche se meno accentuato in questo film, a differenza di Transformers – L’era dell’estinzione e simili, per esempio; l’utilizzo e la presenza nella pellicola di qualità video diverse, addirittura di formati diversi, è frequente– in particolar modo, nella sequenza di Firenze – e si nota. Si nota tanto. Raccordi sbagliati, un montaggio, che, senza dubbio, non aiuta la fruizione e la godibilità di moltissime delle sezioni della pellicola; relazioni di rilievo sbagliate tra un’inquadratura e l’altra, l’abuso di slow motion messi a casissimo che rompono incredibilmente il ritmo e il tono della scena (perché fa trasparire l’artificialità del momento). La regia di 6 Underground fa acqua da tutti i buchi. Pur essendo consapevole dei propri limiti, Bay si lascia comunque andare e costruisce scene in cui traspare il suo passato da regista da videoclip. Super patinate, illuminate e sottolineate, con una finalità puramente narcisista ed egoista nel far vedere di essere capace di impostare un piano bello esteticamente; questi segmenti non fanno altro che accrescere quel senso di discontinuità che permea l’intera pellicola.
Si ride di più guardando un film di Michael Bay che un qualsiasi film comico. Provare per credere. Tutte, e dico tutte, le situazioni presentate sono talmente improbabili, esagerate, caricate, che non si può far altro che ridere a crepapelle (l’alternativa sarebbe piangere, quindi preferisco così). A volte, inoltre, le reazioni dei personaggi agli eventi o mancano completamente o sono fin troppo caricate. Come già affermato sopra, l’incipit in sé non sarebbe neanche malvagio, è il modo con cui viene sviluppato in seguito ad annullarne completamente le potenzialità. Tra un esplosione e l’altra, si tenta di dare, fallendo miseramente, un background ai differenti personaggi, presentando un po’ la loro provenienza e ciò che li ha spinti a diventare dei fantasmi. Tuttavia, questa caratterizzazione è affrontata in modo così scontato, superficiale e stereotipato che allo spettatore non importa più nulla di tutta questa schiera di personaggi. Tutte le differenti figure, alla fine dei conti, sono la stessa esatta cosa. Tutte, infatti, hanno lo stesso scopo e la stessa finalità narrativa. Da un punto di vista fondamentalmente ritmico e di tono, il film è abbastanza discontinuo, in quanto alterna a sequenze che mescolano esplosioni, sparatorie ed azione ludica a monologhi, fatti sempre da “Uno”, che vogliono dare un taglio moralista e di denuncia a ciò che viene presentato su schermo. Diciamo che questa specie di esortazioni – tutte frasi fatte – risultano, alla lunga, ripetitive, quasi monotone, oltre che estremamente banali. La sequenza più spoilerata ed anticipata della pellicola è sicuramente quella girata tra Firenze e Siena (non capisco perché). E qui, in particolare – anche se, pure nelle altre parti del globo, essi non mancano -, gli stereotipi abbondano proprio. Sembra che l’Italia sia fatta solamente di Vespe, suore e monumenti, che i nostri protagonisti tentano di preservare, scegliendo invece, come target, nell’inseguimento, passanti o pedoni qualunque. Tra un dialogo di una profondità inenarrabile e un auto che esplode, in più, Michael Bay e gli sceneggiatori del lungometraggio, Rhett Reese e Paul Wernick, dimostrano una grande conoscenza artistica dell’Italia. Siamo a Firenze: “No, quello era Apollo e Dafne“. A Firenze?! Una persona potrebbe anche dirmi: “vabbè è una piccolezza. Sì, certo, una piccolezza che nuota e risalta certamente nel putridume che sono la sceneggiatura e il film in generale“. Poi, siamo nel XXI secolo? Internet esiste. Allora? Una bella ricerchina su Google, dai su. Lì sono proprio morto dentro, devo ammetterlo.
Diciamo, però, che a differenza, dei suoi precedenti lavori, in 6 Underground, Michael Bay si prende molto meno sul serio. Punta molto di più sul fattore volutamente trash, perché tanto sa che incasserà molto come sempre, perché ci sono comunque moltissimi fan del suo stile là fuori e nel bel mondo di Internet. Quindi, largo ad abbondanti citazioni da film e serie TV (estremamente concentrate in uno specifico punto della pellicola, in particolare), battute ad effetto ormai sdoganate mondialmente e dialoghi profondi quanto una pozzanghera. Profondità che, come scritto sopra, viene ripresa anche nella trattazione dei differenti personaggi della pellicola e del loro passato, trasformati in marionette asservite ad una finalità puramente action e pirotecnica. Banali, stereotipati, insulsi, piatti, mediocri. Tutti i personaggi di 6 Underground non sono altro che macchiette, schiacciate da un’intenzione completamente votata alla spettacolarità delle scene d’azione. Partendo da “Uno”, passando a “Tre”, arrivando, infine, al villain del film, tutti sono figure dimenticabilissime, senza un accenno di evoluzione ben resa o di guizzo narrativo. Dal canto loro, gli attori principali, in particolar modo Ryan Reynolds e Manuel Garcia-Rulfo, tentano di riparare il danno e il crimine narrativo compiuto dagli sceneggiatori della pellicola e dalla direzione di Michael Bay. Gli interpreti, impegnati in 6 Underground, colmano a loro modo le falle del film con una recitazione, come deducibile, discontinua e disequilibrata, ma, in linea di massima, comica e puramente sopra le righe. Convince Ryan Reynolds – abituato ormai alla comicità un po’ grezza e becera dopo Deadpool -, ma lo stesso non si può dire di tutti gli altri attori coinvolti, tra cui Ben Hardy (che aveva fatto un buon lavoro come Roger Taylor in Bohemian Rhapsody).
La fotografia, il montaggio e la colonna sonora riusciranno a riparare al mezzo disastro tecnico e filmico che è 6 Underground? Diciamo… in parte. La colonna sonora è sicuramente il comparto più curato della produzione e non sto scherzando. Tracce affidate a DJ come Armin Van Buuren e a grandi gruppi di musica elettronica come i Muse risollevano un’impalcatura pericolante dal punto di vista tecnico, ritmando ed aumentando l’intensità di numerose delle scene d’azione presenti. Peccato che, a rovinarle il lavoro, ci pensi il montaggio a sei mani di Roger Barton, William Goldenberg e Calvin Wimmer. Caotico, confusionario, fin troppo rapido, esso è uno dei fattori maggiormente responsabili della difficoltà nel seguire lo svolgimento di un’azione all’interno della pellicola. A ciò aggiungiamo alcune brutte scelte registiche ad opera del regista e siamo a cavallo proprio. Non parliamo poi della fotografia, forse una delle componenti più altalenanti di tutto il film. Alcuni flare sparati alla massima densità, un velo patinato e una mancanza d’idee stilistiche generali e abbiamo la fotografia, presieduta da Bojan Bazelli che, senza dubbio, se l’era cavata meglio in Burlesque, film forse più indicato, visto il tipo di fotografia che richiedeva; qui, fuori luogo e fin troppo caricata. In conclusione, 6 Underground è indubbiamente un film che ha fallito, un film che se gestito meno testosteronicamente avrebbe potuto dare molto di più, anche da un punto di vista della trama. Una pellicola che vorrebbe raggiungere i livelli d’intrattenimento e action di altre più riuscite come A-Team di Joe Carnahan, ma che fallisce miseramente, perché affidato ad un megalomane e narcisista come Michael Bay, qui, nella regia, a metà tra un found-footage, qualche film di serie Z, qualche momento di Transformers, un brutto Buz Luhrmann e un videoclip musicale. 6 Underground è un film che vorrebbe intrattenenere, ma che finisce per annoiare, perché ridondante sia nella sua struttura che nei suoi sbocchi puramente trash che, alla lunga, diventano ripetitivi. Quello che mi ricorderò dell’ultima produzione Netflix (la più costosa, ripeto)? Qualche scena puramente trash che mi ha fatto morire dal ridere e le varie citazioni di prodotti multimediali sparsi qua e là per la pellicola. Diciamolo tutti insieme. Qualcuno fermi Michael Bay! Con quello che si è speso per questo lungometraggio, la A24 o la Blumhouse ne tiravano fuori quattro di film, sicuramente migliori di questo. Michael, ti prego, la regia non è e non deve essere più il tuo “hobby”. Produci e basta che poi tiri fuori piccole perle come A Quiet Place. Grazie!