TITOLO ORIGINALE: L'ombra del giorno
USCITA ITALIA: 24 febbraio 2022
REGIA: Giuseppe Piccioni
SCENEGGIATURA: Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella e Annick Emdin
GENERE: drammatico, sentimentale
Con L'ombra del giorno, Giuseppe Piccioni e Riccardo Scamarcio intendono utilizzare, più o meno volontariamente, i luoghi comuni del film di ambientazione storica per parlare, come sempre si fa e sempre si è fatto, dell'oggi. In questo discorso rientrano, per forza di cose, gli ultimi due anni e mezzo di emergenza sanitaria che hanno inevitabilmente intaccato la lavorazione della pellicola, anzitutto sotto il profilo della messa in scena. L’opera, infatti, la si potrebbe definire un Kammerspiel con tutti i crismi, dove pertanto il rapporto tra esterno e interno di un luogo per preciso è del tutto determinante e coerente ai fini semantici dell'operazione. Più semplicemente, L'ombra del giorno è un semplice, ma non banale gioco attoriale di sguardi che punta tutto sulla bravura e sinergia tra un ottimo Riccardo Scamarcio, una Benedetta Porcaroli fin troppo "visibile" ed un Lino Musella ineccepibile. Un film più convincente del previsto che non si accontenta delle sole apparenze da complicata storia d’amore, ma punta a qualcos'altro di ben più alto e complesso.
Ormai si sa: nessun regista dirige e/o scrive un film di ambientazione storica solo per il gusto di realizzare l'elegante affresco di una determinata epoca - e chi lo fa è perché forse non è mosso da intenti poi così nobili o complessi. Invero, realizzare un film storico rappresenta sempre un modo per parlare di qualcosa che è proprio o si ripete nel presente, nel quotidiano, nel contingente, nel qui e ora. Dunque, un modo per riflettere sull'irrequietezza del proprio autore o su una o più delle inquietudini momentanee della società di cui fa parte.
È quello che fa, tanto per citare un esempio recente, il francese Xavier Giannoli nel suo Illusioni perdute, trasponendo su schermo il celebre romanzo di Honoré de Balzac per mostrarcene la natura avveniristica, moderna ed attualissima in merito ad un tema come quello delle fake news o, più generalmente, del volubile chiacchiericcio mediatico. La stessa cosa la vorrebbero fare Giuseppe Piccioni (qui, regista e sceneggiatore) e Riccardo Scamarcio (prima produttore, poi protagonista) con L’ombra del giorno, un dramma storico-politico che si assenta per qualche istante nel reame del dramma romantico-sentimentale, ambientato nell’Italia fascista degli anni ‘30, più precisamente in un’insolita ed intuibile Ascoli Piceno.
Scriviamo intuibile, perché, tra i collegamenti sintomatici ravvisabili durante la visione del film - oltre ai temi più concreti, epidermici e subito evidenti legati al valore della disobbedienza (“A volte, disobbedire ad una legge sbagliata è un obbligo” si dirà ad un certo punto), al fenomeno della discriminazione, ghettizzazione o peggio nei confronti di ebrei e dissidenti politici ad opera del fascismo, al dramma della guerra in genere (non solo la Seconda o la Prima Mondiale, con l’annesso recupero del concetto di “vittoria mutilata”), dunque all’ennesimo ritratto polemico del Ventennio, delle sue promesse non mantenute e delle atrocità commesse -, la pellicola di Piccioni traccia più di un’intersezione con la realtà pandemica con cui tutti noi, negli ultimi due anni e mezzo, abbiamo dovuto fare i conti.
Come racconta lo stesso cineasta al Corriere di Bologna, la sceneggiatura “è stata scritta prima della pandemia, ma poi si è sentita nell’aria quell’atmosfera di controllo e isolamento entrata anche nel film. La pandemia - continua - ci ha costretto a scelte che si sono rivelate azzardate”. L’emergenza sanitaria ha quindi intaccato il risultato e la natura de L’ombra del giorno, e lo ha fatto anzitutto sotto il profilo della messa in scena. L’opera, infatti, la si potrebbe definire un Kammerspiel con tutti i crismi, dove pertanto il rapporto tra esterno e interno (in questo caso) dello storico Caffè Meletti di Ascoli - che si affaccia su una Piazza del Popolo che vediamo quasi sempre deserta - è del tutto determinante e coerente ai fini semantici dell'operazione.
Difatti, la storia vede per protagonista Luciano (Scamarcio), simpatizzante e membro atipico, per non dire incurante, del fascismo, eroe e reduce della prima guerra mondiale ferito nell’orgoglio, ancor prima che nel corpo; che, dopo l'esperienza bellica (e in seguito ad una delusione d’amore), ha deciso di rilevare l’avviata e prestigiosa attività ristorativa del padre, per poi chiudersi in un ermetismo e reticenza tanto esistenziali, emotivi ed ideologici, quanto geografico-spaziali.
Le giornate, Luciano, le passa nel suo Caffè, dove, invisibile, spia dalle vetrate del suo locale ciò che succede al di fuori, il dramma umano che si consuma (od è a punto di farlo), i cambiamenti e gli stravolgimenti che sta attraversando il mondo là fuori, senza interferire più di tanto, sentendosi sicuro nella e della propria posizione di padre padrone di un microcosmo di cui può controllare e dirigere tutto. Abilità, quest'ultima, memore di un passato illustre, dove egli era veramente convinto(?) di quello che andava facendo, che ora però sembra sbriciolarsi appena varcata (o non varcata) la soglia della porta a vetri del suo Caffè; una volta venuto a conoscenza con un reale ed un presente che seguono un ritmo diverso dal suo.
La sua vita continua di questa lena, fino a quando, un giorno, non fa la conoscenza di Anna (Benedetta Porcaroli), una ragazza brillante, intelligente e sorprendentemente colta che gli si rivolge per un lavoro da cameriera, ma che - il ristoratore lo scoprirà poi - custodisce un segreto (non poi così recondito) che potrebbe cambiare tutto e portare quell’esterno, quel mondo ad irrompere con violenza, pericolosità e tono inquisitorio nel microcosmo perfetto, equilibrato e collaborazionista di Luciano ed eventualmente metterlo in seria difficoltà.
Un semplice, ma non banale gioco attoriale di sguardi: così potremmo riassumere l’essenza più vera e precisa de L’ombra del giorno. A tal proposito, la ricca e suadente macchina cinematografica sapientemente retta, con grande assertività, chiarezza di intenzioni ed armonia compositiva, da Piccioni e completata, a sua volta, da una fotografia ben orchestrata, ma creativamente stanca ed antiquata di Michele D'Attanasio (Freaks Out era tutt’altra cosa) e dalla discreta colonna sonora di Michele Braga; fa di tutto per favorire e far emergere le capacità e il lavoro di un complesso attoriale forse non perfetto in termini di casting (vi lasciamo intendere chi sia troppo adulto e chi viceversa troppo giovane per il ruolo che dovrebbe interpretare), ma dall’indubbia e generale sintonia.
Il riferimento è appunto ad un Riccardo Scamarcio che forse proprio per la sua pseudo-immagine divistica, per il suo volto e il suo fascino enigmatici, ma anche per il suo essere sempre accigliato, cupo e malinconico, risulta a dir poco perfetto per il personaggio di Luciano (anzi, quello del ristoratore potrebbe rappresentare il ruolo della rivincita del fu Step di Tre metri sopra il cielo), ad una Benedetta Porcaroli che qui non dimostra purtroppo la sperata maturità espressiva, apparendo sempre fin troppo chiara ed indiscussa sullo schermo, ma anche e soprattutto ad un Lino Musella ormai specializzatosi in personaggi ambigui e melliflui di questo tipo (vedi Il bambino nascosto), qui nei panni di un villain talmente credibile da sovrastare (finalmente) in memorabilità i due protagonisti.
Specie considerando che ci troviamo di fronte - come sopra - all’ennesimo affresco dell’Italia sull’orlo e durante la Seconda Guerra Mondiale (con tutti i luoghi comuni del caso), il risultato finale è quindi più convincente del previsto. Arricchito da un uso più che soddisfacente dei meccanismi tensivi, nonostante qualche scivolone nella retorica e in un eccessivo simbolismo (le metaforiche visioni nella dirimpettaia Piazza del Popolo) ed una disuguaglianza ritmica non indifferente tra prima e seconda parte, si potrebbe quasi(!) dire che quella alla base de L’ombra del giorno sia un’idea di cinema stimolante, che non si accontenta delle sole apparenze da complicata storia d’amore, ma punta a qualcos'altro di ben più alto e complesso.
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