TITOLO ORIGINALE: Il bambino nascosto
USCITA ITALIA: 4 novembre 2021
REGIA: Roberto Andò
SCENEGGIATURA: Roberto Andò, Franco Marcoaldi
GENERE: drammatico
Film di chiusura della 78ª edizione del festival del cinema di Venezia
Film di chiusura dell'ultima edizione del festival del cinema di Venezia, Il bambino nascosto, adattamento che il regista-autore Roberto Andò trae dal suo libro omonimo, è un film che sfrutta un immaginario ammiraglio della nostra produzione audiovisiva per dare vita ad un testo tanto originale quanto convenzionale, che è anche e soprattutto un racconto di prospettive, punti di vista e sguardo. Nonostante l'indiscutibile chimica che sussiste tra un magnifico Silvio Orlando ed un sorprendente Giuseppe Pirozzi, la pellicola non riesce tuttavia ad equilibrare una sintesi formale ineccepibile e valida con un contenuto parimenti imperdibile e rifuggente dai luoghi comuni del melodramma.
Due sequenze sono tutto ciò che serve a Il bambino nascosto per fugare ogni dubbio ed illustrare allo spettatore ciò che vedrà nei successivi 110 minuti.
Film di chiusura dell’ultima edizione del festival del cinema di Venezia, l’adattamento che il regista-romanziere Roberto Andò trae dal suo libro omonimo sfrutta un immaginario ammiraglio della nostra produzione audiovisiva per dare vita ad un melodramma tanto originale, quanto solito e convenzionale, che è anche e soprattutto un racconto di prospettive, punti di vista e sguardo (oggettivato o soggettivato che sia).
Guardare, infatti, è proprio quello che il prof. Gabriele Santoro (Silvio Orlando) fa dalla finestra del suo appartamento, nella primissima inquadratura de Il bambino nascosto. Il soggetto o, meglio, i soggetti di questo suo spiare - azione che egli ripete costantemente e con insistenza, e che dunque lo definisce in quanto voyeur, quasi fosse il protagonista di un giallo all’italiana o di un intrigo hitchcockiano - sono un gruppo di persone che stanno discutendo animatamente in strada. Tra di loro, un bambino che, oltreché fulcro di questo alterco notturno, sarà anche colui che stravolgerà da cima a fondo l’esistenza dell’uomo.
Egli è infatti un professore di pianoforte laconico, severo, schivo e riservato, intrinsecamente colto e raffinato. Uno che, da tempo (e per ragioni che forse scopriremo durante il corso del film), ha celato al mondo la propria vera natura. Un uomo rispettato da tutti - tranne che dal fratello magistrato - a cui importano però solo “i cazzi suoi”, siano essi compresi fra i quattro muri di casa sua o nel tragitto dall’abitazione al conservatorio in cui insegna. A cui basta recitare davanti allo specchio passaggi dell’Odissea per sentirsi realizzato. Che, seppur di famiglia benestante, ha scelto di continuare a vivere in un appartamento che, per quanto elegante, è comunque situato in uno dei quartieri più malfamati di Napoli - forse perché trattasi di un habitat nel quale il suo dramma può essere mascherato da un altro ben più angoscioso. Un individuo dall’incredibile talento per la musica e la sua esecuzione, che tuttavia non traduce mai in una passione chiara e manifesta.
Un personaggio nel senso dickensiano del termine: ordinario e dall’esistenza vana e vacua, che non avrebbe mai a che fare con quelle “avventure” ed “esperienze” (plurale!) raccontate nel capolavoro omerico, non fosse per una prepotente, quanto fortuita entrata dello straordinario (inteso come fuori dall’ordinario) nelle fibre della sua quotidianità. È infatti tra una sbarbatura e la consegna di un pacco che, nella vita di Gabriele, fa la sua comparsa Ciro (Giuseppe Pirozzi), quel ragazzo che, la sera prima, il professore aveva spiato dalla finestra; quel bambino ricercato da un importante camorrista che l’uomo sarà chiamato - per compassione, senso morale, desiderio di realizzazione - a nascondere.
Reminiscenza accordata sulle urgenze del presente di un periodo della storia italiana che vorremmo cancellare, ma che è vitale ricordare, Il bambino nascosto, il suo processo compositivo, così come molti dei risvolti e degli espedienti che sceglie di adottare, ricordano in maniera eclatante La vita davanti a sé di Edoardo Ponti, film che vede una stella del nostro cinema convivere con un ragazzino che è incarnazione di una realtà contingente, problematica ed improrogabile del nostro paese.
Se lì a farla da padrone era una Sophia Loren disarmante, qui abbiamo invece un Silvio Orlando ermetico, remissivo e debole che, solo attraverso la cura di questo bambino nascosto e il tentativo di opposizione al suo destino spietato (sospeso tra amore e giustizia), riuscirà a riscattare la propria vera essenza e a spendere un’umanità ed affettività da tempo sepolte.
Se lì era una storia di ultimi, di esclusi, di emarginati sulla base di motivi quali il razzismo e l’immigrazione, qui, sulla scia di un rapporto paterno-amichevole che ha i suoi momenti alti, si parla viceversa di un contesto mafioso e criminale che, nella sua messa in scena specifica, richiama quell’immaginario gangsteristico succitato.
Immaginario che Andò è abile nel relegare agli angoli dell’immagine, nelle pieghe della messa in scena, al di fuori dell’appartamento in cui - proprio a causa di questo contesto nocivo, che non per questo si astiene dall’invadere l’ambiente casalingo sotto forma di un magnifico Lino Musella - si consuma un melodramma generazionale, culturale ed emotivo. Una parabola laica ed intima che diventa un qualcosa di collettivo e totalizzante. Un testo dai canoni prettamente teatrali che si rivitalizza solo nel momento in cui sceglie di rompere i limiti formali di questa sua teatralità, sorvolando i confini di una centralità dello sguardo dei personaggi (magari mostrando qualcosa di cui essi stessi verranno a conoscenza qualche minuto più tardi), dunque rivelando ed evidenziando la presenza di un’istanza narrante.
Malgrado sia senz’altro un film più ricco, autosufficiente e riuscito de La vita davanti a sé, Il bambino nascosto non riesce tuttavia ad equilibrare un discorso formale ineccepibile e valido (merito anche della suadente fotografia di Maurizio Calvesi) con un contenuto parimenti imperdibile e rifuggente dai luoghi comuni del melodramma. E purtroppo non c’è nulla che un originale sguardo sulla criminalità organizzata, una vibrante chimica tra Silvio Orlando ed un sorprendente Giuseppe Pirozzi (su cui la pellicola fonda tutto il proprio potenziale affabulatorio), ed una colonna sonora riccamente minimalista possa fare a riguardo...
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