TITOLO ORIGINALE: The Life Ahead
USCITA ITALIA: 13 novembre 2020
USCITA USA: 13 novembre 2020
REGIA: Edoardo Ponti
SCENEGGIATURA: Ugo Chiti, Edoardo Ponti
GENERE: drammatico
PIATTAFORMA: Netflix
PREMI: GOLDEN GLOBE per la MIGLIORE CANZONE ORIGINALE; DAVID DI DONATELLO alla MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA
Per una fortuita coincidenza, Momo, ragazzo orfano di origini senegalesi, fa la conoscenza e viene affidato a Madame Rosà, ex-prostituta sopravvissuta all’Olocausto. Tra di loro, inizialmente, non sembra scorrere buon sangue, soprattutto a causa delle bravate e del comportamento ribelle del giovane. Tuttavia, più passa il tempo, più i due iniziano a capirsi e aprirsi l'un l'altra. La macchina da presa di Edoardo Ponti segna il ritorno sotto i riflettori della più grande diva del cinema italiano. La vita davanti a sé è un dramma concettualmente non proprio originalissimo, ma raccontato con tutti i crismi di sorta. Una pellicola che, dietro la facciata da mera operazione commerciale, nasconde un’anima tanto semplice quanto profondamente amara. Un’opera che soddisfa in pieno le aspettative, regalando un mosaico di interpretazioni da non perdere.
Bari. Città vecchia. Un bambino osserva, con fare delittuoso, un’anziana signora che si aggira fra le bancarelle del mercato con una borsa contenente due candelabri d’argento. Ad un certo punto, questi comincia a correrle incontro, riuscendo a strapparle dalle mani la borsa, il cui contenuto rappresenta, per entrambi, una forma di sostentamento. Forse l’unica. Infatti, i due intendono vendere questa coppia di candelabri semplicemente per racimolare due spicci con cui pagare l’affitto oppure per guadagnare rispetto e farsi un nome, entrando a far parte di un giro di spaccio locale. Nient’altro che paccottiglie kitsch e di poco valore, questi pezzi d’arredo non saranno tanto un mezzo per sottrarsi alla povertà in cui versano ambedue - così distanti culturalmente e anagraficamente, eppure così simili -, quanto il pretesto che li farà incontrare, per non dividerli mai più. Lui è Momo, dodicenne orfano di origini senegalesi, lei Madame Rosà, ex-prostituta, sopravvissuta ad Auschwitz, che, ora come ora, si guadagna da vivere ospitando bambini a casa sua. Lui è un Oliver Twist dei giorni nostri, lei una signora che non riesce a superare un trauma passato che è ancora fin troppo vivo nei suoi ricordi e nella sua mente. Tuttavia, come si suol dire, gli opposti, in qualche modo, si attraggono e questo scippo - con annessa caduta di Rosà - si convertirà forse in una delle coincidenze più belle e significative della loro vita.
Questo, in breve, l’incipit da cui prende il via La vita davanti a sé, terzo lungometraggio di Edoardo Ponti, adattamento del romanzo omonimo - vincitore del premio Goncourt - scritto da Romain Gary, disponibile, da un paio di giorni (13 novembre 2020, ndr), in streaming su Netflix. E finalmente - diremmo - Netflix torna a proporre - dopo la tripletta The Irishman, Storia di un matrimonio e Klaus dell’anno scorso - dei contenuti cinematografici degni di tal nome e, oltretutto, arricchenti per la piattaforma e la sua offerta. Infatti, a discapito di qualsiasi tipo di scetticismo e perplessità, La vita davanti a sé è veramente splendido come sembra. Questa bellezza e riuscita sono però legate unicamente alla sola presenza di un’incantevole Sophia Loren tra il cast? Andiamo con ordine e torniamo “all’inizio, quando niente era scritto”. Figlio (d’arte) del produttore Carlo Ponti e della stessa Loren, Edoardo Ponti è una personalità registica ancora sconosciuta al grande pubblico, nonché tuttora subordinata, a livello di immagine, alla grandezza della figura materna e a ciò che essa ha significato per la storia del cinema. In tal senso, proprio questo La vita davanti a sé potrebbe rappresentare un'opportunità irripetibile - vista la diffusione della piattaforma distributiva e la riuscita intrinseca dell’opera - per farsi un nome e iniziare a “camminare con i propri piedi”. Tale crescita professionale e artistica - che si avvicina, per certi versi, a quella sperimentata dal nostro Momo e rappresentata dal cineasta mediante un approccio solido quanto tradizionale all’uso della macchina da presa - si converte ben presto nella colonna portante e determinante l’intera impalcatura filmica.
Una direzione che, seppur ordinaria e mai rivoluzionaria, riesce a soddisfare in toto l’intento principale del testo filmico: un’immedesimazione totale e cieca da parte dello spettatore, nei confronti della storia intrecciata di un bambino che deve trovare il suo posto nel mondo e di un’anziana donna, sopravvissuta (in parte) ad uno dei momenti più bui della storia umana. Ponti muove in maniera delicata e quasi impercettibile la cinepresa, mostrando al pubblico soltanto la porzione fisica e superficiale - e lasciandogli intravedere quella nascosta e pulsante - di un dramma conservato ermeticamente e gelosamente dai suoi protagonisti e che soltanto loro possono comprendere fino in fondo. Tra una valorizzazione ed evidenziazione di ambientazioni sature e sovrappopolate, curiosi giochi di prospettiva e sequenze fondate quasi esclusivamente su di una rincorsa di sguardi e attenzioni, che, talvolta, appare molto più espressiva dei dialoghi in sé, la regia de La vita davanti a sé si rivela essere componente imprescindibile per una resa quanto più esauriente e appagante possibile del racconto, oltre che ottima e consapevole nella gestione dei suoi attori.
Un’elegantissima e affascinante - così tanto da bucare lo schermo in ogni sua apparizione - Sophia Loren fa da apripista ad uno stuolo di grandi nomi attoriali del calibro di Renato Carpentieri e Massimiliano Rossi e di volti nuovi come Ibrahima Gueye, interprete di Momo. Interessante e funzionale, a tal proposito, l’accostamento di uno sconosciuto ed esordiente Gueye con la diva - vincitrice di due premi Oscar - per eccellenza del cinema italiano che, oltre ad un supporto interpretativo vicendevole, favorisce ulteriormente quell’idea di “strana coppia”, dalla sintonia e chimica, ciò nonostante, fenomenale e sorprendente. Loren, Carpentieri, Rossi, Gueye e molti altri sono la chiave di volta e l’eccellenza performativa di una sceneggiatura (scritta da Ponti con Ugo Chiti) che apporta cambiamenti sostanziali alla materia d’origine, rendendola ancor più attuale e concreta. La vita davanti a sé non è uno di quei drammi che vogliono trattare argomenti rilevanti e “caldi”, ma, nel farlo, si perdono in forme pretestuose, indigeste e stucchevoli, cercando a tutti i costi la lacrima dello spettatore e puntando tutto su una serie di eventi che conducono ad un finale tragico e dalle dinamiche gonfiate. Il film e lo script di Ponti delineano infatti una narrazione e uno sviluppo bilanciati e attenti, in cui quasi tutto sembra accadere naturalmente, senza ingannare la presenza di un burattinaio alla base.
Dialoghi schietti e genuini (in cui la parolaccia è consuetudine, soprattutto inizialmente), la caratterizzazione tangibile di figure tutt’altro che eroiche o pure e una scrittura che sa dosare bene indoli e coefficienti di racconto e personaggi sono i tre fattori fondamentali di un intreccio che è, allo stesso tempo, romanzo di formazione e rappresentazione della crescita forzatamente accelerata di un bambino, film argomentativo su temi come povertà, criminalità minorile, olocausto e immigrazione - tra i due concetti, la messa in scena stabilisce un interessante e coraggioso parallelismo -, transessualità (con una figura di “almodovariana” memoria), maternità naturale e acquisita; e melodramma basato su un rapporto che, una volta formatosi, diventa inscindibile. Il tutto sullo sfondo di una Bari labirintica, caotica, personale, opprimente, quasi impenetrabile che diventa palcoscenico di sentimenti umani, vitali, vibranti e, in particolar modo, spontanei e mai eccessivamente costruiti - sia narrativamente sia attorialmente.
E' proprio quando non ci credi più che succedono le cose belle.
Madame Rosà (Sophia Loren)
In definitiva, La vita davanti a sé si configura come un’opera tutt’altro che perfetta - su questo non ci sono dubbi -, ma che, malgrado ciò, riesce a scavarsi un anfratto nel cuore del pubblico, portandolo ad appassionarsi alle vicende di Momo e della fu Cesira di De Sica, qui invecchiata giusto di qualche anno, ma dallo charme e carisma inconfondibili. Una pellicola che, pur con la sua semplicità e, talvolta, superficialità nella trattazione di certi discorsi, riesce a instillare una riflessione e ad imprimersi indelebile nel ricordo e nell’emotività di chi guarda. Merito, questa memorabilità, di un pre-finale che - servendosi di un paio di ottime interpretazioni, una messa in scena efficiente, un paio di linee di dialogo semplici ma incisive e facendo sue le potenzialità dell’ellissi - dà vita ad uno scenario duro e amaro che riassume per intero l’essenza affettiva e sentimentale del film, oltre a rappresentare il culmine dell’evoluzione caratteriale del suo protagonista. Peccato soltanto che l’epilogo vero e proprio risulti essere, per contro, fin troppo retorico, annullando conseguentemente l’urto viscerale assestato qualche minuto prima. Eppure, questo non ci ostacola dal definire La vita davanti a sé un fulmine a ciel sereno all’interno del catalogo di Netflix. Il ritorno, di fronte alla macchina da presa, di un’attrice maestosa che - rispondendo alla domanda posta sopra - non rappresenta tanto l’unica ragione della riuscita del progetto, quanto il veicolo attrattivo per far conoscere al grande pubblico una storia certo non proprio originalissima, ma raccontata con tutti i crismi.
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