TITOLO ORIGINALE: Illusions perdues
USCITA ITALIA: 5 gennaio 2022
REGIA: Xavier Giannoli
SCENEGGIATURA: Xavier Giannoli, Jacques Fieschi
GENERE: storico, commedia, drammatico
Presentato in concorso alla 78ª edizione del festival del cinema di Venezia, Illusioni perdute è l'adattamento che il francese Xavier Giannoli trae dal classico attualissimo e, per certi versi, quasi profetico di Honoré de Balzac. Un film in cui, a partire e sulla base del racconto aspro, pungente e convulso (alla The Wolf of Wall Street) del contesto sociale, politico e culturale della Parigi della Restaurazione, il regista, in coppia con lo sceneggiatore Jacques Fieschi, riesce a costruire il fascino indiavolato, la fervida affabulazione, il sano divertimento e l’incontestabile riuscita di un racconto fedele al testo originale che, mettendoci profondamente in crisi, ci chiede fin dove siamo disposti a spingerci per ottenere ciò che vogliamo o, spesso, ciò che non vogliamo.
Fin dove si è disposti a spingersi per ottenere ciò che si vuole o, spesso, ciò che non si vuole? Fino a quale punto si può demolire e ci si può demolire eticamente e moralmente, prima di perdere di vista il vero punto di partenza, l’ambizione originaria, la scintilla iniziatica che ci ha spinti ad iniziare un dato percorso di vita o, nel caso del giovane Lucien de Rubempré - protagonista dell’adattamento che il regista Xavier Giannoli trae dall’avveniristico, moderno e (già allora) dirompente Illusioni perdute scritto tra il 1837 e il 1843 da Honoré de Balzac -, un’impetuosa e viziosa discesa negli inferi?
“A forza di stroncare, non mi ricordo nemmeno più se il libro mi sia piaciuto o meno” dice lo stesso Lucien al capo redattore e amico Étienne Lousteau, in uno dei momenti di svolta del racconto composto da Giannoli in coppia con Jacques Fieschi. Una frase che, pur nella sua apparente trivialità, sintetizza al meglio il livello di corruzione ed assuefazione raggiunti dal giovane ragazzo originario di Angoulême nei confronti della giungla (con tanto di bestie esotiche) sociale, politica ed artistica della Parigi della Restaurazione.
Infatti, la Parigi e la Francia di Illusioni perdute sono rispettivamente una città ed una nazione in cui un’aristocrazia decadente, imbolsita, sgonfiata ed imbruttita finanche alla caricatura grottesca ha ripreso ciò che, prima della Rivoluzione, era suo di diritto. Che, pur perseguendo la lezione illuministica dei loro padri e continuando a professare il culto romantico dell’avventura della bellezza, non sono mai state così malevole, ipocrite, misere e frammentate. Che si sono da tempo vendute ad un liberalismo perverso e sfrenato.
L’eterna città dell’amore baciata dalla Senna, prima nel capolavoro di Balzac e poi nella pellicola di Giannoli, si rivela essere un palcoscenico le cui scene sono sempre illuminate, dove la vera commedia è quella che si svolge durante l’intervallo, quella dei pettegolezzi, degli scandali, delle polemiche costruite a tavolino, degli sguardi e dei gesti di troppo. Un circo sempre allestito in cui ogni categoria umana, sociale e professionale è disposta a prostituirsi e genuflettersi al miglior offerente per risplendere al centro dei riflettori. Una visione ancor più deforme e tragicomica del biblico tempio di Gerusalemme, dominato dal circolo vizioso della compravendita e dall’ascesa subdola della pubblicità, all’interno del quale tutto ha un prezzo, un valore suscettibile di cali e rialzi (basta pagare): dall’arte, alle persone, fino ad arrivare alla stessa storia di Francia (esilarante, in tal senso, il ricordo del passato prossimo, ovvero di Napoleone, relegato ad un insulso quadretto da vetrina disponibile all’acquisto) e all’eterno riposo.
Un mondo in cui tutto ciò che si potrebbe definire puro, nobile o vero non è rilevante semplicemente perché non è di tendenza, non fa chiacchiera, non produce conflitto.
È proprio a partire e sulla base del racconto aspro, pungente e convulso (alla The Wolf of Wall Street, per intenderci) di un contesto sociale, politico e culturale passato che dialoga direttamente con il presente e che, con il senno del tempo, appare quasi profetico, che Xavier Giannoli costruisce il fascino indiavolato, la fervida affabulazione, il sano divertimento e l’incontestabile riuscita del suo Illusioni perdute. Una disamina eterogenea che non risparmia nessuno e che, pur scivolando su una verbosità eccessiva (specie nell’uso spiccatamente letterario e perciò didascalico del voice-off), su una ridondanza fragorosa e su una peccaminosa sovraesposizione, trova, nella sua integrazione ed interazione con l’odissea esistenziale disillusiva e fallimentare del protagonista Lucien de Rubempré, un supporto utile grazie al quale elevarsi ben sopra la media.
Un meraviglioso e seducente Benjamin Voisin - con la sua armoniosa ed indulgente fisicità e il suo volto angelico - combinato all’attenzione e alla (sempre giusta) misura con cui Giannoli lo inserisce e spesso favorisce all’interno del piano, sono ciò che basta ad Illusioni perdute per agganciare e coinvolgere - almeno inizialmente - lo spettatore nel frenetico, inebriante e sorprendente racconto delle prime volte di un campagnolo con il sogno della letteratura, nel momento in cui entra a contatto con il mondo che potrebbe sì esaudire i suoi sogni, ma che gli si rivela come l’esatto opposto di ciò che lui aveva sempre idealizzato; e del conseguente patto col diavolo di faustiana memoria con cui egli si prostra convenientemente con questo stesso mondo e, in particolar modo, con la sua propaggine più torva: la fu stampa d’opinione, ora stampa commerciale asservita al sistema, in una specie di controcampo de L'ufficiale e la spia di Roman Polanski.
Tuttavia, Giannoli & co., questo interesse e questa chirurgica identificazione con i destini della scalata (e successivo tramonto) di Lucien e delle sue ambizioni e con la sua esplorazione di questa mostruosa nudità umana, riescono a mantenerli vivi ed intensi per quasi(!) tutta la durata di Illusioni perdute, grazie alle ottime interpretazioni di un cast ben assortito (tra cui figurano Gérard Depardieu, Xavier Dolan ed una incantevole Salomé Dewaels), ad una critica aspra e pungente contro la critica, e ad una scrittura intelligentissima che riesce a convertire i propri potenziali difetti - su tutti, il suo essere ridondante e sovrabbondante - in un’ulteriore e coerente laccio simbiotico tra protagonista e pubblico.
Ad un certo punto infatti, tanto Lucien quanto lo spettatore stesso sono così attorcigliati, ebbri ed assediati da questa babilonia rumorosa, volubile, falsa e sfuggente, che, avvicinandosi alla seconda ora, la pellicola giunge (forse troppo tardi) ad un punto di rottura, alla più cocente delle varie illusioni perdute promesse dal titolo.
Quasi si trattasse di una rotativa esausta da tutto quel demolire, infangare, ironizzare, manipolare e falsificare, il film inizia a sgonfiarsi e ad arrestare progressivamente quel ritmo indiavolato che è forse uno dei suoi maggiori pregi, facendo confluire tutto il cuore morale, sofistico ed argomentativo del racconto in un finale cinico. Qui, Giannoli sceglie di mettere in scena il secondo, ma ciononostante primo vero battesimo di un Lucien che torna al punto di partenza, dopo esser stato vittima e carnefice, preda e canaglia, amante e rinnegato di un mondo che l’arte e la bellezza non possono aggiustare, ma che, al suo interno, sono forse le uniche cose che possono sopravvivere al vaglio e al potere del tempo.
Per raggiungere le illusioni perdute di un mondo migliore, del mondo che tanto si era sognato, bisogna allora lavarsi o morire, smettere di pensare e cominciare a vivere. Qualcuno potrebbe definirlo privo di personalità, troppo devoto al testo originale, eccessivamente meccanico, ma per chi scrive (messo in profonda crisi intellettuale da questo tentativo di rivisitazione di Balzac) Illusioni perdute di Xavier Giannoli è probabilmente uno dei migliori film dell'anno appena trascorso.
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