TITOLO ORIGINALE: Tout s'est bien passé
USCITA ITALIA: 13 gennaio 2022
USCITA FRANCIA: 21 settembre 2021
REGIA: François Ozon
SCENEGGIATURA: François Ozon
GENERE: drammatico
A partire dal romanzo autobiografico dell'amica e collaboratrice Emmanuèle Bernheim - purtroppo venuta a mancare qualche anno fa per un cancro ai polmoni -, il regista francese François Ozon ci mette di fronte alla vecchiaia, alla demenza, al tramonto della vita, alla morte o, meglio, alla scelta - arbitraria e ostinata - di farla finita. E lo fa nel segno di un lutto che non è però sinonimo di pietà e compatimento, ma anche di quel sempiterno ed insopprimibile desiderio di reinventare i tratti caratterizzanti la propria poetica, i propri totem cinematografici e la propria impronta stilistica in storie simili per quanto diametralmente diverse. Una magnifica e graffiante Sophie Marceau è protagonista di un dramma familiare che, a differenza di quello che si potrebbe pensare, trova la propria forza nel modo in cui riesce a bilanciare, in modo a dir poco miracoloso, il lato più risibile e quello più tragico di un tema e di una dramma come l’eutanasia.
“Da questa storia, tua sorella potrebbe trarre il soggetto per un romanzo” dice il padre André alla figlia Pascale, in uno dei momenti finali di È andato tutto bene. “Tua sorella” è Emmanuèle Bernheim, amica e storica collaboratrice del regista francese François Ozon, purtroppo venuta a mancare un paio di anni fa a causa di un cancro ai polmoni. È andato tutto bene infatti è originariamente il titolo del romanzo autobiografico - che Ozon adatta per il grande schermo proprio a partire dal ricordo della sodale sceneggiatrice - in cui quest’ultima ripensa e racconta il rapporto col padre André, uomo anaffettivo, crudele ed egoista, una volta che questi viene colpito da un ictus e chiede (prima) a lei di aiutarlo a farla finita.
Se, l'anno scorso, nel nitido, intenso e vitale Estate '85, il cineasta francese aveva raccontato - trasponendo Danza sulla mia tomba ed omaggiando, al contempo, Il tempo delle mele di Claude Pinoteau - la tumultuosa storia d’amore tra due giovani ragazzi, rischiarata e tradita dal sole frizzante ed iniziatico della Normandia di metà anni '80; in È andato tutto bene, Ozon ci mette di fronte alla vecchiaia, alla demenza, al tramonto della vita, alla morte o, meglio, alla scelta - arbitraria e ostinata - di farla finita. E lo fa nel segno di un lutto che non è però sinonimo di pietà e compatimento, ma anche di quel sempiterno ed insopprimibile desiderio di reinventare i tratti caratterizzanti la propria poetica, i propri totem cinematografici e la propria impronta stilistica in storie simili per quanto diametralmente diverse.
Malgrado ciò, il regista sembra mantenere una coesione e coerenza con l’inserto precedente della propria filmografia, affidando il ruolo dell’amica Emmanuèle nientemeno che alla star indiscussa di quella iconica pellicola anni ‘80: ad una Sophie Marceau magnifica e graffiante, che egli inquadra con quella limpida sintesi espressiva e quell’eccezionale gestione degli attori che hanno contraddistinto tutto il suo cinema sin dai tempi di Sotto la sabbia (che è forse l’antitesi precisa di È andato tutto bene).
Ad interpretare invece il ruolo del padre André, ci pensa un André Dussollier smorfioso, volubile, patetico, attorialmente pratico ed efficiente, talmente dedito alla credibilità della propria interpretazione da aver volontariamente incontrato dei medici al fine di replicare al meglio i postumi dell’ictus ed essersi sottoposto a lunghe sessioni di trucco prostetico per deformare il proprio viso. Li accompagnano infine una Charlotte Rampling fredda e spigolosa nei panni della madre Claude: una scultrice che è riuscita a scolpire tutto, tranne il suo cuore, una donna che, ancor prima di venir colpita anch’essa dalla malattia, aveva da tempo ripudiato il marito omosessuale; e, nel ruolo della sorella Pascale, una spiritosa e nervosa Géraldine Pailhas, la cui indiscussa chimica con la Marceau costituisce uno dei principali elementi di forza della pellicola.
Tuttavia, a differenza di quello che si potrebbe pensare, È andato tutto bene è ben diverso dal classico dramma familiare con aggiunta di elemento senile che, negli ultimi tempi (nel bene e nel male), sembra aver trovato una propria nicchia fertile. Ozon, infatti, non è per nulla interessato a scandagliare le specificità del linguaggio cinematografico e tradurre in immagini e spazi il labirinto mentale di un uomo che non riesce più a distinguere la realtà dalle proprie angosciose proiezioni (The Father di Florian Zeller). Né tantomeno a ricostruire l’enigmatico ritratto di un padre e il suo rapporto problematico col figlio, seppur servendosi di un processo di flashback simile (Falling - Storia di un padre di Viggo Mortensen). Oppure ancora a dar vita ad un racconto della malattia sentimentale, patetico e lirico (Supernova di Harry Macqueen).
La sua principale forza, È andato tutto bene, la trova piuttosto nel modo in cui riesce a bilanciare, in modo a dir poco miracoloso, il lato più risibile e quello più tragico di un tema e di una dramma come l’eutanasia, rendendo cinematograficamente armonioso l’accostamento di sequenze più agrodolci, contaminate da un’ironia pungente e da un umorismo nero mai esasperato o frivolo, e di altre in cui si deve e si vuole mettere in scena la semplice e banale faccia del dolore.
Unitamente a ciò, Ozon riesce a districarsi con scioltezza e disinvoltura in un procedimento emotivo tutt’altro che semplicissimo. Infatti, più si avanza nel racconto - avvicinandosi dunque alla morte -, più il racconto filmico, i suoi personaggi e i rapporti tra di essi (che sono poi il vero soggetto e motore del film) si scaldano e ravvivano, rivelando un inatteso dinamismo emotivo, ma anche la propria indiscutibile appartenenza ad un cinema comportamentista come quello ozoniano. Ad un cinema che crede fortemente nella semplicità vivace e quasi banale delle cose e, in cui, proprio per questo motivo, diventa possibile accettare il fatto che dietro ogni singolo gesto o scelta dei personaggi vi siano un significato o una spiegazione chiare, immediate e precise. Che non vi possa essere un’opposizione alla scelta del padre, da parte delle due figlie, poiché “è impossibile dirgli di no”. Che non vi siano ambiguità o dietrologismi vari rispetto a quanto rappresentato, in maniera diretta ed evidente, sul grande schermo. Che le cose vadano come devono, proprio perché si ha una fede incrollabile nella persona e nelle sue scelte. E che, in tal senso, non vi sia alcun bisogno di forti agenti di contrasto ed opposizione e dunque di efferati strumenti tensivi.
Invero, più che un film sull’ipocrisia e sulla critica dell’insensibilità del sistema legislativo riguardo al tema dell’eutanasia, È andato tutto bene è una pellicola interessata a parlare di una famiglia che si (ri)assembla emotivamente, fa i conti e si riappacifica con i fantasmi del proprio passato, nel modo più semplice, immediato, banale, ma anche unico e solo, che esista. È andato tutto bene, e come poteva andare altrimenti, diremmo noi.
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