TITOLO ORIGINALE: Supernova
USCITA ITALIA: 16 settembre 2021
USCITA UK: 27 novembre 2020
REGIA: Harry Macqueen
SCENEGGIATURA: Harry Macqueen
GENERE: drammatico
Due attori in assoluto stato di grazia, alla riscoperta del lato più intimo, naturale, commosso, quasi spirituale della propria recitazione, una meravigliosa colonna sonora e sguardi su un'Inghilterra da sogno bastano a fare e salvare un film? È questa la principale domanda che ci si pone durante e in seguito alla visione di Supernova, seconda pellicola scritta e diretta dall'attore britannico Harry Macqueen. Un film smodatamente simile ad Ella & John di Paolo Virzì che, sulla scia dei coevi The Father e Falling - Storia di un padre, mette in scena il dramma della demenza, questa volta, all'interno di una coppia alto-borghese omosessuale, ma che lo fa attraverso una messa in scena così poco incisiva e fredda ed una sceneggiatura talmente proverbiale, da non potersi definire del tutto imperdibile.
Gli piace vincere facile a Supernova, secondo film scritto e diretto dall’attore inglese Harry Macqueen, che, se con il suo esordio (Hinterland, 2014) - un road movie sullo sfondo di una Cornovaglia indomita, travolgente e visivamente affascinante - aveva provato ad esplorare i sentieri dell’amore, dell'introspezione e del cambiamento, qui fa essenzialmente la stessa cosa, solo servendosi di due nomi e volti attoriali del calibro di Colin Firth e Stanley Tucci, che appunto gli assicurano la vittoria. Almeno, tra il pubblico.
Così come il predecessore, Supernova è dunque un film di viaggio che segue le vicende di una coppia che attraversa l’Inghilterra - in questo caso, quella rurale del Lake District - in camper per visitare i luoghi del proprio passato e della propria giovinezza e far visita ad amici e parenti, per quella che, con tutta probabilità, potrebbe essere l'ultima volta. Quantomeno, per uno dei due. Infatti, a Tusker (Tucci), scrittore di successo, è stata diagnosticata una forma abbastanza aggressiva di demenza precoce, cosa che, come ovvio che sia, stravolge irrimediabilmente la stabilità della coppia e la vita del compagno Sam (Firth), talentuoso e famoso pianista allontanatosi da tempo dalla scena musicale e dal palcoscenico, il quale inizia a temere un futuro senza colui che, a detta sua, è il più grande amore della sua vita.
Quello che però bisogna chiedersi è: due attori in assoluto stato di grazia, alla riscoperta del lato più intimo, naturale, commosso, quasi spirituale della propria recitazione, un paio di sguardi su un’Inghilterra da sogno, elegiaca e coinvolgente, ed una meravigliosa colonna sonora firmata Keaton Henson bastano a fare di Supernova un’opera se non riuscita, perlomeno imperdibile?
A nostro avviso, sì. Infatti, la pellicola di Harry Macqueen sarebbe da vedere anche solo per la naturalezza, l’apparente facilità e l’immedesimazione che un Colin Firth ed uno Stanley Tucci in due delle loro migliori prove infondono nell’attuazione di un dramma che, sulla carta, potrebbe invece apparire come un qualcosa di già visto, banale o ridondante (specie se contiamo che, solo in questa annata cinematografica, abbiamo avuto già due film che parlano dello stesso argomento: uno è l’incantevole e stimolante The Father, l'altro il più ordinario Falling - Storia di un padre), oltre che di smodatamente simile al meraviglioso Ella & John di Paolo Virzì; ma che, proprio nelle loro performance, trova un mezzo per imporsi nella memoria del suo pubblico.
D'altro canto, bisogna solo ringraziare questa coppia da Oscar per il lavoro svolto, vista la poca incisività e forza di ciò che li accompagna ed esalta in questo viaggio di sguardi, non detti, ritorno e congedo, meraviglia, speranza e pessimismo, ironia e tragedia, amore puro ed incondizionato ed una morte invisibile che pende sulle loro teste. Tematiche, dicotomie e lirismo ordinariamente trattati, in regia, da un Macqueen ancora acerbo, dalle intuizioni visive spesso recidive e prolisse (come, ad esempio, l’uso, totalmente fortuito, degli specchi nei momenti di dialogo), ma ciononostante solido, preciso e rigoroso - merito soprattutto di un mite e malinconico Dick Pope alla fotografia - nei pochi movimenti di macchina che azzarda.
Questi pochi elementi non bastano però a ravvivare un impianto cinematografico che, nel suo evidente tentativo di far risaltare l’emotività e la bravura di Firth e Tucci, finisce per raffreddarsi di conseguenza.
Parimenti impersonale, poiché del tutto equilibrata, prestabilita e solo apparentemente sentimentale e viscerale, è la sceneggiatura del film, che, pur distinguendosi per la scrittura dei due protagonisti e del trascinante rapporto che li lega, così come per qualche loro uscita (la più esilarante, e ricordiamo che i due sono inglesi: “Possiamo andare in Europa, se ci accetteranno ancora”), sembra quasi procedere per passaggi obbligati, tutti giusti ma (quasi) tutti proverbiali e prevedibili, specie se si è avvezzi a testi del genere.
Allo stesso tempo, non convince appieno nemmeno il modo in cui il regista conduce ed imbastisce la semantica della propria pellicola, all'interno della quale, come da manuale, si intersecano ed introducono argomenti non proprio leggeri (tra cui l’eutanasia), il cui sviluppo è naturalmente incline a didascalismi e trivialità varie. In tal senso, Supernova non fa certo eccezione.
Basti pensare al parallelismo (che intitola l’opera) tra il fenomeno supernova (la quale si illumina a dismisura, prima di scomparire nel buio più totale) e il deterioramento psico-fisico di Tusker (che, analogamente, dà forse la migliore versione di sé, prima di “venire cancellato” dalla malattia), o anche solo alla simbologia facile, superficiale e svenevole del primissimo segmento del film, dove la volta stellare viene sovrapposta, via una dissolvenza incrociata, alle mani dei coniugi, poi mostrati nudi e abbracciati a letto, quasi in uno stato ancestrale, nell’essenzialità delle cose e della propria esistenza.
Ciò nonostante, Macqueen riesce a confezionare anche un paio di momenti puramente cinematografici (quelli in cui “un’immagine vale più di mille parole”). Il riferimento è alla sequenza in cui Sam sfoglia il taccuino su cui Tusker sta provando a buttare giù qualche idea per il suo prossimo libro, malgrado le precarie condizioni di salute. Un frammento, quest’ultimo, in cui il regista riesce a rappresentare e a trasmettere alla perfezione il dramma tanto del malato, quanto del compagno, servendosi semplicemente di un paio di scritte a penna e cancellature, di alcune pagine strappate e di un controcampo eloquente sulla reazione turbata di Sam/Colin Firth.
Peccato però che, di occasioni come questa, ce ne siano veramente poche e che, al contrario, l’opera di Macqueen preferisca procedere per citazioni ampollose (quella di Gilbert Keith Chesterton), dialoghi dalla fattura incostanti (talora veri e spontanei, altre volte evidentemente costruiti) e segmenti dalla smodata retorica.
Forse la passione a cui Firth e Tucci ci hanno sempre abituato - anche nelle loro prove “più scadenti” - potrebbe portare i più a promuovere e apprezzare il film, passando dunque sopra a tutti quei difetti che fanno di Supernova l’ennesimo esempio di grande potenziale, purtroppo mal sfruttato e dallo sviluppo indolente, non fosse per gli spudorati tentativi di strappare una lacrima allo spettatore. Ecco, in quel caso Macqueen ce la mette tutta, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione per emozionare, ma, per quanto ci riguarda, mai riuscendoci fino in fondo.
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