TITOLO ORIGINALE: Promising Young Woman
USCITA ITALIA: 24 giugno 2021
USCITA USA: 25 dicembre 2020
REGIA: Emerald Fennell
SCENEGGIATURA: Emerald Fennell
GENERE: thriller, commedia
PREMI: OSCAR per la MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
La storia di una ragazza che, segnata da un trauma profondo e latente, ogni sera si reca in un locale, fingendosi ubriaca e raggirando uomini intenzionati ad abusare di lei, mettendoli così di fronte alla dura e cruda realtà, alla vergogna e ai sensi di colpa.
Vincitrice del premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale, Una donna promettente non è solo l'esordio al lungometraggio di Emerald Fennell (qui impegnata in regia e scrittura), ma anche e soprattutto un film che prima, durante e dopo la sua distribuzione (in patria e non solo) ha fatto parlare di sé e ha dato vita a numerose controversie. Tuttavia, dietro un impianto tecnico-estetico che azzecca praticamente tutto, denotando addirittura un certo talento da parte dell'esordiente, ed un'interpretazione micidiale di Carey Mulligan; la pellicola cela un racconto (che stravolge i canoni dei rape & revenge, gioca con la commedia e adotta il ritmo del thriller) piatto, pavido e abbastanza furbo che, sì, riesce ad intrattenere e divertire, ma delude in parte le aspettative di partenza.
Povero, era solo uno spettatore innocente.
Così una risentita e caustica Cassandra Thomas (Carey Mulligan) si rivolge, con tono canzonatorio e sardonico, ad un Ryan (Bo Burnham) tutt’altro che innocente, che quest’ultima ormai non vede più come prima, in quello che dovrebbe essere uno dei twist principali del racconto di Una donna promettente, opera prima della neo premio Oscar Emerald Fennell. Una giovane regista, attrice e sceneggiatrice britannica - nota specialmente per il suo lavoro nella serie Killing Eve e per la sua interpretazione in The Crown -, che, con questo suo esordio al lungometraggio, dà forma ad un’opera che fa di tutto proprio per coinvolgere e rendere complice lo spettatore (quindi, tutto fuorché innocente ed incontaminato).
Infatti, già prima, ma anche e soprattutto durante e dopo la sua distribuzione sugli schermi nazionali, la pellicola della Fennell non è certo passata inosservata. Forse poiché tratta un tema, la cultura dello stupro, estremamente attuale che tocca tutti indistintamente (chi più, chi meno), forse perché, come anticipato sopra, vincitrice di un Academy Award [su cinque nomination] per la migliore sceneggiatura originale (cosa quanto più inconsueta, trattandosi di un primo approccio), oppure perché capace di arrivare a scuotere le fondamenta di uno dei settimanali più venduti degli Stati Uniti e, con ciò, rimettere in discussione il ruolo del critico e della critica oggi...
E, inosservata, non è passata solo in patria, dal momento che, anche nel nostro paese, la sua distribuzione è stata all’insegna della polemica e dell’indignazione (a nostro avviso, più che giuste).
Detto ciò, i film che fanno discutere e che polarizzano l’opinione pubblica - siano essi meritevoli o meno - molte volte sono pure i più interessanti e stimolanti. Prima di azzardarsi in giudizi affrettati, bisogna però constatare come e da dove questa discussione nasca e in che modo l'opera la conduca e conduca parimenti lo spettatore a tali conclusioni. In parole povere, quali mezzi ed escamotage usa per “far parlare di sé” e risultare controverso.
Come suggerito in apertura, Una donna promettente segue le orme di Cassandra Thomas, all'apparenza la classica ragazza di periferia, proveniente da una famiglia medio-borghese, studentessa fallita, ora impiegata come barista e cameriera in una “caffetteria di merda”. Tuttavia, come si suol dire, le apparenze ingannano e, sotto quella maschera da “ragazza da film”, talora acida e mordace, sempre con la battuta pronta; ecco che si nasconde una ragazza segnata da un dramma ben più profondo e doloroso di quanto si potrebbe pensare (che si disvela a poco a poco), che si converte nel pretesto, nel soggetto e nel senso di un film, di cui lei è l’assoluta ed inscalfibile protagonista.
Emerald Fennell costruisce un mondo fatto su misura e a beneficio scenico di una Carey Mulligan credibilissima ed affascinante che dà vita e traspone su schermo un personaggio dalla psicologia indubbiamente affascinante. Così come intrigante potrebbe essere ed è (fino ad un certo punto) il mix che la stessa cineasta tenta di imprimere al proprio racconto e, dunque, al proprio prodotto. Una donna promettente è infatti un calderone di stimoli, generi e sensazioni differenti, che, seppur fusi in modo classico e talvolta didascalico, palesano comunque la presenza di qualcuno dietro la macchina da presa.
La pellicola potrebbe quindi essere intesa come un rape & revenge, oppure come una commedia nera per come riesce ad ironizzare su temi di forte pressione mediatica e a disarmare e punzecchiare lo spettatore, stravolgendone aspettative e certezze; oppure ancora come un thriller dal ritmo forsennato e sostenuto, che, attraverso formule tipiche, riesce a tenere in tensione e anche ad architettare una serie di twist sensazionalmente niente male, seppur talvolta abbastanza telefonati.
Purtroppo, se in casi come quello del rape & revenge - di cui scardina gli assiomi caratterizzanti ed alcune strutture fisse [vedasi, e non solo, il fatto che la vendetta è la conseguenza di uno stupro ai danni dell’amica della protagonista] - il gioco vale la candela, lasciando intravedere l’idea sovversiva, provocatoria e perturbatrice del cinema di Emerald Fennell, in altri (l'anima comica, ad esempio) tutto ciò risulta in un profondo senso di squilibrio ed irresolutezza. Due parole che, guarda caso, ritornano periodicamente nell’analizzare e trattare un film come Una donna promettente e che, assieme a convenienza, costituiscono forse la miglior definizione delle iniziative argomentative, morali e moralizzanti dell’opera.
Unitamente a generi e sotto filoni come il thriller, la dark comedy e il rape & revenge, Una donna promettente potrebbe essere decodificato anche in chiave cine fumettistica. Così come (o un po’ meno del) Crudelia di Craig Gillespie, il film racconta la storia di una giovane donna dagli scopi lodevoli o quantomeno comprensibili, ma dai mezzi discutibili (più Cassandra che Cruella), che, per portare a termine la propria missione e giungere alla fine del proprio viaggio, assume un’identità segreta, diventando, nel caso della De Vil, una pseudo-anarchica vendicativa o, in quello della Thomas invece, una vendicatrice pseudo-anarchica, poiché oppositrice di un sistema che presta più attenzione ed è più propensa a garantire al carnefice il beneficio del dubbio che alla vittima una giustizia equa.
Abbandonati gli abiti giornalieri, ogni settimana la nostra Cassandra si reca “in un locale diverso e fingo di essere talmente ubriaca da non stare in piedi. E ogni settimana mi si avvicina un bravo ragazzo per vedere se sto bene”. È nel momento in cui quest’ultimo la porta a casa sua con il preciso intento di abusare di lei che la donna rivela la sua completa sobrietà e lo terrorizza, senza fargli nulla ma mettendolo davanti alla dura e cruda realtà, alla propria vergogna e ai suoi sensi di colpa.
Recuperando quindi quanto affermato sopra, finché Una donna promettente si muove sul filo del tranello di apparenze/realtà, azione/reazione, essa mostra tutta la propria verve e la forza di una sceneggiatura che stuzzica con garbo e visione. Tuttavia, è nel momento in cui Cassandra “attacca il cazziatone” e in cui quindi il film vorrebbe trasmettere e costruire un discorso che l’intreccio della Fennell cade nel baratro dello squilibrio, dell’irresolutezza e della convenienza.
Una donna promettente è squilibrato quando segue le orme di un film-collega di nome (entrambi condividono la parola Woman nel titolo originale) e di fatto (entrambi vedono come protagonista una donna che reagisce ad una tragedia che l’ha coinvolta direttamente o indirettamente), solo diverso nel modo in cui sviluppa le proprie premesse. La pellicola in questione è il netflixiano Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó che, se, a differenza di Una donna promettente, preferisce percorrere la strada più classica e saccente del drammone esistenziale metaforico (per non dire metafisico), con la pellicola della Fennell condivide un modo peculiare e, a nostro avviso, fuorviante e sleale di rappresentare la figura maschile, infantilizzandola e ridicolizzandola in maniera eccessiva e sproporzionata (vedasi il finale: cinematograficamente sbagliato e superfluo).
Chi scrive è dell’idea che la costruzione non passi e non possa essere l’effetto di una distruzione. Non è sbilanciando (appunto) il racconto a favore dell’anima femminile (banalizzando invece la caratterizzazione di quella maschile) che si trasmette, in maniera giusta, costruttiva e sana, un discorso per cui il consenso e l’empatia sono (o dovrebbero essere, ci sono sempre le eccezioni) naturali ed immediati, assoluti ed indiscutibili. È quindi a causa e quando Una donna promettente compromette, in modo così manifesto e vertiginoso, le parti opposte del proprio discorso che Emerald Fennell svela involontariamente una delle nevrosi principali della sua dissertazione, a sua volta causa ed effetto degli ultimi due punti (irresolutezza e convenienza). Infatti, pur trattando una tematica verso cui provare solidarietà dovrebbe essere se non altro umano, la cineasta è alla costante ricerca del consenso e dell’approvazione del pubblico.
Il risultato finale è un racconto della durata di poco meno di due ore che riscuote le simpatie dello spettatore già nei primi dieci minuti, ma che ciononostante continua ad impegnarsi per i restanti 110 nel presentare e fornire tutta una serie di dimostrazioni e di prove a favore suo e della tesi che sta difendendo così ardentemente. E su questo si potrebbe anche chiudere un occhio, non fosse per il modo - sfilacciato e, sul lungo termine, ridondante - con cui suddette testimonianze vengono proposte al pubblico, per l’irresolutezza di toni ed atmosfere e nel scegliere una strada più violenta, piuttosto che una più “pulita” e ammodo; e, soprattutto, per la disperata ricerca di una via di mezzo accondiscendente e accomodante che possa accontentare tutti i tipi di pubblico.
Difetti, questi ultimi, che finiscono per fare di Una donna promettente un racconto piatto (perché bloccato in un’argomentazione lapalissiana di quei due punti e di quei due punti soltanto), pavido (di imboccare una strada veramente autoriale e provocatoria) e abbastanza furbo (nell’intercettare, a proprio uso e consumo, un malumore ed una irrequietezza tanto giusti quanto attuali), costretto pertanto a contare sul solo impianto tecnico-estetico per affabulare e “imbrogliare” il pubblico quanto basta per dare l’impressione di trovarsi di fronte ad “un capolavoro rivoluzionario” o ad un “film rivelazione”. Ecco, se il prodotto finale diverte, intrattiene, ma delude i presupposti originari, è nella tecnica e nell’estetica che Una donna promettente rispetta alla lettera il suo titolo. Se Cassandra Thomas ha promesso e promette, ma non mantiene, Emerald Fennell è forse la vera donna (e regista) promettente. Bisognerebbe essere solo meno (seppur giustamente) incazzati...
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